Proteggiamo i bambini. Tutte le leggi intolleranti, tutte le dichiarazioni omofobe, tutte le decisioni prese per negare i diritti a qualcuno sono adottate con un unico scopo: quello di salvaguardare l’innocenza e il sano sviluppo dei minori. È più o meno questa la scusa reiterata da coloro che non si fanno troppi scrupoli a sottrarre diritti alla comunità più bistrattata del millennio, mentre cercano adepti tra le fila dei salvatori dei fanciulli dalle nefandezze del presente. Ed è proprio con la scusa di salvaguardare l’innocenza dei bambini che l’Ungheria di Orbán ha approvato una nuova legge che vieta la fruizione di contenuti con personaggi o riferimenti alla comunità LGBTQ+ a tutti i minori di diciotto anni. D’altra parte, della salvaguardia dei bambini importa a tutti. Diventa più facile, dunque, giustificare il proprio operato nascondendosi dietro questa narrazione e travestendo l’intollerante e tradizionalista autoritarismo da benevolenza e sane intenzioni.
Neanche il mese del Pride, globalmente riconosciuto come occasione per fare informazione e affermare il riconoscimento della comunità LGBTQ+, ha scalfito la volontà dell’ennesimo dittatore d’Europa. Il Parlamento di Orbán ha approvato con 157 voti favorevoli e solo uno contrario una legge che vieta la promozione dell’omosessualità attraverso film, serie tv, libri, ma anche spot pubblicitari. Qualunque contenuto passi sugli schermi non dovrà turbare la crescita dei giovani e la formazione delle coscienze e dovrà essere in linea con i valori su cui si fondano la Costituzione e il cristianesimo. Una mossa indubbiamente intelligente quella di manifestare la necessità di proteggere i bambini, la stessa usata da chiunque raggiunga livelli di intolleranza tali da non poter sopportare la vista di una coppia non convenzionale tanto da giustificarla con l’interesse per gli occhi innocenti. Dopotutto, è così facile simpatizzare per qualcuno che ha a cuore la salute e il benessere dei minori, costantemente danneggiati dagli orrori di un mondo sottosopra. Abbastanza facile, a quanto pare, persino per giustificare qualunque violazione dei diritti umani.
L’approvazione della nuova legge non è che l’ultima decisione di una lunga serie che sta rendendo l’Ungheria una nazione sempre meno accogliente. Anzi, la norma dimostra un salto di qualità nella strategia di Orbán per arginare il problema dell’omosessualità nel suo Paese e della presenza della comunità LGBTQ+. Fino a ora, infatti, i provvedimenti hanno sempre riguardato un’esplicita negazione dei diritti: in Ungheria non sono permessi matrimoni tra persone dello stesso sesso e, allo stesso modo, sono negate le adozioni; la Costituzione ha recentemente subito alcune modifiche in modo tale che diventasse esplicitamente chiaro che il matrimonio riguarda esclusivamente l’unione tra un uomo e una donna e anche la genitorialità è fatta esclusivamente di un padre e una madre. In più, attraverso svariate scappatoie tra cui la scusa della pandemia e delle priorità da stabilire, Orbán impedisce alle persone transgender di modificare i documenti e leggere finalmente la propria identità di genere nero su bianco. La nuova normativa è però diversa dalle altre e dimostra intenzioni che vanno oltre la repressione e sono più vicine alla propaganda.
Con la legge sui contenuti vietati ai minori, infatti, si compie il definitivo passo verso una vera e propria azione di controllo del pensiero. Ciò che l’Ungheria ha deciso di vietare non sono solo libri, film e prodotti culturali, ma mette in piedi una vera e propria lotta a quella che chiamano propaganda gay. Nelle scuole sarà vietato parlare di orientamento sessuale e identità di genere e tutta l’educazione sessuale – se così si può chiamare – dovrà rispettare i valori imposti dallo Stato. Non si tratta solo della strategia secondo cui se non si parla di qualcosa essa non esiste, reprimendo dunque l’identità dei ragazzi sul nascere e facendo in modo che imparino sin dalla giovane età a non essere liberi. C’è molto di più: ciò che Orbán sta mettendo in pratica non è la negazione dell’esistenza della comunità LGBTQ+, ma la sua legittimità. Non fosse risultato abbastanza chiaro dalle leggi degli ultimi anni, infatti, è diventato ufficiale nel momento in cui orientamento sessuale e identità di genere sono diventati argomenti che rischiano di turbare la crescita dei giovani.
I risultati della politica dell’intolleranza si fanno evidenti anche nelle conseguenze che tali scelte hanno sull’opinione pubblica. Gli ultimi dati rivelano che oltre la metà della popolazione ungherese risulta intollerante nei confronti della comunità LGBTQ+, abbastanza da restare in linea con Orbán. In effetti, quella attuata dal governo è una vera a propria propaganda che ha l’obiettivo di trasmettere un messaggio chiaro: tutto ciò che non è eteronormatività è sbagliato. Non se ne può negare l’esistenza, non si può rendere illegale, ma si può disapprovare abbastanza da relegare il diverso ai margini della società, sottrargli i diritti e mettergli contro l’opinione pubblica. La legge, nel suo testo, parla di devianza, di comportamenti deviati che la rappresentazione di certi contenuti creerebbe nei bambini. E la narrazione secondo cui un contenuto inclusivo rischia di essere frainteso e, dunque, comportare conseguenze dannose per lo sviluppo è la stessa che non conosce il significato di libertà.
L’Ungheria non è il primo Paese a creare leggi del genere. Anzi, la norma appena approvata sembra proprio aver tratto ispirazioni dalle leggi russe del 2013 che allo stesso modo vietarono contenuti con propaganda delle relazioni sessuali non tradizionali. Eppure, la sua presenza nell’Unione Europea non ha impedito all’Ungheria di violare continuamente i principi di libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani. E, considerando che la situazione non è tanto migliore altrove, e per la stessa intolleranza non si è fatto nulla in Polonia e Romania, è inutile sperare in un’azione collettiva da parte dell’Europa. Tanto, ormai, risulta chiaro che i criteri da soddisfare per far parte dell’Unione Europea, come la salvaguardia dei diritti e il rispetto della democrazia, non sono poi così vincolanti.