Quello della violenza sulle donne nelle guerre, degli stupri come arma, è da sempre un argomento forte del pensiero femminista, ovvero puntare l’attenzione su come viene trattato il corpo delle donne durante i conflitti. – Adriana Cavarero, Il Corriere della Sera del 25 novembre 2023
Da secoli, dai tempi dei greci e dei romani, lo stupro è considerato un’arma di guerra. Si tratta di uno dei crimini di guerra meno riconosciuti della storia. La nascita di normative e di un’istituzione in seno alle Nazioni Unite per combattere questa grave violazione induce a pensare che ciò possa cambiare.
Il corpo delle donne è stato considerato campo di battaglia e strumento di conquista sin dagli antichi. Il “ratto delle Sabine” fu un momento fondamentale per la grandezza di Roma. Anche nelle opere di Omero, le donne troiane erano un bottino di guerra. Negli insegnamenti biblici, si afferma che il soldato poteva uccidere tutti i maschi e fare delle donne, dei bambini e del bestiame la sua preda (Deuterononio, 20, 14 Ma le donne, i bambini, il bestiame e quanto sarà nella città, tutto il suo bottino, li prenderai come tua preda). Nell’età medievale, la violenza sulle donne era il metro per misurare la vittoria militare ed era la ricompensa promessa ai soldati.
Lo stupro e il femminicidio in tempo di guerra sono connaturali al conflitto stesso, da sempre. Le prime voci critiche sono rintracciabili nel pensiero di Ugo Grozio, fondatore della scuola del diritto naturale, che nella sua opera De Iure Belli ac Pacis del 1646, pur giustificando il ricorso alla guerra armata, affermava l’assoluta necessità di proibire i conflitti che violassero i diritti dei popoli, sostenendo che lo stupro dovesse essere punito in guerra, come in tempo di pace. La prima affermazione della violenza sessuale come crimine di guerra avverrà due secoli dopo, grazie all’emanazione del General Orders n. 20 del 1847, con cui il generale Winfield Scott dell’esercito degli Stati Uniti elencava il novero dei crimini severamente vietati ai suoi soldati nell’adempimento dei loro doveri.
La prima condanna fu fatta quindi da un generale dell’esercito per proibire condotte talmente diffuse da rendere inutili i ripetuti richiami ai sottoposti. Eppure sono dei nostri tempi le migliaia di vittime di violenza sessuale durante la guerra in Bosnia Erzegovina che stanno ancora aspettando giustizia a causa della lentezza dei processi. Sono passati venticinque anni dall’inizio di quell’orrore: migliaia di donne e di ragazze violentate e costrette ad altri sistemi di violenza sessuale non hanno avuto giustizia, dopo essere state trattate come schiave, torturate e messe incinte nei “campi degli stupri”.
Un nuovo report di Amnesty International denuncia che neppure l’1% di tutti i casi di stupro avvenuti durante il conflitto ha raggiunto le aule di un tribunale, nonostante le prima cause in Bosnia legate ai crimini di guerra siano cominciate nel 2004, quindi ben tredici anni fa. In tutto si calcola che le sentenze emesse finora siano state appena 123. Gauri van Gulik, vicedirettrice di Amnesty International per l’Europa, afferma: «Oltre due decenni dopo la guerra, decine di migliaia di donne in Bosnia stanno ancora rimettendo insieme i pezzi delle loro vite distrutte potendo contare ben poco sul sostegno medico, psicologico ed economico di cui hanno disperatamente bisogno». Le vittime degli abusi sessuali compiuti tra il 1992 e il 1995 sono state di fatto costrette a un’esistenza precaria, «di stenti e penuria», anche per colpa di una mancata volontà politica di risolvere la situazione da parte delle autorità competenti.
Anche il conflitto tra l’Ucraina e la Russia è caratterizzato da numerosi crimini di guerra e contro i civili, tra cui violenze sessuali compiute dai soldati russi. A tal proposito, sono arrivate le prime conferme dell’estensione del fenomeno degli stupri da parte di organi indipendenti, oltre che da indagini avviate contro i presunti responsabili. Wayne Jordash, avvocato britannico e capo di Global Rights Compliance, organizzazione non governativa di diritto internazionale attiva sul territorio, ha detto: «Molte donne non denunciano le violenze subite e quando lo fanno spesso indicano le unità dell’esercito russo che se ne sono rese responsabili, per cui identificare i singoli soldati è molto più complicato». Jordash ha denunciato che a compiere violenze sono spesso soldati di basso rango che, tornati in Russia, non sono più rintracciabili.
La maggior parte delle testimonianze e delle prove raccolte sugli stupri arriva dai territori occupati e poi abbandonati dai russi. La procura generale ucraina ha avviato indagini per 154 casi di violenze sessuali compiute durante l’invasione: Irina Didenko, a capo del dipartimento della procura che se ne occupa, ha detto al New York Times che gli stupri sono molti di più. Oltre le violenze sessuali compiute contro donne, ci sono stati anche casi di violenze subite dagli uomini, catturati e violentati con scariche elettriche direttamente sui genitali. Le accuse di stupro riguardano anche l’esercito ucraino, benché in misura minore.
Le Nazioni Unite lo scorso ottobre hanno diffuso un rapporto conclusivo su indagini fatte tra febbraio e marzo del 2022 nelle zone di Kiev, Chernihiv, Kharkiv e Sumy. Nel corso dell’inchiesta sono stati documentati quelli che la commissione dell’ONU definisce crimini di guerra e violazioni del diritto internazionale, compiuti «nella stragrande maggioranza dei casi» dalle forze russe contro persone di età diversissime, dai quattro agli oltre ottanta anni. Le violenze sessuali e gli stupri sono stati perpetrati sia all’interno delle abitazioni delle donne che in altre case, abbandonate e disabitate a causa della guerra, in cui i soldati hanno portato le vittime per poi violentarle.
Anche il Consiglio dell’Unione Europea ha formulato alcune accuse precise e circostanziate sugli stupri e le violenze sessuali compiute in Ucraina dai militari russi. Il 7 marzo di quest’anno, a ridosso della Giornata internazionale della donna, ha emesso sanzioni contro due funzionari di alto livello dell’esercito di Mosca ritenuti responsabili degli stupri e delle violenze compiute dai soldati sotto la loro direzione. Il Consiglio indica una pianificazione a un livello più̀sistematico perché i comandanti russi avevano incoraggiato o addirittura ordinato le violenze sessuali.
In Ucraina si sono sviluppate reti e attività di vario tipo per difendere i diritti delle donne. Una di queste è JurFem, un’associazione di circa trecento avvocate fondata nel 2017 che ha sostenuto coloro che avevano subito stupri, raccogliendo testimonianze e offrendo sostegno legale gratuito. La commissione dell’ONU che ha indagato sulla questione dichiara che le autopsie delle donne uccise si concentrano sull’immediata causa di morte, senza necessariamente descrivere tutte le altre violenze subite prima dell’omicidio.
Ancora ascoltiamo le voci delle donne afghane che chiedono aiuto, costrette a rintanarsi in angoli reconditi di case isolate o a tentare la fuga verso posti altrettanto insicuri dell’Afghanistan. Inciviltà e ingiustizia sono in ogni parte del mondo. A Kabul i talebani hanno già ribadito che non ci sarà alcuna democrazia nel loro Paese: applicheranno la sharia, la legge coranica. Saranno ancora castigate e uccise le donne se mostreranno condotte improprie. Sarebbe necessario dunque capire quanto uno Stato sceglie di tollerare o non tollerare la violenza. Bisogna rendere noti gli esiti delle sentenze anche quando gli imputati non sono personaggi pubblici, ma persone comuni. La violenza è trasversale e globale, come la paura e il terrore.
Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha definito quella dei femminicidi «una pandemia ombra». Persiste una cultura che ostruisce i diritti delle donne. Alziamo la voce sempre e ovunque contro ogni femminicidio. Vanno denunciati i massacri delle israeliane perpetrati dalle armate terroriste di Hamas il 7 ottobre. Molti civili sono morti, ma le donne non sono state uccise nello stesso modo degli altri. Le violenze commesse contro di loro corrispondono in tutto e per tutto alla definizione di femminicidio, ossia l’omicidio di donne o ragazze a causa del proprio sesso. Queste donne sono state fatte sfilare nude, sono state violentate fino a romperne il bacino. Anche i loro cadaveri sono stati violentati. I loro genitali sono stati sfibrati. Hanno urinato sulle loro spoglie. Alcune sono state decapitate, altre smembrate e bruciate.
La guerra è sempre dentro una logica demoniaca di violenza estrema e indica drammaticamente il radicale fallimento di un dibattito politico internazionale capace di usare la mediazione diplomatica come strategia non violenta. Il prezzo più alto di questa perversione intramontabile del primato capitalistico dell’economia militare viene pagato dalle donne, dalle bambine e dai bambini, dai civili che spesso non aderiscono alla scelta armata per la risoluzione dei conflitti, scelta che porta a stragi enormi e terribili di innocenti.
In Italia un gruppo di femministe e pacifiste, appartenenti all’associazione Osservatorio Interreligioso sulle Violenze contro le Donne (O.I.V.D.), ha rilanciato l’appello delle femministe francesi, facendo anche la proposta di aggiungere alla categoria “stupro di guerra” quello di “femminicidio di guerra”. Non bisogna smettere di lottare per difendere le donne e i civili contro ogni genocidio, contro ogni barbarie bellica.
In allegato, i link alla petizione: