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I “Quaderni del carcere”: una politica di pace europea

Redazione di Redazione
30 Marzo 2022
in Rubriche
Tempo di lettura: 3 minuti
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Una politica di pace europea dal Secondo Quaderno

Texas 1835. Il solito gioco dell’autodeterminazione, allora delle nazioni, oggi si dice dei popoli. Lo stato, fomentato dagli USA, dichiara la propria indipendenza dal Messico e dieci anni dopo diventa una stellina della bandiera a stelle e strisce. Ma non basta: nei decenni successivi il Messico deve cedere California, Arizona, Nevada, Utah. Una spinta ad annettere territori che si trasforma in costruire, attraverso la guerra o la sobillazione delle popolazioni, sfere d’influenza sempre maggiori.

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Guerra Mondiale. Imperi bloccati… sfruttando tutte le occasioni che si offrivano. Il costo colossale della guerra, i profondi turbamenti della popolazione europea (la rivoluzione russa), hanno fatto degli Stati Uniti gli arbitri della finanza mondiale.

L’orlo dello scontro tra le due superpotenze è stato evitato solo per un motivo: un equilibrio militare. Crollato l’impero sovietico, quella spinta, individuata dallo stesso Gramsci, ha ripreso vigore, proprio grazie al nuovo scontro militare: in gioco non c’è solo l’Ucraina, ma la stessa volontà di predominio del mondo che è nel dna statunitense.

L’Europa ha perduto la sua importanza e la politica mondiale dipende da Londra, Washington, Mosca, Tokyo più che dal continente. Gramsci non poteva individuare il ruolo di Pechino eppure, con un secolo d’anticipo, già illustrava l’attuale assetto di forze. […] sta la convinzione che il conflitto con la Russia non solo è inevitabile ma è già impegnato, benché sotto forme strane e insolite che lo rendono invisibile agli occhi della grande massa nazionale.

L’eterno dilemma di una Russia più asiatica che europea, la cui conquista è stata oggetto di desiderio e fallimento di tutti i dittatori, da Napoleone in poi. La rivoluzione bolscevica e l’impero sovietico hanno solamente rimandato, quasi congelato, questa ossessione. Che oggi è più chiara che mai, sebbene nascosta all’opinione pubblica dalla retorica dei migliori. Eppure, la stessa figura di Putin si colloca perfettamente nel mosaico disegnato da Gramsci su come viene percepito da noi lo spirito russo e, a volte, imitato.

Essi si atteggiano spesso a fascisti russi, come amici di uno stato forte in cui la disciplina, l’autorità, la gerarchia abbiano a dominare sulla massa. Gramsci già aveva segnalato nella stabilità del potere russo (prima zarista, poi sovietico, ora oligarchico) una formidabile attrazione per il vecchio continente, dove invece le forze anglofone (Inghilterra e Stati Uniti) vedevano fisiologicamente un nemico da annettere o decomporre.

La posizione di comodo della Germania e della stessa piccola Italia di fare affari con gli oligarchi russi e chiudere un occhio (forse due) sui fenomeni di corruzione e di privazione delle libertà fondamentali nella Russia dell’amico di Berlusconi&Salvini, la dice lunga su quanto la nostra politica estera sia fondata su un day by day molto poco accorto. Ma anche in questo Gramsci aveva previsto l’endemica fragilità politica dell’Europa, dove le consorterie diplomatiche giocavano a risiko con territori altrui e governi di tiranni.

Un destino, quello della Germania, come motore e perno del vecchio continente, a essere sempre messa all’angolo dalla politica anglofona. In quest’ottica la grande attenzione di Biden all’Ucraina diventa perno per una forza centripeta nei confronti dell’Europa, più che della Russia stessa. E i suoi proclami sulla Nato unita non sono altro che un palese sminuire il potere dell’Europa e delle sue stanche diplomazie.

L’egemonia mondiale mette a rischio anche la guerra mondiale: è un perenne danzare sull’orlo di un precipizio, dove la combustione può sfuggire di mano da un momento all’altro. Gramsci aveva vissuto e analizzato la Prima guerra mondiale ma, nella sua altezza intellettuale, già presagiva le cause e le concause della Seconda e, in chiave forse più teorica, della Terza. Un concentrato di nazionalismi e di impotenze fasciste che, solo attraverso il bluff bellico, possono autolegittimarsi. Ma: se poi qualcuno vuole vedere le carte? Si gioca alla spartizione nel mondo durante il tè, poi qualcosa va storto, e amici come i nostrani migliori bocconiani e gli oligarchici mafiosi russi si trovano, forse senza volerlo, a lanciarsi le tazzine addosso. Chi muore paga il dazio del loro gioco e, almeno, sembra che lo spettro di una catastrofe nucleare sia parte di questo infantile mostrarsi i muscoli.

Come, del resto, già la Prima e la Seconda guerra mondiale: industria bellica in super produzione, equilibri geopolitici da ristabilire, forzature militari in ambiti ristretti e, dulcis in fundo, allargamento incontrollabile del conflitto e milioni di morti innocenti.

Contributo a cura di Luca Musella

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