È una luce gentile quella che illumina la sua figura mentre esegue l’ultima coreografia, una danza che, come in un carillon di altri tempi, muove i suoi passi su una melodia che evoca momenti perduti. Sui cartelloni compare un nome a molti sconosciuto: Zelda Sayre da Montgomery. Poi la musica sfuma, le luci illuminano la platea. Non c’è nessuno. Eppure, un applauso sembra alzarsi lo stesso. Forse la ballerina lo immagina proprio come ha sognato tutta la scena.
È una strada a ritroso nei propri ricordi la vita di Zelda Sayre da Montgomery, Alabama, per l’occasione riappropriatasi del suo nome da nubile. Rivive ogni diapositiva come a volerle dare un nuovo esito, un nuovo finale. Per tutti è Zelda Fitzgerald, la moglie di Scott, il genio che ha scritto Il grande Gatsby. Per Pier Luigi Razzano è La grande Zelda.
Il giornalista, penna autorevole de La Repubblica, dimostra di amare Zelda forse anche più del suo uomo, perché – si sa – una delle più grandi prove d’amore è lasciare l’altro libero di esprimersi ed essere ciò che è, per la sua vera essenza. E Razzano, nel suo romanzo d’esordio, compie proprio questa scelta, lascia libera Zelda di riappropriarsi della sua storia, delle sue velleità: cantante, pittrice, ballerina, una straordinaria scrittrice.
La grande Zelda ritrova la sua giovinezza, gli anni ruggenti della diciannovenne dell’Alabama sbarcata a New York, la grande città, conquistandola con la sua creatività ed esuberanza fuori dal comune, con la sua luce, una donna capace di ribaltare tutto quanto si è sempre detto o scritto di lei: “frivola”, “pazza”. Zelda si ricorda determinata, decisa a fare della sua vita ciò che avrebbe davvero desiderato, a uscire dall’ombra del suo amato marito, ingombrante come è l’ego di ogni artista immortale. Chissà quale vita avrebbe voluto per sé. La donna che tutti abbiamo imparato a conoscere tra le lettere di Dear Scott, dearest Zelda è un vero manifesto femminista, senza la pretesa di esserlo: lei vuole soltanto essere libera, libera di ballare e rivivere la sua vita senza cedere più ai rimpianti.
Rimpianti che cominciano tra le acque del golfo di Napoli, a Capri, dove la coppia più amata della letteratura americana degli anni Venti soggiornava mentre Scott correggeva le bozze de Il grande Gatzby e lei riceveva l’invito del Teatro San Carlo, nel 1929, a essere la sua étoile. Il reale motivo per cui Zelda non approdò mai nel cuore della città partenopea resta sconosciuto ancora oggi, e nemmeno lo straordinario lavoro di studio delle fonti di Pier Luigi Razzano (che si spinge fino all’archivio di Princeton, tra lettere private della coppia) riesce a svelarne il mistero. Ma tra le pagine del romanzo edito da Marsilio Zelda si fa da parte per proteggere la carriera di Scott, che verso sua moglie e la sua vena artistica prova profonda gelosia.
Sempre moglie di, ora, finalmente, si parla di lei. Anzi parla lei, i suoi abiti scintillanti, il ballo, la gioia che è capace di trovare nelle piccole cose. Scott e Zelda si spogliano della magia che – da sempre – avvolge la coppia e si riscoprono travolti dai rimpianti, dalle accuse che si lanciano di continuo di aver determinato l’uno la carriera dell’altro, il tutto dal punto di vista di Zelda, ricoverata dopo l’ennesima crisi nervosa. Una giovanissima sposa, morta a soli quarantotto anni per complicazioni psichiatriche.
Ciò nonostante, La grande Zelda rende ancora più chiaro perché senza la giovane artista dell’Alabama non avrebbe potuto esserci alcun Scott Fitzgerald, così come senza l’amore di Scott non avremmo saputo di Zelda, di quel loro rapporto che ispirava tutta quell’arte, la voglia di mettersi in gioco, forse anche di alternarsi al comando, combattersi, e poi ritrovarsi. Loro due, amanti del jazz, dei viaggi, delle feste, di un’America fervente che chissà se mai più tornerà.
Incredibile si tratti solo di un esordio per Pier Luigi Razzano. È come se tutti gli anni passati a leggere e recensire i libri degli altri avessero formato l’autore lasciando, ogni volta, qualcosa, delle piccole o grandi lezioni messe in pratica per comporre un vero capolavoro. La sua scrittura è delicata, piena d’amore, attraverso ogni parola Razzano sembra voler accarezzare la sua protagonista, proteggerla, farla risplendere. Stile impeccabile e una prima persona che riesce a dare una voce sincera alla tormentata artista che sfiorò Napoli e ora invoca la rivincita che mai ha ottenuto.
Balla, Zelda, continua a ballare, sul suo palco senza pubblico, tra gli applausi che non smettono di venir giù. E che merita tutti, da un pubblico nuovo, insolito, il pubblico dei lettori.
