E quando per scherzare dissi: “Quanto vuoi?”
Tu rispondesti seria “L’amor che puoi”.
– Lucio Battisti, Questo inferno rosa
In un periodo in cui la maternità è un tema scottante, soprattutto per scellerati proclami da parte delle destre, un grande passo avanti di civiltà sarebbe incrementare tutela e aiuti concreti per chi non può o non vuole far nascere suo figlio, per chiunque desideri dare alla luce un bambino senza potersene prendere cura e per ogni bambino che potrebbe trovare la morte un attimo dopo aver incontrato la vita, magari in un cassonetto della spazzatura o per qualche strada inospitale, senza che nessuno si accorga che è nato.
Recentemente si sono verificati due episodi trattati dai media con spaventosa superficialità e assoluta mancanza di cura e rispetto. Uno è avvenuto in Piemonte, l’altro in Lazio. È sano segnalare questi casi in modo dettagliato rischiando di minare l’anonimato quando chi ha abbandonato un bambino accanto a un cassonetto, o chi l’ha lasciato alle cure di chi poteva offrirgliene di migliori, è una coppia o una donna molto probabilmente in forte stato di difficoltà e con un parto affrontato da poco?
Non tutelare una donna che sta per diventare madre significa non tutelare due vite: la sua e quella che porta in grembo. Non informare due genitori delle possibilità esistenti, senza aspettare che le vadano a cercare chissà dove e chissà come, o che presi da forti momenti di sconforto non le cerchino affatto, può avere esiti letali.
In Italia nel 2005 secondo la Società italiana neonati erano circa 3000 i neonati abbandonati ogni anno e di questi solo 300 erano affidati agli ospedali. Secondo stime più recenti, pare che lo 0,07% dei bambini nati vivi venga abbandonato, ma potrebbe essere un dato relativo perché tanti casi potrebbero non essere tracciabili.
L’abbandono, quello vero, non l’affido a chi può garantire cure migliori, non dovrebbe mai essere una scelta possibile. Si può abortire, si deve però garantire il diritto a poterlo fare in qualunque momento.
È possibile partorire in qualsiasi ospedale pubblico gratuitamente e in anonimato se lo si vuole e si ha il diritto a non riconoscere il neonato.
È una possibilità reale e un diritto dare alla luce un bambino affidandolo alle attenzioni di chi può prendersene cura, in totale anonimato, presso le Culle della vita o chiamando il numero verde 800.813.000, si deve però garantire la loro presenza in tutte le regioni italiane. Ma la notizia di questi servizi sono abbastanza diffuse? Forse no, forse non dove dovrebbero, non come dovrebbero, se continuano a verificarsi situazioni tragiche poi strumentalizzate.
Ogni donna in Italia ha il diritto alla scelta sul riconoscimento: ogni donna ha diritto di scegliere se riconoscere come figlio il bambino da lei procreato. Tale diritto è tutelato espressamente dall’art. 30 comma 2° del d.p.r. 3 novembre 2000, contenente il Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, il quale stabilisce che il medico o l’ostetrica o altra persona che ha assistito al parto deve fare la dichiarazione di nascita all’ufficiale dello stato civile o al direttore sanitario dell’ospedale rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata.
Il diritto all’informazione: ogni donna può ottenere assistenza psicologica e sanitaria prima del parto, durante il parto e dopo il parto, unitamente a ogni genere di informazione che possa prospettare soluzioni attuabili sia nel senso del riconoscimento (forme di sostegno alla maternità e alla genitorialità, aiuti a livello socio-assistenziale e sanitario) che del non riconoscimento (diritto a partorire nel più assoluto anonimato e di non riconoscere il nascituro); ha inoltre diritto a essere informata, in caso di incertezza sulla scelta da operare, sulla possibilità di usufruire di un ulteriore periodo di riflessione dopo il parto (della durata non superiore a due mesi), richiedendo al Tribunale per i minorenni la sospensione della procedura di adottabilità (v. al riguardo l’art. 11, commi 2 e 3, della legge n. 184/1983).
Il diritto al segreto del parto: per chi decide di non riconoscere il proprio nato, la segretezza deve essere garantita da tutti i servizi sanitari e sociali coinvolti. In questo caso, nell’atto di nascita del bambino, che deve essere redatto entro dieci giorni dal parto, risulta scritto figlio di donna che non consente di essere nominata.
Nei servizi sociali e negli ospedali, tutto il personale ha l’obbligo di osservare la massima riservatezza rispetto alla madre che non consente di essere nominata e di mantenere il segreto all’esterno su tutto ciò che la riguarda. Il nome della madre e le notizie su di lei sono tutelate per legge dal segreto del parto.
Nel 1993 è nato il progetto Culle per la vita da un’iniziativa del Movimento per la Vita Italiano al fine di limitare i casi di neonati abbandonati nei cassonetti o per strada e gli effetti spesso tragici che tali situazioni comportano. Una versione moderna della Ruota degli esposti, luogo con la stessa funzionalità delle culle per la vita, che a partire dal 1600 è stata istituita in Francia e poi per la prima volta in Italia a Napoli per estendersi nelle altre città. Le ruote in Italia sono state chiuse nel 1923 dal governo Mussolini.
Le culle, attualmente 58 sul territorio italiano, si trovano in un ambiente protetto affacciato su strada e sono dotate di porte automatiche e sistemi di allarme che si attivano dopo che la culla viene richiusa. Cinque regioni in Italia sono totalmente sprovviste di questo servizio: la Calabria, il Friuli Venezia Giulia, il Molise, la Sardegna e il Trentino Alto Adige.
Forse, anziché trasmettere ripetutamente la notizia dell’ennesimo neonato trovato in difficoltà in un luogo specifico, un paese abbastanza piccolo, oppure, altro atto gravissimo, divulgare immagini video nelle quali una donna affida e non abbandona un figlio in ospedale, minando anche qui l’anonimato, potrebbe essere una forma di tutela per colei che ha partorito da poco dare notizie delle culle per la vita presenti in tutta Italia per far sì che nessuna altra coppia, quando la partoriente non è sola in questa scelta, si senta disperata e spaventata e compia il gesto dell’abbandono in modi atroci.
Se però i giudizi feroci (o non feroci ma pur sempre giudicanti) non cesseranno di esistere, se si continuerà a dire che lasciare un bambino in ospedale significhi abbandonarlo e non affidarlo a chi può garantirgli più cura, si otterrà l’effetto contrario.
I genitori disperati, senza strumenti e quasi sicuramente soli, continueranno a essere soli e sperduti nella loro necessità di non poter crescere un bambino, con conseguenze potenzialmente atroci. Dunque se è vero che ognuno dà l’amore che può o che non può, ogni bambino deve essere messo in condizioni di ricevere tutta la vita, l’amore e la cura che merita.