L’obiettivo principale del pronto soccorso è garantire il trattamento dei casi urgenti, vale a dire tutte le casistiche che necessitano di interventi immediati diagnostici e terapeutici. Ma si parla mai di percezione dell’urgenza da parte dell’utenza?
Il servizio di pronto soccorso è, spesso, identificato dai cittadini come la possibile soluzione a tutti i problemi di carattere sia sanitario che sociale. La conseguenza è che possono avere luogo, presso il PS, anche degli accessi non urgenti e quindi potenzialmente impropri. Con accesso improprio si definisce un accesso non urgente che dovrebbe essere gestito in maniera maggiormente appropriata presso altre strutture territoriali. Numerosi accessi impropri portano a dispersione di risorse sia economiche che mediche a discapito delle casistiche effettivamente urgenti, oltre che in termini di esiti con incremento dei tempi di attesa.
Grazie al triage, basato sul quadro clinico, i pazienti sono classificati attraverso il codice di priorità dando così la precedenza ai casi di maggiore urgenza. Questo sistema non raggiunge, tuttavia, l’obiettivo di ridurre gli accessi impropri e dunque evitabili. Uno studio italiano ha evidenziato come un accesso non urgente possa dipendere da diversi fattori. Cause riconducibili al cittadino, al medico di medicina generale, agli operatori dei PS che hanno difficoltà a respingere i pazienti senza effettuare accertamenti. Questo anche a causa della cosiddetta medicina difensiva.
Gli accessi impropri dipendono anche dall’organizzazione dei servizi che vede una mancata integrazione ospedale-territorio. Pensiamo alle liste di attesa. Va sottolineato che l’incidenza degli accessi impropri, con il conseguente sovraffollamento dei PS, rappresenta indirettamente un indicatore di valutazione circa la capacità di presa in carico dei pazienti da parte del territorio. Gli accessi impropri, oltre che da fattori clinici, sono legati dunque anche a fattori sociali.
Riflessioni antropologiche evidenziano la necessità di un approccio che sappia integrare le componenti biologiche e organiche con quelle psicosocioculturali. La malattia si può, difatti, considerare sotto molteplici dimensioni. Disease come processo biologico, illness come vissuto soggettivo e sickness come mutamento dello stato sociale del malato in un contesto storico determinato. La nostra medicina deve superare la sola focalizzazione sulla disease. Dobbiamo quindi analizzare, nell’emergenza del sovraffollamento, anche l’esperienza dell’utente che si reca in ospedale per comprendere i significati correlati alla percezione del proprio malessere.
Qualcuno giunge in pronto soccorso dopo aver consultato altri servizi, qualcuno vi accede direttamente. La malattia è strettamente connessa alle dimensioni socioculturali in cui si inserisce e l’utente sceglie determinate strade, o ne abbandona altre, poiché il suo obiettivo è quello di risolvere il proprio problema di salute.
Quali sono, secondo la letteratura, le principali cause che spingono un cittadino a recarsi in PS? In primis, la percezione di un’acutizzazione dei sintomi e del repentino peggioramento del proprio malessere. Le lunghe liste di attesa per gli approfondimenti, svolti attraverso i servizi territoriali, sono vissute dai malati con forte disagio. Vi è, nel paziente, la convinzione che recandosi in PS si possano svolgere esami diagnostici in tempi molto brevi e si possa capire come avviare i percorsi di cura.
A molti risulta che il PS sia un luogo più facilmente accessibile rispetto ad altri oltre che efficiente e dinamico. Emerge, spesso e volentieri, che il MMG (medico di medicina generale), pur essendo il principale punto di riferimento di prossimità, venga percepito come poco disponibile e non facilmente reperibile. A volte si ignora che il problema per il quale si accede al PS può essere risolto dal territorio. Se per alcuni il pronto soccorso rappresenta l’ultimo tentativo di risolvere il proprio problema dopo aver attivato itinerari senza alcun risultato, si rileva anche un “utilizzo” di tale servizio come equiparabile agli altri servizi territoriali. Un servizio a cui poter accedere al pari di tutti quelli disponibili.
La convinzione, per molti utenti con codice minore, è quella di trovarsi nel luogo “legittimamente” e “istituzionalmente” più adatto per risolvere il proprio problema. Se per gli operatori i concetti di urgenza ed emergenza hanno valenza “oggettiva”, infatti, per gli utenti la percezione è “soggettiva”, chiaramente in contrasto con il codice che viene loro attribuito.
Dovrebbero essere superate delle problematicità in relazione al rapporto cittadino e MMG. La difficoltà nel seguire l’utente a domicilio, la propensione a orientare verso il PS e l’assunzione di un atteggiamento delegante e deresponsabilizzante. La medicina generale deve tornare a fungere da filtro per quei pazienti che effettueranno un accesso “improprio” in pronto soccorso. Il MMG deve tornare a essere il punto di riferimento del paziente. Dovrebbero essere effettuati degli interventi per diminuire il disagio dell’utenza verso la burocrazia e tempi di attesa dei percorsi diagnostico-terapeutici.