Quando si tratta di discutere delle vignette di Charlie Hebdo, del limite sottile della loro satira spesso eccessiva, non so mai da che parte stare. Mi dico, in fondo Charlie ha sempre fatto questo, non è mai cambiato. Finché le matite bollenti dei vignettisti francesi si scatenavano contro i musulmani, andava bene a tutti. Maometto non è il nostro Dio, le leggi e le usanze dell’Islam non sono le nostre, i loro morti, in terre dove la guerra non ha mai smesso di esistere, non avevano la pelle bianca. Ammettiamolo, prima che due criminali entrassero all’interno della sede del giornale di Parigi, uccidendo dodici persone, molti neanche lo conoscevano.
I social, si sa, diffondono le notizie a una velocità impressionante, non spiegano molto, mettono in evidenza titoli e fotografie ad alto effetto, non propongono informazione ma pretendono un’opinione. Bisogna schierarsi a ogni costo. E la Francia, diciamoci la verità, è più chic, più elegante dell’Afghanistan o dell’Iraq, la bandiera dei nostri vicini di casa poi è simile al Tricolore, e la Tour Eiffel illuminata del paese occidentale colpito dal disastro è talmente ricca di fascino che nessun reperto storico di impareggiabile valore di Petra potrebbe mai scansarla dalle nostre foto del profilo.
Adesso, però, che se la prendono anche con noi, per la nostra politica da spaghetti, sottolineando l’inefficienza e la corruzione che sono il vero e l’unico cancro di questo Paese senza speranza, ci brucia, ci fa male, addirittura ci fa incazzare al punto che quasi (qualcuno per davvero) gli auguriamo un nuovo pazzo incappucciato che completi l’opera dei colleghi del gennaio 2015.
Anche a me non piace la satira di Charlie Hebdo. Non mi piaceva prima, quando il viso del profeta arabo aveva le sembianze di un fallo, e non mi piaceva ad agosto, quando le povere vittime del terremoto di Amatrice furono rappresentate come carne succulenta per i nostri ragù della domenica. Non mi piace oggi che la morte scivola lungo le slavine abruzzesi.
Allo stesso tempo, e in alcun modo, non riesco a farmi piacere nemmeno chi fa il permaloso solo se messo sotto “attacco”. Se noi italioti, ops… italiani, costringessimo, una volta per tutte, i nostri politici a scendere da quelle loro maledette, luride poltrone, a fare le cose per bene e a pretendere, vigilando, che siano fatte per bene, a non rubare e far rubare, a non concedere sempre e solo alla mafia gli appalti di un’Italia che crolla al primo soffio di vento, non staremmo a piangere tutti i morti di catastrofi evitabilissime. Certo i terremoti non cesserebbero, le nevicate neppure, ma quante case, scuole, chiese rimarrebbero in piedi se sottoposte a controlli veri, a perizie continue e certificate, anziché ad abusivismi incontrollati e mazzette per cui nessuno paga?
Ogni volta un nuovo scandalo, ogni volta, sempre e solo dopo, si scopre che… possibile che non ci stanchiamo mai?
Il punto è proprio questo, un po’ come per le vignette di Charlie. E, per fortuna, c’è qualcuno che con intelligenza e ironia ha saputo rispondere anche a quelle, rendendo merito agli unici veri eroi di tutti questi giorni fatti di becere campagne elettorali e sciacallaggio mediatico. Finché non tocca noi, ma proprio noi, non ci dà veramente così fastidio. Basta un post su Facebook, e la coscienza torna a posto, il senso civico si sente subito rinfrancato. Il proprio dovere è stato fatto anche stavolta. In fondo non c’era un figlio nostro in quell’hotel o sotto le macerie di Amatrice.
Al prossimo scandalo…