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“Baionette a Lhasa”: la verità dietro la storia

Fabiana Stornaiuolo di Fabiana Stornaiuolo
15 Giugno 2021
in Billy
Tempo di lettura: 3 minuti
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James Bond: l’agente segreto più famoso di sempre. Forse, avete già letto tutti i suoi libri e conoscete a memoria le battute dei film, ma come reagireste se poteste leggerne le gesta raccontate in prima persona? È un regalo che ci fa Settecolori. La casa editrice ha deciso di tradurre in italiano Baionette a Lhasa, resoconto storico di un’impresa reale, descritta minuziosamente dalla penna di James Bond. No, non quello di Ian, ma è sempre un Fleming: Peter, fratello dello scrittore, è il personaggio che prende vita.

Militare, giornalista e autore britannico. Dopo aver organizzato la difesa interna anti-tedesca durante la Seconda guerra mondiale ed essersi occupato di spionaggio all’estero, decide di documentare gli eventi che hanno forgiato le terre visitate nei suoi lunghi viaggi. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, spopolano i suoi libri di storia. Sul suo esempio, il fratello più piccolo dà luce al famoso eroe dal completo scuro: Bond. James Bond.

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Quest’anno, in Italia, arriva la scrupolosa ricostruzione storica dell’invasione britannica del Tibet. Con un magistrale lavoro di ricerca e documentazione grafica – in parte riportata nello stesso libro – Peter Fleming racconta la storia di un popolo, un piano e un Grande Gioco.

È il 1903. Le maggiori potenze imperiali giocano a chi riesce ad accaparrarsi la fetta più grande di mondo. In Asia, Russia e Inghilterra tengono vivo un adrenalinico braccio di ferro. Al centro di questa partita, il Tibet, che ha sul collo il fiato dell’India inglese a sud e della Cina a Oriente. A coprirla, l’ombra della Russia zarista, così vasta e così ingombrante.

È solo questione di tempo perché la benzina versata sul Paese divampi in un incendio. Lord Curzon, viceré dell’India, fa scoccare la scintilla. Come scrive l’autore, è la sua mente a concepire la spedizione in Tibet, alla cui guida viene posto il Maggiore Younghusband, eletto per l’occasione Colonnello. Lui, entusiasta di partire alla volta di un territorio isolato, difficile, crudo. Sente già di star rimodellando i confini del mondo: un piccolo uomo al cospetto di una grande impresa.

Ed è questo che Fleming analizza, oltre ai fatti: la psicologia degli attori principali di una storia vissuta e viva nelle conseguenze. Una storia che è il risultato di caso, intenzione, distacco – dalla vita, dall’etica, dal senso di realtà: una fuga nell’illusione delle strategie di potere.

Nel luglio del 1903, dopo mesi di stallo e nonostante la riluttanza di qualcuno, inizia questo Gioco. Dimentico, come tutti i Grandi Giochi politici, dei cuori nei petti delle pedine con cui i giocatori avanzano le proprie mosse. Anche in questo match, molti esseri umani cadono come pezzi di scacchi. Gli assaliti più che gli assalitori, vittime di uno scontro che non possono vincere e che inorridisce persino gli avversari più forti: Mi sono talmente stufato del massacro che ho smesso di sparare, anche se l’ordine del generale era di accopparne il più possibile.

Il libro penetra le trame della storia senza fermarsi alle superfici ingannevoli dell’apparenza. In esso, i protagonisti, abbagliati dall’ambizione, sembrano recuperare la vista davanti agli imponenti monasteri, alla grandezza della natura selvaggia e inospitale, che in silenzio e con forza li respinge. Qualcuno disse che gli ricordava più la ritirata da Mosca che l’avanzata di un esercito britannico. A causa dell’altitudine, sia gli animali sia gli uomini si trovavano a corto di fiato. Le truppe erano parzialmente equipaggiate contro il freddo, ma i pony e i muli, appena arrivati dalla soffocante valle di Tista, non lo erano.

Gli inglesi arrivano fino a Lhasa, centro nevralgico del Paese. Qui, un trattato sancisce la nuova vittoria britannica, amara e vile, perché combattuta ad armi impari. Inutile, perché molto al di sotto delle prospettive auspicate da qualcuno. Per certi versi scomoda.

Il Gioco va avanti, per scoprire alla fine che i vincitori sono solo nominali, che la sfida non è a chi vincerà di più ma a chi perderà di meno. I giocatori si accorgono di essere sempre stati pedine nelle mani di un Gioco più grande.

La penna di Peter Flaming mostra come la storia sia intrisa di battaglie personali, destini di interi popoli in balia delle ambizioni di un solo uomo, o se preferite di tanti uomini soli – non perché non accompagnati da nessuno ma perché chiusi in una prospettiva individualista, che non dice: Faccio parte del mondo, ma forgerò il mondo. Io, piccolo uomo, riuscirò da solo a guadagnarmi uno spazio di infinito. Queste donne e questi uomini hanno gli occhi fissi sull’obiettivo: la vittoria va raggiunta con ogni mezzo. Non si curano di tanti altri uomini e donne che vorrebbero potersi accontentare della propria vita finita e invece la vedono finire anzitempo, per il capriccio di qualcuno che ha deciso di giocare da solo.

Prec.

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