Giugno è il mese dell’orgoglio gay. O, meglio, della fierezza, non trattandosi essa di un sentimento di superbia e volendo restare fedeli alla traduzione dell’originale. Il Gay Pride Month, infatti, non denigra l’eterosessualità né si presenta come una celebrazione dell’omosessualità su tutto il resto. Come molti dei movimenti egalitari, tenta di ristabilire l’equilibrio tra minoranze e privilegiati, anzi, tra i privilegiati e tutti gli altri. Rappresenta, semplicemente, l’orgoglio di essere se stessi senza alcun bisogno di rinnegarsi, accettando le proprie caratteristiche e opponendosi alla vergogna, quella condizione nella quale la sessualità non binaria ha vissuto per secoli.
Si fa risalire a esattamente 50 anni fa, il 28 giugno 1969, l’inizio del movimento di liberazione omosessuale. La data è simbolica poiché commemora la rivolta di Stonewall, una serie di scontri violenti tra gruppi dei movimenti gay e la polizia di New York.
Durante il Pride Month, l’Italia e il resto del mondo – soprattutto occidentale – si tingono di arcobaleno, ospitando in varie città le Pride Parade, le marce e le manifestazioni in onore della difesa dei diritti della comunità LGBTQ+. Lo scorso weekend, ad esempio, è toccato a Torino, mentre il precedente Trieste, Ancona, Messina, Pavia e Roma sono state protagoniste con sfilate incontenibili che hanno coinvolto migliaia di persone da tutto lo Stivale. La partecipazione ha visto sindaci, rettori, esponenti culturali e istituzionali e ne vedrà ancora nelle prossime settimane di marcia, distribuite tra decine di altre città italiane. Nel resto del mondo, dalle piazze di Vienna a quelle di Tokyo, i colori della fierezza stanno spopolando alla ricerca di quei diritti ancora tanto ignorati.
Le manifestazioni sono arrivate a distanza di pochi giorni dalla recente tragedia avvenuta a Londra, che ha coinvolto due ragazze inglesi percosse da un gruppo di ragazzi poiché rifiutatesi di baciarsi per il divertimento dei predatori. Un avvenimento molto più frequente di quanto se ne discuta effettivamente, l’ennesimo di molti in cui le vittime sono considerate oggetti sessuali o mostruosità innaturali che non meritano diritti. Solo in Italia, infatti, sono stati 57 i casi di omofobia violenta denunciati nel 2018, testimonianza del fatto che le Gay Pride Parade abbiano ancora molto lavoro da fare.
Indubbiamente, dalla prima manifestazione del 1969 sono cambiate molte cose, dalla conquista di sporadici diritti alla maggiore visibilità globale. Ma, prima tra tutte, la grande differenza è il coinvolgimento alle marce sempre più eterogenea, con una nuova umanità che dimostra che anche chi non fa parte delle bistrattate minoranze può battersi per i diritti civili e umani di tutti. Un enorme passo per il mondo intollerante che siamo abituati a conoscere, ma ancora troppo piccolo, finché sarà necessario organizzare eventi come le parate per un riconoscimento sociale e legislativo volto all’affermazione della pluralità. Negli ultimi giorni, inoltre, in occasione della visibilità che il Gay Pride ha ricevuto, l’immenso mondo digitale ha registrato innumerevoli dichiarazioni da parte di chi pretende parità, attraverso l’istituzione dello straight pride, l’orgoglio eterosessuale. Una richiesta estremamente contraddittoria, che pone l’accento sull’uguaglianza, dimenticando che il Pride nasce con l’intento di rivendicare quella parità, morale e legale, che la comunità LGBTQ+ è ancora lontana dal raggiungere.
I principi alla base del Gay Pride sono la fierezza di essere se stessi e la convinzione che l’orientamento e l’identità di genere siano caratteristiche innate dell’individuo, che non possono essere in alcun modo inculcate o modificate dall’esterno. Principi alla ricerca dell’uguaglianza e dell’accettazione applicabili a molti altri campi della vita, grazie all’ammirevole celebrazione della diversità, che scongiura il grigiore del conformismo e accoglie gli arcobaleni personali di ogni essere umano. Ma il più grande dei principi del Pride è la celebrazione dell’amore, verso se stessi e verso chiunque altro, tentando di ricordare che un sentimento tanto onorevole, che sia nei confronti di un uomo o di una donna, non può mai essere sbagliato.