La cronaca ci racconta un episodio di una gravità estrema: un’insegnante di una scuola superiore di Alessandria, portatrice di disabilità motoria, è stata legata alla sedia con del nastro adesivo e presa a calci da un gruppo di alunni di età intorno ai quattordici anni. Alcuni tra questi hanno postato un video dell’accaduto sui social, che è stato presto rimosso, ma cosa altrettanto seria, nell’era dell’informazione in “tempo reale”, è che l’inaudita violenza pare sia avvenuta un mese fa.
L’insegnante non ha fatto denuncia presso le forze dell’ordine e il caso è stato “risolto” nell’ambito dell’istituzione, con un provvedimento di sospensione dell’intera classe con l’obbligo di frequenza e di pulizia delle aule scolastiche. Quando l’episodio criminoso, finalmente, è diventato di dominio pubblico, sono arrivate le telecamere delle emittenti televisive nazionali e tra i ragazzi intervistati fuori dalla scuola si è avvertito un disagio diffuso e la difficoltà per la ripresa delle normali attività scolastiche, come se nulla di davvero grave fosse accaduto.
Ancora una volta, a sentire i primi commenti degli adulti, tra genitori, insegnanti ed “esperti” dell’età adolescenziale, si assiste alla necessaria stigmatizzazione dei comportamenti asociali se non addirittura violenti di tanti ragazzi. Eppure, con queste prime analisi del fenomeno siamo fermi ancora agli effetti che vengono scambiati per cause di quello che può essere definito un vero e proprio fallimento del processo educativo e societario.
In breve, durante il lungo percorso di socializzazione che avviene in famiglia e a scuola, in preparazione alla vita adulta, all’individuo vengono proposti valori, norme e modelli di comportamento che sono alla base della vita sociale, in un dato periodo storico. Esiste un nodo problematico, tuttavia, che non sempre viene messo in evidenza: l’educazione riguarda soprattutto i valori culturali proposti, mentre la socializzazione si riferisce più ai comportamenti che regolano i ruoli sociali nella vita quotidiana. Di conseguenza, il processo educativo si realizza in maniera positiva soltanto se i ragazzi interiorizzano i contenuti valoriali dei modelli e dei ruoli trasmessi dagli adulti, ritenendoli utili ma soprattutto giusti.
Cosa succede, invece, nella realtà agli inizi del Ventunesimo secolo e del Terzo Millennio, dove si assiste a una guerra continua e senza esclusione di colpi tra le due “agenzie di socializzazione” – famiglia e scuola – fondamentali per la formazione degli uomini e delle donne del futuro? Qual è la sostanza educativa trasmessa ai giovani in un’arena sociale dominata dalla competizione e dall’attenzione rivolta quasi esclusivamente al risultato più che al processo e ai contenuti dei percorsi di formazione e di preparazione alla vita individuale e comunitaria?
Se gli “effetti di realtà” prodotti dal processo educativo proposto in teoria dagli adulti sono quelli che vedono i ragazzi di oggi vivere di gesti votati al nichilismo e alla violenza, è evidente il fallimento dell’organizzazione istituzionale e societaria che si occupa della educazione dei futuri cittadini. La causa è da ricercare, forse, proprio nella discrepanza tra la formale e ideale regolazione dei rapporti sociali e la reale prassi sociale che mettono in scena gli adulti e i loro figli nella vita quotidiana.