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Don Chisciotte, i giovani e la libertà

Giusy Gaudino di Giusy Gaudino
30 Giugno 2021
in Billy
Tempo di lettura: 4 minuti
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Il Don Chisciotte della Mancha del famoso autore spagnolo Miguel de Cervantes è una delle opere di maggiore popolarità del pianeta. Nato come parodia del genere cavalleresco, racchiude in sé una costellazione di generi letterari. Cervantes stesso confessò di aver letto, nel periodo di stesura del testo, anche i fogli che trovava per strada, riempiendo così pagine di storie di genere cavalleresco e pastorale, sentimentale ed epico, moresco e picaresco. Pubblicata in due volumi, El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha (1605) e Segunda Parte del Ingenioso Caballero Don Quijote de la Mancha (1615), l’opera, nel suo complesso, racconta le avventure di Alonso Quijano, un uomo di mezza età appassionato di libri di cavalleria, che decide di diventare un cavaliere errante dal nome Don Quijote (Don Chisciotte in italiano) e di mettersi in viaggio per difendere i deboli e riparare i torti, trasfigurando la realtà esterna secondo i canoni cavallereschi dei libri letti. Così, mulini a vento sono trasformati in giganti, locande in castelli, locandiere e prostitute in principesse. La sua trasfigurazione della realtà, naturalmente, lascia perplessi coloro che assistono non solo alla distorsione romanzesca che il protagonista fa delle situazioni in cui è coinvolto, ma anche alle sue azioni folli – sfide al duello, risse, penitenze d’amore – e al suo linguaggio arcaicizzante, appartenente a un’epoca, quella medievale, ormai superata.

È probabile che la storia sia stata iniziata mentre l’autore era in carcere per la seconda volta (ci finì, infatti, due volte: nel 1575 e nel 1602). Dalla sua reclusione e dal disincanto che lo accompagnò una volta tornato in libertà, in un momento della sua vita in cui aveva perduto ogni speranza, quindi, Cervantes creò un eroe bizzarro e sognatore, pieno di spirito ed entusiasmo. Il primo periodo di prigionia dell’autore si riflette in alcuni passi dell’opera, e il Don Chisciotte intero si presenta come un grande anelito di libertà.

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La libertà, o Sancio, è uno dei doni più preziosi dal cielo concesso agli uomini: i tesori tutti che si trovano in terra o che stanno ricoperti dal mare non le si possono agguagliare: e per la libertà, come per l’onore, si può avventurare la vita, quando per lo contrario la schiavitù è il peggior male che possa arrivare agli uomini.

L’opera non è, dunque, una semplice parodia dei romanzi cavallereschi, ma si configura come una lotta, da parte dei tanti personaggi incontrati dal cavaliere e dal suo scudiero Sancho Pancho, per la conquista della libertà. Se tale bisogno di essere liberi è evidente negli adulti del magnum opus cervantino, i pochi giovani ivi presenti non fanno che amplificarlo nel loro tentativo di svincolarsi dall’autorità genitoriale o sociale. Basti pensare al triste – e comico – episodio di Andrés, un pastorello che non ha famiglia e che decide di abbandonare il suo padrone violento – in seguito al disastroso intervento di Don Chisciotte – per divenire un picaro (un furfantello che vive di imbrogli) e non dipendere più da nessuno.

Per l’amor di Dio, signor cavaliere errante, se dovesse capitarvi di incontrarmi di nuovo, anche se vede che mi stanno facendo a pezzettini, non mi venga in soccorso né mi aiuti, e mi lasci, piuttosto, alla mia disgrazia.

O, ancora, il nobile Don Luis, un ragazzino di sedici anni che scappa di casa e si traveste da mulattiere in nome della libertà di scegliere chi amare. Quando i suoi servitori riescono a scovarlo e tentano di riportarlo a casa con la forza, egli non esita a difendersi.

Questo avverrà solo quando io lo vorrò [….]. Io sono libero e tornerò solo se ne avrò voglia.

Per non dimenticare Don Lorenzo, un giovane che, contro il volere del padre – che vorrebbe che studiasse legge o teologia – dedica la sua vita alla poesia. Lo stesso Don Chisciotte, in un momento di lucidità, dà una lezione di vita al genitore del poeta in erba.

Lasci camminare suo figlio laddove la sua stella lo chiama [….] Se il poeta è casto nella sua vita lo sarà anche nei suoi versi; la penna è la lingua dell’anima; i concetti che nascono in essa saranno gli stessi espressi nei suoi scritti.

Attraverso il mondo giovanile, con il contrasto tra la dipendenza da una figura adulta e il desiderio di autonomia e libertà di azione, il Don Chisciotte diviene metafora della vita umana: la paura e la speranza, l’incertezza e il coraggio, il dovere e il desiderio di essere liberi sono aspetti che costituiscono l’essenza di ogni uomo.

A partire da uno dei generi letterari meno credibili esistenti, Cervantes giunge alla verità, non a quella storica, ma a quella profonda dell’animo umano. Lo fa con sensibilità, serietà e ironia allo stesso tempo, in un modo inimitabile che lo rende unico e lo distingue da qualsiasi altro autore del suo tempo e non solo. La sua è un’opera per tutti e per pochi: per tutti quelli che cercano un libro che li faccia sorridere e per chi è disposto a coglierne i significati nascosti in profondità.

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