Le nostre scelte alimentari rappresentano le azioni con il maggior impatto ambientale. In base al tipo di dieta che seguiamo, contribuiamo a ridurre o aumentare il riscaldamento globale. Sono infatti proprio le scelte quotidiane quelle che hanno maggiore influenza sul benessere dell’ambiente, soprattutto se ripetute costantemente. Ed è proprio a causa della priorità che inevitabilmente andrebbe data alla salvaguardia dell’ambiente che le posizioni prese finora dal Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste ci suggeriscono che l’interesse tutto italiano di salvaguardare la tradizione culinaria – che, come vedremo, non è neanche del tutto esatto – è più importante di qualsiasi cosa, compresi la sostenibilità o il nostro futuro.
Le dichiarazioni più recenti – e le più incriminanti – del Ministro Lollobrigida riguardano due notizie provenienti dall’Europa e dagli Stati Uniti che sembrano minacciare l’industria alimentare del nostro Paese, la preziosa dieta mediterranea e il made in Italy in generale. Si tratta dell’autorizzazione della Commissione Europea al commercio di farina di insetti – più precisamente di grillo – all’interno dell’Unione e dell’autorizzazione della Food and Drug Administration americana all’utilizzo di un determinato tipo di carne sintetica di pollo.
Per i cultori della tradizione culinaria italiana e, in particolare, per il Ministro della sovranità alimentare che ha dichiarato che non ci sarà spazio, in questo governo, per farina di grilli e carne sintetica, la prima opzione non è accettabile perché non fa parte della nostra cultura, e quindi non può trovare accoglienza nella nazionalista Italia; la seconda, invece, è decisamente innaturale, e sappiamo che per le cose non normali da noi non c’è spazio. Ma non è questo l’unico punto di vista.
Gli insetti sono un’importante ed efficiente fonte proteica. Sono commestibili e allevarli non comporta un grave rischio per la salute del pianeta, a differenza di praticamente qualunque altra fonte di cibo derivata dagli animali. Il loro potenziale ruolo all’interno dell’alimentazione mondiale è fondamentale: abbiamo recentemente sfiorato gli 8 miliardi di abitanti ed entro il 2050 la Terra arriverà a 9. Non c’è abbastanza spazio, non esistono risorse per garantire a tutti gli individui un’alimentazione sufficiente. Già oggi il cibo manca, l’acqua per coltivarlo diminuisce, e nel giro di pochi decenni le persone che non saranno in grado di procurarsi un’alimentazione sana e sufficiente aumenteranno. Gli insetti, forse, non saranno il rimedio per tutti i mali, ma darebbero un gran mano.
Secondo un report redatto dalla FAO, sono già più di 2 miliardi le persone che consumano cibo a base di insetti e sono oltre 1900 le specie in commercio. A differenza di quanto – un po’ stereotipatamene – penseremmo, non sono solo remoti e arretrati paesini rurali del mondo orientale a nutrirsi di farine di insetto: paté belga, snack francesi e farine americane sono già in circolazione, a dimostrazione del fatto che gli insetti possono essere cibo anche in Occidente. Rappresenterebbero una soluzione all’emergenza alimentare globale a cui andiamo inevitabilmente incontro. Il problema più grande, però, resta quello dei pregiudizi culturali – di cui soffre anche il nostro Ministro della sovranità alimentare – che rendono ancora questo potenziale cibo del futuro fonte di disgusto e associato a popolazioni meno evolute.
Anche riguardo la carne sintetica sono tantissimi i pregiudizi. Essa – come raccontavamo qui – si presenta come un’alternativa cruelty free ed ecologica alle tradizionali pietanze di terra e di mare. Il suo obiettivo è tentare di ridurre l’impatto ambientale che lo smodato uso di carne comporta, assecondando una popolazione che non è in grado o non vuole diminuire – se non addirittura eliminare – il consumo di prodotti di origine animale.
L’industria della carne è una delle più inquinanti al mondo. Solo l’allevamento dei bovini inquina, annualmente, più dei mezzi di trasporto. Per produrre pochi grammi di carne di manzo sono necessari migliaia di litri di acqua, di ettari per il pascolo e per la produzione di mangime. E la verità è che per salvare il pianeta, per ridurre le emissioni e per garantire cibo sufficiente a sfamare tutti gli abitanti della Terra, dovremmo eliminare, o almeno ridurre sensibilmente, il consumo di prodotti di origine animale.
Si tratta, però, di una necessità a cui non tutti sono pronti, e la carne sintetica rappresenta una alternativa molto più ecologica e sostenibile. Non si parla, a differenza del significato che erroneamente attribuiamo alla parola sintetico, di qualcosa di completamente chimico, ma di colture effettuate a partire da reali porzioni di carne prelevate da animali vivi – che non comportano sofferenza né morte – coltivate in provetta fino a ottenere porzioni di carne maggiori. Insomma, un modo intelligente di produrre tanta carne con poco bestiame, risparmiandone la vita. Anche questa, come quella della farina di insetti, non è la soluzione ideale, ma una via di mezzo, un punto di incontro tra ciò che sarebbe necessario fare e i sacrifici a cui siamo disposti. E questo, a chi parla di tradizione da salvaguardare e sovranità alimentare da affermare, non sembra chiaro.
Le prese di posizione estremamente contrarie alle soluzioni appena elencate da parte del Ministero dell’Agricoltura rappresentano la prova che gli ideali ai quali si ispira questo governo non sono i più sani per noi e per il nostro futuro. La lecita necessità di salvaguardare gli imprenditori e i lavoratori italiani di un’industria alimentare molto importante per la nostra economia non possono scontrarsi con la necessità di salvaguardare il pianeta. E le argomentazioni di stampo populista che sostengono il sovranismo, più che la sovranità, della dieta mediterranea non sono solo escludenti verso il diverso – come in fin dei conti è tutto ciò che professa l’attuale governo – ma anche piuttosto incoerenti.
La dieta mediterranea, quella salutare e tradizionale, è realmente ecosostenibile. Ma quella di cui parliamo, quella fatta di un consumo quotidiano di vegetali, verdure, legumi e farine varie e un ricorso sporadico, poche volte al mese, a carne e pesce, non è la dieta italiana di oggi. Derivati dei cereali e ortofrutta rappresentano solo il 33% della spesa media annuale dei cittadini italiani, mentre carne, salumi, uova, latte e derivati e prodotti ittici rappresentano, in totale, il 40%. Si tratta di numeri molto diversi da quelli previsti dalla dieta mediterranea, che descrivono una situazione non sostenibile né dal punto di vista della salute né da quello ambientale.
Ciò che vorrei fosse chiaro è che le scelte individuali non hanno solo conseguenze individuali, ma inevitabilmente collettive. E anche le scelte alimentari – nonché le dichiarazioni e le posizioni fatte dal nostro governo – sono responsabili di una considerevole parte dell’impronta di carbonio che ognuno di noi lascia su questo pianeta. Non pensate, però, che quelle analizzate siano soluzioni ideali per i problemi del nostro imminente futuro. Sono tentativi di ridurne l’impatto, compromessi più sostenibili delle abitudini attuali. E non pensate che chi vi parla sia pronta ad abbandonare la pasta di grano duro per la farina di grillo senza batter ciglio. Semplicemente, credo che mettere in discussione le proprie abitudini, porsi domande, tentare alternative fuori dai nostri schemi, sia il primo fondamentale passo per tentare di ridurre l’impatto ambientale su questa Terra, martoriata dalle nostre azioni.
E rifiutare qualcosa solo perché ci sembra tipico di culture diverse – leggi inferiori – o perché ci sembra artificiale – leggi non naturale – è solo l’ennesima dimostrazione della nostra intolleranza, che parte dalla tavola e finisce per permeare ogni angolo della società civile.