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“Borgo Vecchio”. Giosuè Calaciura racconta l’anima dannata di Palermo

Ci sono quartieri del Sud dove i palazzi si sfiorano quasi a baciarsi, dove le finestre sono teatro di commedie quanto di opere drammatiche, dove la legge la fa la strada e chiunque sa tutto di tutti, ma all’occorrenza fa finta di niente. Solo la Madonna ha la parola sovrana, solo la Vergine accoglie i peccati della gente di quelle strade e li abbraccia nel suo silenzioso conforto.

Borgo Vecchio è una frazione di Palermo. Il porto, da lì a pochi passi, prende la forma di una speranza. Luogo di storia e di storie, pregno delle sue contraddizioni, fa da sfondo e dà il nome all’ultimo romanzo, edito da Sellerio, di Giosuè Calaciura.

Per Andrea Camilleri, Giosuè Calaciura è un nome importante della letteratura siciliana e non solo, ed è, insieme ad altri pochi autori, l’unica ricchezza dell’isola. Per Fabio Stassi, invece, la Palermo di Borgo Vecchio è una città amara e feroce, porto di lutti e fatiche, teatro della disperazione, e deriva, dove la vita è ancora destino, e ogni riscatto impossibile, un luogo in cui l’umanità vi sopravvive come una disubbidienza all’inferno e chi la racconta ci commuove con la forza di un classico.

Borgo Vecchio è metafora dell’intero capoluogo isolano, racchiude in sé la polvere di qualsiasi aspetto caratterizzi la città e i suoi abitanti, luce e oscurità, compassione e violenza, confini e futuro, un mescolarsi di immagini poetiche e tragiche, di colori pastello come il celeste della casa di Carmela, e lamenti strazianti come le sofferenze del piccolo Cristoforo picchiato ogni sera dal padre ubriaco, da un lato soffiata dal vento di mare che scombina gli odori in vortici ballerini e porta fragranza di carne nelle case di chi carne non mangia mai, dall’altro divisa dalla piana distesa della metropoli, con i suoi negozi, le signore benestanti, la legge e le guardie.

Nella Palermo di Calaciura i bambini crescono già grandi, figli di una realtà che non lascia scampo e indottrina al peccato, dove un ladro dai piedi veloci è alla stregua di un eroe, una puttana lascia la sua unica figlia a crescere sul balcone mentre volge lo sguardo all’effige sacra di Maria durante le continue visite che riceve, e un cavallo allevato per le corse clandestine incarna i valori più autentici, raccontando della violenza.

Una storia leggera nella sua crudeltà, Borgo Vecchio, impreziosita dalla scrittura armoniosa, poetica e multiforme dell’autore. È una scrittura che non finge, non ammicca, non gioca a farsi indovinare, –  come capita invece ormai più spesso – ma lacera, penetra, schiaffeggia, risacca, sbanda, urla. È una scrittura viva. Scrive Giacomo Di Girolamo, giornalista e scrittore.

L’ultimo libro di Giosuè Calaciura è un romanzo breve che si legge come su un sospiro di vento, con il fiato spezzato e i rintocchi nel petto provati.

È così, in alcuni quartieri del Sud, lo spettacolo dura a volte pochi istanti, altri tutta una vita, sorge con il sole e non sempre tace nel buio, gli interpreti giocano a carte scoperte, non hanno bisogno di fingere, le storie che si rincorrono tra i vicoli sono già piene di tutte le leggende, bugie e verità che le mura raccontano. Borgo Vecchio è una splendida fotografia di queste realtà, un’eredità, una testimonianza che riesce dove neanche la legge può entrare. Dentro.

“Borgo Vecchio”. Giosuè Calaciura racconta l’anima dannata di Palermo
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