Mentre i più alti ranghi del governo tuonano le loro blande intenzioni di dare priorità alla natalità nelle loro scelte statali, gli organi nazionali preposti alla tutela della salute decidono di rendere gratuita la contraccezione ormonale per tutte le donne.
La salute riproduttiva e sessuale è forse uno degli argomenti più problematici del nostro Paese e l’incapacità di superare tabù e bigottismi è sintomo di una società che della parità di genere non si cura granché. Ma a ogni buona notizia si accompagnano dubbi complessi perché, soprattutto quando si parla di diritti delle donne, le soluzioni non sono mai semplici, come si può superficialmente pensare, e richiedono sempre interventi strutturali.
Il Comitato Prezzi e Rimborsi dell’AIFA ha annunciato, nella giornata nazionale dedicata alla salute delle donne, che la spesa riguardante la pillola anticoncezionale sarebbe diventata a carico dello Stato. Attualmente, questo farmaco si trova in fascia C, cioè nella categorie per cui l’acquisto è completamente dipendente dal cittadino, e l’intenzione sarebbe quella di trasferirlo in fascia A, prescrivibile su ricetta. La decisione che è stata accolta quasi come definitiva, però, in realtà non lo è affatto.
Per essere effettiva e pubblicata in Gazzetta Ufficiale, è necessaria l’approvazione del Consiglio di Amministrazione dell’AIFA, composto da membri del governo, un governo che è fondamentalmente contrario a questo provvedimento. Inoltre, non si hanno le idee chiare sui tempi di realizzazione né sui dispositivi coinvolti: solo la pillola, tutte le pillole, una per fascia, e le altre tipologie di contraccettivi ormonali?
La decisione dell’AIFA arriva, in ogni caso, in un momento particolarmente oscuro per la salute riproduttiva e sessuale delle donne, motivo per cui è stata accolta molto positivamente. Non che l’Italia sia mai stato un Paese illuminato in tal senso, ma da quando il governo Meloni si è fatto strada nel nostro ordinamento abbiamo presto compreso che anche i diritti che ci paiono inviolabili possono essere facilmente svuotati del loro senso. Eppure questo non basta per accogliere a braccia aperte un potenziale provvedimento che ha anche molti difetti.
Negli ultimi anni, alcune Regioni hanno iniziato a garantire la gratuità della pillola ad alcune donne, rendendole però disponibili solo nei consultori. Questi ultimi rappresentano, in realtà, un grande tassello mancante all’interno della discussione intorno alla salute sessuale e riproduttiva. Essi, infatti, sono i luoghi preposti proprio a garantire una procreazione responsabile, come stabilisce la Legge 405 del 1975, secondo cui i consultori dovrebbero garantire la prescrizione gratuita di prodotti utili alla contraccezione come strumenti per evitare gravidanze indesiderate e, dunque, tutelare la salute riproduttiva delle donne. Ciononostante, solo alcune Regioni, con iniziative apposite, hanno potuto garantire questo servizio – diritto – e solo a talune fasce di popolazione.
Quando si parla di salute riproduttiva, non si parla di natalità. E non si parla, come sostengono le reazioni degli esponenti politici al governo, neanche di contrasto alla natalità. La definizione di salute riproduttiva fa innanzitutto riferimento alla vita sessuale delle persone, che hanno il diritto di essere in grado di viverla in maniera responsabile, soddisfacente e sicura, avendo la libertà di decidere se, come e quando riprodursi. Si parla, dunque, in primo luogo di salute sessuale, quell’aspetto della quotidianità che nella bigotta Italia non si riesce a spiegare neanche nelle scuole. Ma, dopotutto, la sessualità libera e informata sarebbe alla base di un’emancipazione dai sistemi impari su cui si è sempre fondato il mondo, motivo per cui tanto interesse ad assicurarla è difficile trovarlo.
A volerla dire tutta, però, l’esperienza degli altri Paesi europei (sono tredici gli Stati dell’Unione che garantiscono la contraccezione gratuita) ha dimostrato che più la salute riproduttiva e sessuale è tutelata, più è semplice l’accesso alla contraccezione gratuita, più la natalità aumenta. Certamente si tratta di dati strettamente legati allo stato di povertà, agli altri fattori di parità e chiaramente alla divulgazione e all’educazione sessuale. Ma rendere la pillola gratuita non significa fare uno sgambetto alla natalità, come chi non vuole approvare il provvedimento tenta di farci credere.
Secondo le stime, a beneficiare della contraccezione gratuita sarebbero oltre 2,5 milioni di donne che ogni giorno assumono i contraccettivi orali. A esse si aggiungono quelle che, pur volendo, ancora non ne fanno uso, per scarsa sensibilizzazione e divulgazione o per insufficienti risorse economiche. L’Italia, insomma, ha un livello inadeguato – per non dire scarso – di accesso ai metodi contraccettivi e di tutela della salute riproduttiva. Eppure, nonostante la situazione di partenza, è inevitabile sottolineare che in questo provvedimento manca qualcosa: l’attenzione ai temi della responsabilità contraccettiva.
In un Paese in cui l’educazione sessuale non esiste, si è fatto lo sforzo di parlare di contraccezione, ma non di prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. E se questa appare la ragione più evidente di sgomento in vista dell’esclusione dei contraccettivi barriera – i preservativi – dal provvedimento AIFA, non si tratta, in realtà, dell’unico problema a riguardo. Di fatto, ponendo l’attenzione soltanto sui contraccettivi ormonali, non si fa altro che demandare la responsabilità esclusivamente alle donne.
Nella nostra società iniqua, in cui gravidanza e maternità sono già questioni esclusivamente femminili che contribuiscono alla disparità di genere, attribuire la responsabilità contraccettiva esclusivamente alle donne non può che aggravare ulteriormente la situazione. Soprattutto considerando che si preferisce rendere gratuito l’accesso solo ai contraccettivi ormonali, che sono farmaci che hanno conseguenze ed effetti collaterali, escludendo i contraccettivi barriera, che non comportano conseguenze sulla salute di nessuno. Effetti collaterali che sono il motivo per cui la sperimentazione sulla cosiddetta pillola maschile è in stallo da anni, ma che non si ha alcun problema a veder insorgere nelle donne.
La decisione dell’AIFA non è ancora definitiva e non è affatto detto che il Consiglio di Amministrazione la approvi o che la approvi in tempi brevi. Eppure, una riflessione in merito è necessaria perché le scelte di un organo scientifico, che ha tentato di adeguarsi alle direttive dell’OMS riguardo la salute riproduttiva e sessuale, riescono comunque a essere, in qualche modo, discriminatorie. Si riesce comunque a emanare provvedimenti tutelanti ma non del tutto, che sotto il velo del progresso nascondono secoli di imparità che siamo ancora troppo lontani dal superare. E se questo può sembrare un buon modo per iniziare a cambiare le cose, è fondamentale avere bene a mente tutti i limiti che ne conseguono e non dare per scontato che questi sforzi incompleti bastino per garantire diritti e parità.