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En marche… nonostante Strasburgo

Pasquale Manella di Pasquale Manella
9 Novembre 2021
in Attualità
Tempo di lettura: 5 minuti
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Nonostante quanto recentemente e drammaticamente accaduto a Strasburgo, la fatidica sera dell’11 dicembre 2018, la Francia non si ferma e continua a essere unitamente e convintamente en marche, ma non proprio come il pupillo della potentissima dinastia Rothschild, Emmanuel Macron, avrebbe immaginato e voluto. I gilet gialli continuano a protestare contro tutta una serie di rincari, a partire da quello sul carburante, e la sovra-tassazione che questi nascondono, anche se è risultato sin da subito piuttosto evidente come la questione degli aumenti sia stata solo l’ultima, pretestuosa goccia, grazie a cui il vaso (di Pandora) non ha potuto far altro che ineluttabilmente traboccare per le strade francesi, sia quelle continentali che d’oltremare.

Persino la piccola Isola de La Réunion, nell’Oceano Indiano, ha infatti vissuto e forse sta ancora vivendo un prolungato stato d’agitazione e anche nel resto d’Europa non stanno a guardare, in quanto già altre masse d’insoddisfatti hanno raccolto il testimone delle rivendicazioni provenienti d’Oltralpe, come ad esempio ha voluto fare il popolo verde tedesco, con la sua lotta per la decarbonizzazione del sistema di produzione dell’energia in Germania, certo in maniera molto più pacata, ma comunque en marche o marsch che dir si voglia.

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Gli autotrasportatori, intestatari della protesta almeno nelle sue fasi iniziali, hanno invece deciso sin da subito di farsi vedere in tutto il loro splendore fosforescente affinché l’opinione pubblica se ne potesse finalmente accorgere e, chissà, magari cominciare anche a marciare insieme a loro, in qualità di liberi citoyens, capaci di reclamare con voce rabbiosa la necessità di poter tornare a gestire la propria moneta e la propria democrazia. Nessuno in Francia è ormai più disposto ad accettare speculazioni mascherate da rincari e la ribellione per la prima volta, nella recente storia europea, rischia di diventare autentica Révolution, colorandosi di una protesta agitata in nome e per conto di interessi che non sono più quelli di una qualche S.p.A. finanziaria con sede ai Caraibi, bensì quelli di un popolo che pretende di essere libero in un libero Stato.

La gente scende per strada non solo perché non arriva più alla fine del mese, ma perché ormai lo scarso livello di risparmio privato che contraddistingue Paesi come Francia, Germania, Regno Unito e in generale un po’ tutti quelli dell’area mitteleuropea, a differenza dei Paesi mediterranei dove invece il problema del debito è di tipo angosciosamente pubblico, si sono paradossalmente e ferocemente accorti, in ritardo, che l’UE non è sinonimo di Europa.

Prima la Loi travaille e, in seconda battuta, le vicende legate al costo del petrolio con il relativo aumento del prezzo degli idrocarburi, hanno fatto quindi svegliare i francesi, e speriamo l’intero blocco ciecamente filo-europeista, dal lungo sonno finora goduto a spese d’altri, là dove tra i cosiddetti altri ci siamo anche noi, che non siamo riusciti a compensare la debole situazione finanziaria transalpina neanche attraverso il bail-in e altri furti analogamente organizzati. Il delfinato dello Scudo rosso in terra giacobina ha insomma mostrato i suoi secolari artigli e il popolo ha cominciato di conseguenza a indossare i suoi elmi e le sue armature colorate al grido di: Ciò che lo Stato non fa per il popolo, il popolo lo farà per se stesso. Troppo è troppo!

Già, il popolo, quell’entità informe costituita da corpi caldi di madri e padri che hanno avuto il coraggio di scendere in strada e urlare in faccia alla polizia: i miei figli mi guardano, anche se non sono qui con me! Il popolo, ovvero quella massa informe che anche la classe dirigente italiana e addirittura pensatori del calibro intellettuale di Massimo Cacciari si sono concessi il lusso di snobbare e definire come inesistente. Poveri ingenui! Differenti le parole, forse solo un po’ più prudenti, del Ministro per i rapporti con l’Europa, Paolo Savona, che invece in una conferenza con la stampa estera convocata a inizio legislatura ha apertamente sollecitato i suoi interlocutori sulla necessità di dargli ascolto, poiché quando il popolo si adira, sono guai. Non si tratta di fare il tifo per l’una o per l’altra parte, ma solo di voler provare a riconoscere, con un po’ di onestà intellettuale, quanto sia sempre più irrimediabilmente evidente la distanza che c’è tra certe élites servili del nostro Paese rispetto al fare napoleonico di altri. Certo, l’alternativa che ne deriva si chiama sovranismo, interpretato per altro secondo la più becera delle chiavi di lettura che se ne possano dare, ovvero quella populista, fondata su un concetto di sicurezza perseguita per decreto tramite cui si sta sostanzialmente cercando di spostare il costo di un deliberato cambiamento di modello economico, imposto fomentando ad arte uno stato di crisi permanente (M. Monti docet), dalle spalle di cittadini disperati – ma votanti – e traditi dalle proprie istituzioni su quelle di migranti espulsi per fame, guerre e devastazione ecologica dai loro Paesi d’origine prima e dai C.A.R.A./centri S.P.R.A.R. poi, per effetto di un provvedimento legislativo che li porterà a essere bersagli mobili lasciati alla mercé dello sfruttamento più bieco, nonché uccisi come ladri di polli nel nuovo far west che si va prospettando dove tutti potremo fare finalmente ricorso a quel sano, edificante eccesso di legittima difesa che attendevamo da tempo. Insomma, finita la pacchia, cominci pure la mattanza! D’altronde, non potendo vantare un’eredità neo-coloniale come quella francese (ne sa qualcosa l’attivista panafricano Mohamed Konare), se non è possibile sfruttarli a casa loro, tanto vale provare a farlo in casa nostra.

A ogni modo, al di là delle Alpi, gli episodi di guerriglia urbana non hanno mai smesso di susseguirsi in maniera sempre più aggressiva, almeno fino a sabato 8 dicembre, non solo nella capitale, ma anche nelle principali città del sud come Montpellier e Marsiglia, dove frange studentesche coese, inferocite e solidali con questa sorta di neo-giacobinismo 2.0, benché puntualmente mortificate dalla violenta risposta armata della Gendarmerie, non si sono certo risparmiate nell’aver dato fuoco ad alcuni licei o aver paralizzato la stazione ferroviaria di Saint Charles. La rivolta dei gilet gialli ci sta dunque dicendo, con i fatti, che quando il popolo si adira c’è davvero da aver paura, poiché trop c’est trop. Sarà vera gloria o solo l’inaspettata comparsa di poche, sparute, rumorose rondini che non faranno mai primavera? Non possiamo saperlo, per ora restano le irrinunciabili richieste, in parte già soddisfatte da parte del governo Philippe, di lavoro stabile, salario minimo garantito, pensioni dignitose, protezione delle competenze acquisite, diritto alla casa, fisco più equo (eliminazione delle accise sui carburanti) e politiche d’investimento commisurate rispetto a quelle che sono le caratteristiche del sistema socio-economico a cui si riferiscono, democrazia diretta e rappresentanza dal basso, costi della politica più contenuti e infine politiche di integrazione che prevedano il diritto d’asilo certo e la possibilità di conseguirlo frequentando corsi di lingua, storia ed educazione civica del Paese di cui ci si appresta a diventare cittadini, non sudditi, né tantomeno schiavi, poiché la liberté è legge e o è uguale per tutti o non vale per nessuno, con buona pace delle scuse chieste da Macron, il quale pare stia faticosamente cominciando a capirlo… forse! Ma il resto d’Europa?

Prec.

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