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On. Fratoianni: «Sul Recovery forti interessi di Confindustria, non dei lavoratori»

Farouk Perrone di Farouk Perrone
22 Febbraio 2021
in Interviste
Tempo di lettura: 6 minuti
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Fra i pochissimi che si collocano all’opposizione del neonato Governo Draghi, troviamo Nicola Fratoianni, onorevole appartenente a Sinistra Italiana e al gruppo parlamentare di Liberi e Uguali, oggi protagonista di una scissione. Al suo interno, infatti, non solo c’è stata difformità di voto, con Articolo 1 che ha espresso la propria fiducia all’ex Presidente della BCE ma, addirittura, alcuni compagni di SI hanno disatteso il voto della direzione del partito che aveva deciso di non entrare in maggioranza. Nulla di nuovo se pensiamo alle tante spaccature della sinistra. Fratoianni, però, rappresenta uno dei principali sostenitori dello scorso esecutivo, al punto tale da definire la fine del Conte-bis come un omicidio politico premeditato. Con lui abbiamo parlato anche di questo, delle prospettive future della coalizione giallorossa e della sostanza politica del governissimo attuale.

Onorevole, pensa che non votare la fiducia al Governo Draghi significhi venire meno all’appello di Mattarella?

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«No, penso che significhi schierarsi all’opposizione di un governo che vede al proprio interno una componente che rappresenta la destra sovranista ed estrema, e non accade in nessun Paese europeo che all’interno dello stesso esecutivo ci siano partiti di centrosinistra insieme alla destra nazionalista».

In merito ai vaccini, crede che il Ministro Speranza (LeU) e il commissario Arcuri avrebbero dovuto battersi per una maggiore trasparenza nei contratti con le cause farmaceutiche?

«Questo è un problema che riguarda l’intera Europa e che andrebbe affrontato in modo forte e deciso: di fronte alla pandemia, siamo in una condizione nella quale è necessario un salto di qualità che metta al primo posto l’interesse generale e la difesa della vita rispetto ad altri interessi».

A quali condizioni avrebbe votato la fiducia al Governo? Sarebbe bastato che non ci fosse stata la Lega?

«Questo sarebbe stato già un fatto molto rilevante. Avrei potuto valutare una diversa collocazione se non ci fossero stati esponenti politici, magari un governo a tempo con singole priorità definite e concordate entro un definito intervallo, dunque il cosiddetto governo di scopo. Ma il modo in cui siamo arrivati a questo esecutivo e la sua natura politica mi hanno fatto annunciare il voto contrario: non credo che possano convivere posizioni appartenenti a forze divergenti, opposte e incompatibili, a partire dal fisco all’ambiente, dai diritti civili all’immigrazione. Credo che questo governo rischi di trovarsi, nella migliore delle ipotesi, paralizzato e, nella peggiore delle ipotesi, sempre più pregresso».

È solo una nostra sensazione o l’esecutivo è nato per spartire, tra tutti, i soldi del Recovery Fund?

«Non so se si tratti di una spartizione, certamente il tema del Recovery Fund è il punto decisivo intorno a cui è stato affossato il Conte-bis ed è nato questo governo. Su quei fondi si concentrano non solo gli interessi dei partiti, il che è naturale, ma anche altri interessi, come quelli della Confindustria di Bonomi, che ha dettato la sua agenda e contraddice gli interessi dei lavoratori e della maggior parte degli italiani, guardandando soltanto alle grandi aziende. Mi pare che il problema sia su quelle risorse, sul loro segno politico-culturale e sulle riforme che lo accompagneranno: è bene ricordare che i fondi europei sono vincolati ad alcuni capitoli di spesa e, appunto, ad alcune riforme. Penso, ad esempio, a quella della Pubblica Amministrazione, ma è chiaro che il modo in cui si farà non è un fatto neutro e credo che Brunetta come ministro non sia un buon segnale. Lo stesso potremmo dire sulla Gelmini agli Affari Regionali, che dovrà gestire il dossier sulle autonomie. Insomma, c’è una rilevantissima questione politica e vedremo quali saranno gli sviluppi: oggi siamo alla definizione dei titoli, ma questi hanno bisogno di essere tradotti».

Sbagliamo se diciamo che il Governo Draghi è la cosa più lontana dalle politiche sociali (lavoro, scuola) di cui gli italiani hanno bisogno? Chi sono le voci dei territori in questa mega coalizione?

«Non so se questo governo sia di per sé lontano dalle voci e dalle ragioni dei cittadini ma, come dicevo, il problema riguarda la natura politica dell’esecutivo che porta con sé degli elementi di evidente contraddizione difficilmente conciliabili in una sintesi progressiva. Se guardo alle varie competenze, la mia impressione è che l’approccio sia regressivo e non progressivo. In ogni caso, come ho detto nel mio intervento alla Camera dei Deputati, mi auguro di essere smentito».

Infatti il Suo emendamento sul prolungamento dell’anno accademico ha avuto un esito positivo…

«Sì, lo avevo presentato lavorando insieme al Ministero dell’Istruzione e questo conferma che si può stare all’opposizione e si può dire no al governissimo senza perdere di vista la necessità di lavorare alla soluzione dei problemi delle persone. L’emendamento sull’anno accademico, che mi auguro venga approvato in sede parlamentare, è una risposta a un problema reale che riguarda gli universitari».

Va detto che, al di là della dad, la categoria degli universitari, nonostante avesse forse meno necessità rispetto ad altre, è stata messa da parte durante la pandemia…

«Per questo dico che in quel caso, come in altri, anche di fronte a una collocazione di opposizione resta necessario occuparsi di questioni concrete, senza un punto di vista pregiudiziale ma essendo in grado di giudicare le scelte fatte e costruendo proposte sulle vertenze politiche. Talvolta, esse avranno un risvolto positivo e noi le raccoglieremo e le valorizzeremo, mentre, quando questo non succederà, non solo vigileremo ma cercheremo di fermarle e di mitigarle. A differenza di quello che stanno dicendo alcuni in queste ore, si può fare politica anche dall’opposizione e non è vero che se ne possa fare solo stando dentro a un quadro, peraltro, molto confuso».

Gran parte delle risorse del Recovery Fund dovrebbe essere destinata all’ambiente, tema cruciale anche per la nascita del nuovo governo: in effetti, abbiamo diverse questioni, legate al tema, alle quali non si trova una soluzione, tra tutte il caso ILVA, una vicenda che conosce bene. Nei giorni scorsi, la pubblica accusa del processo Ambiente Svenduto ha chiesto per Lei – che è imputato insieme a Vendola, ex Presidente della Regione Puglia – otto mesi di reclusione: lui per concussione aggravata in concorso e Lei, all’epoca Assessore alle Politiche Giovanili, per favoreggiamento. Possibile che nessun governo e nessun’amministrazione locale o regionale siano riusciti in più di dieci anni a coniugare lavoro e ambiente, nemmeno una giunta di sinistra come quella presieduta da Vendola che, anzi, è finita a processo?

«La vicenda dell’ILVA dura da cinquant’anni. Come ha ricordato, c’è un processo nel quale sono coinvolto e su questo posso dire che sono stupito dalla richiesta dell’accusa perché mi pare che durante il dibattimento sia venuto meno tutto ciò che questa diceva rispetto al comportamento sul tema ambientale della Giunta Vendola, che ha cercato di porre dei limiti. Forse non si riescono a coniugare salute e ambiente perché è quasi impossibile farlo per un’azienda che ha quelle dimensioni. La Giunta Vendola, comunque, è stata la prima a fare cose radicalmente innovative, a tutelare l’ambiente e la salute e a garantire il lavoro. A proposito del processo sono molto sereno perché credo che la Corte potrà dimostrare l’estraneità rispetto alle accuse».

Un Suo compagno storico, Palazzotto, ha lasciato SI. Come lo interpreta? Si può vedere come la classica scissione atomistica della sinistra ben rappresentata da Corrado Guzzanti? 

«Conosco la scena, ma non credo sia questo il caso. Il partito ha votato quasi al 90% il no al Governo Draghi ma due parlamentari hanno scelto di non attenersi a questa indicazione. Mi dispiace, ma non intendo fare di questo passaggio il terreno di una rottura definitiva. Un po’ di amarezza c’è, ma sono affezionato a un’idea della politica per cui, quando la tua comunità – collettivamente e dopo una lunga discussione – sceglie una strada, anche se non sei del tutto concorde e nel rispetto del vincolo di mandato, si dice non sono d’accordo ma mi adeguo. Ho comunque la consapevolezza che il nostro avversario rimane la destra e bisogna evitare rotture definitive».

Il PD dice che sosterrà lealmente Draghi, il M5S rischia la spaccatura e, in quel di LeU, Articolo 1 ha votato la fiducia, ma non Sinistra Italiana. Su queste basi può proseguire l’esperimento giallorosso?

«Non credo che il voto parlamentare impedisca la costruzione di questa coalizione. La differenza parlamentare è un passaggio sul quale si sono registrate molte opinioni e non è ostativa a questo percorso, a cominciare dalle prossime amministrative. Quello che dico è che non basta evocare la coalizione, ma serve lavoro, perché a oggi non posso non notare che, nella grande maggioranza dei casi, tale comunione di intenti ancora non esiste né posso non vedere che in occasione delle consultazioni con il Presidente Draghi, allora incaricato, né al primo né al secondo giro la coalizione è andata unita, presentando delle richieste comuni. Da un lato, la necessità della coalizione resta, ma dall’altro occorre fare un lavoro molto significativo».

Recentemente, sul nostro giornale abbiamo intervistato Pippo Civati – che Lei conosce bene – che ci ha detto che le cose fatte dallo scorso governo sono minime rispetto a cose gigantesche e che non si è fatto nulla di quello che si è detto a marzo. Come risponde?

«Non sono d’accordo e, anzi, se guardo al prevalente, quell’esperienza è stata positiva e importante, nonostante i limiti. Certamente poteva fare di più, ma dire che non ha fatto nulla mi sembra eccessivo».

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