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Michele Merlo aveva un messaggio da cantare

Alessandro Campaiola di Alessandro Campaiola
8 Giugno 2021
in Attualità
Tempo di lettura: 4 minuti
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Non capita spesso che questo giornale parli di musica. Capita, spesso, però, che Mar dei Sargassi si adoperi nel dar voce a messaggi che è bene possano diventare virali, che – in qualche modo – possano incidere sul pensare delle persone relativamente a un problema che affligge una parte di esse. Affrontare la prematura scomparsa dell’artista Michele Merlo ci dà l’occasione di rimandare un messaggio a lui molto caro e, ovviamente, rendergli tributo.

Michele Merlo era un giovane cantante, passato alla ribalta grazie alla partecipazione ai talent show di X Factor prima e Amici poi, programma – quello di Maria De Filippi – che gli aveva offerto la definitiva consacrazione. Di Michele chi scrive conosce davvero poco. Spesso, verso gli artisti che acquistano notorietà grazie ai talent si è mossi da un fastidioso pregiudizio, ossia che si tratti di un prodotto confezionato ad hoc per il mercato e poco altro. E – devo ammetterlo – talvolta questo retro-pensiero ha preso forma anche nell’idea del sottoscritto.

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Cantanti, ballerini, attori: se conosciuti al grande pubblico perché reduci da uno show televisivo non meritano alcun tipo di dignità. E se soltanto in parte questa affermazione può trovare un vago riscontro nel lavoro finale di quell’artista – i dischi, le canzoni –, la stessa cosa non può e non deve valere per la persona. Un essere umano, con tutte le sue sfumature.

C’è una vita prima e dopo i talent. Persino durante, anche se il sistema adoperato dalle fabbriche del talento in prima serata, spesso, se ne dimentica e adopera nei riguardi dell’artista una pressione difficile da maneggiare. Il ragazzo o la ragazza che investe su se stesso, i propri sogni, le proprie debolezze, verrà triturato fino a che ne avrà. Poi tanti saluti. Per la maggior parte delle persone – dai produttori ai fruitori finali, il pubblico – l’artista altro non è che un feticcio da esporre in bacheca.

Come detto, chi scrive non conosceva bene Michele Merlo, ma ha avuto modo di imbattersi in un suo videomessaggio rilasciato a Experience Is, blog seguito da oltre un milione di persone su Facebook e, dunque, dal grande potenziale virale, in cui il giovane cantautore si metteva a nudo parlando di un argomento spesso dimenticato, troppo di frequente svilito in un vuoto hashtag di tendenza: l’ansia e gli attacchi di panico.

Dai social network, i disagi di natura psicologica vengono spesso fatti veicolare come semplici stati d’animo, dunque banalizzati, depotenziati della loro origine clinica. I trend topic #maiunagioia, #ansia, e così via, descrivono infatti sentimenti di tristezza, di una passeggera sensazione di sfortuna; al contrario, la depressione e l’ansia che sfocia fino a generare gli attacchi di panico sono patologie che vanno affrontate non vergognandosi del problema e rivolgendosi a uno specialista, come per qualunque altro malessere fisico.

In tal senso, anche film e serie TV tendono a far apparire la figura dello psicoterapeuta come un silenzioso, misterioso individuo che ascolta il paziente sdraiato in poltrona mentre quest’ultimo ripercorre le tappe fondamentali della propria esistenza. Nella migliore delle rappresentazioni, l’analista è un affascinante uomo/donna che pone domande improbabili e scribacchia qualcosa su un taccuino. Nulla di più fuorviante e sbagliato.

La società odierna, in particolar modo in Italia, ha una pessima idea della psicoterapia e propone un feroce stigma delle patologie di carattere psicologico. Va da sé che chi è affetto da disturbi che alterano – e tante volte inficiano – la percezione della quotidianità, tende a isolarsi anziché chiedere aiuto, a maggior ragione se le persone più vicine non sanno proporre altro che una chiacchierata con gli amici al bar o un periodo di vacanza in alternativa. E se il terapeuta non gode di una florida reputazione, il paziente viene tante volte additato come pazzo, instabile, qualcuno da allontanare, anziché sostenere e coinvolgere. Un problema.

Con enorme sensibilità, Michele Merlo raccontava dei treni che aveva visto partire senza riuscire a saltarvi su, delle occasioni lasciate sfuggire perché frenato dalla paura di un’ipotetica situazione di emergenza, della solitudine che si prova ad affrontare un problema di cui tutti vogliono sapere, ma pochi sono disposti a capire.

Perché è vero, l’ansia è la peggiore compagna di vita che un essere umano potrà mai trovarsi di fianco. È imprevedibile, va via e torna senza preavviso, blocca le uscite di sicurezza e costringe chi ne è afflitto a ossessionarsi nella ricerca di nuove. Parlarne è difficile come di qualunque problema sia – di fatto – irrazionale e, dunque, di difficile comprensione da parte di chi non ne divide l’angoscia. La paura di vedersi mettere all’angolo, in un mondo che celebra sempre l’eroe e mai accoglie lo sconfitto, diventa un boomerang che l’individuo rivolge solo verso di sé.

«Molte persone non capiscono quando dico che ho paura di salire su un treno, o di prendere un autobus, o un aereo per andare in vacanza. […] Mi ricordo ancora di questa che ragazza che, una volta confessatole il mio problema mi disse: “Michele io con uno che non prende il treno non riuscirò mai a costruire nulla”. E mi lasciò sul letto». (video sotto)

Tutti vogliono sapere, pochi sono disposti a capire. Michele Merlo, come ogni artista, provava attraverso la propria musica a veicolare un messaggio e questo appena condiviso dal nostro giornale era uno di quelli.

Cosa ci sia di normale, di accettabile, persino di sopportabile nella scomparsa di un giovane di ventotto anni che prova a inseguire i suoi sogni e si ritrova, da un giorno all’altro, stroncato dalla leucemia, è impossibile da razionalizzare. Perché non c’è nulla di giusto. Ma di una cosa chi scrive è sicuro: una vita è possibile anche arrendendosi a qualche treno che parte… E noi non siamo a bordo.

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