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Speriamo che (non) sia femmina

Alessandra Trifari di Alessandra Trifari
21 Giugno 2023
in Rubriche
Tempo di lettura: 5 minuti
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Sono splendidi tutti quei pancioni delle donne incinte che, con l’avanzare della bella stagione, sembrano essere sempre di più. Pancioni che ti circondano quasi, specie se hai trent’anni e la tua cerchia di conoscenze inizia a figliare senza freni che vorresti domandarti quanto effettivamente ci sia carenza di natalità. Per non parlare poi dei baby shower, o quelli che in Italia chiamano erroneamente così volendoci invece riferire ai gender reveal party – i baby shower sono le feste prenatali in cui genitori, amici e parenti si preparano ad accogliere i pargoli – cioè le tradizionali feste per scoprire il sesso del nascituro. Ed è qui che partono gli schieramenti. Team rosa o team azzurro. Femmina o maschio?

Ebbene, a conti fatti, sono davvero molti i futuri papà che dicono di preferire il figlio maschio. Che, al suono della parola femmina, sudano freddo, vanno in tanatosi, incespicano con le parole. Includiamo anche tutta la cricca di amici buontemponi che all’esplosione di coriandoli rosa esclamano frasi del tipo «povero te» oppure «ne riparliamo quando avrà quindici anni!». Analizzando tutto ciò e premettendo che, indipendentemente dal sesso il padre amerà il figlio o la figlia, più che una preferenza basata su del primitivo sessismo, sembra quasi una sorta di paura del femminile, anzi di approcciarsi al femminile inteso come un universo a parte, un mondo problematico, difficile da gestire e comprendere e che richiede quindi maggiori attenzioni.

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Per quanto oggi non sia più, per fortuna, un dilemma per (quasi) nessuno, un tempo vigeva il celeberrimo auguri e figli maschi, ormai sostituito da un più generico quanto ineccepibile l’importante è che sia sano. L’augurio che nascano figli maschi ha radici remote ma nemmeno troppo, in quanto proviene da un contesto sociale prevalentemente maschilista. I figli maschi portavano avanti la famiglia e il cognome – solo dal 2016 la Corte Costituzionale ha dato il via libera al cognome materno – e godevano di maggiori diritti poiché considerati i capifamiglia. Erano una forza lavoro sicura, specie nella cultura contadina, dove i maschi, in quanto sesso forte, rappresentavano una risorsa economica maggiore per il lavoro nei campi e i futuri guadagni. Alle femmine, ovviamente, era precluso il lavoro. Il più delle volte dovevano restare a casa a filare o aiutare nelle faccende domestiche. Raggiunta l’età da matrimonio, il loro compito primario era poi sposarsi e assicurare al marito una nuova prole sana e forte. Preferibilmente, maschi.

Ma che sospiro di sollievo riconoscere che, almeno su questo, le cose sono cambiate nel corso del tempo e avere una figlia femmina non è considerata più una sciagura (tralasciando il genericidio ancora in atto in paesi come Cina, India, Corea o Caucaso). Mettiamo quindi le mani avanti: il discorso che si vuole affrontare non riguarda tali estremismi ma il fatto che andare incontro a una figlia femmina, per quanto meraviglioso, resta per molti uomini sinonimo di problemi e ansie. Non qualcosa di negativo ma qualcosa di legato agli inconsci retaggi culturali. E al primo posto della classifica mettiamo lei: la famigerata gelosia.

Il mondo straripa di gag e storielle su papà paonazzi nel vedere la propria figlia crescere, approcciarsi alla vita, agli amori. Dopotutto, quella resta sempre la loro bambina. Una gelosia che, tra l’altro e guarda un po’, cessa di esistere nel caso in cui la figlia, ad esempio, dovesse essere omosessuale. Che succederà quando avrà quindici anni? Semplice, farà le esperienze che una comune quindicenne deve fare, con il sostegno e i valori dei suoi genitori.

È purtroppo ancora molto radicato nelle coscienze comuni che una ragazza che esce, ha una vita attiva e si approccia alla sessualità, ancora peggio se sperimenta diverse relazioni, potrebbe provocare nientemeno che l’apocalisse. Si teme il giudizio del proprio inconscio, ancor di più quello degli altri. Un ragazzo che fa queste cose, invece, continua a risultare un giusto, il campione di papà, una spallata di approvazione e via verso una nuova avventura. Perché un maschio è un alleato ma una femmina è un po’ come se fosse, in un certo senso, sua. Preziosa, amatissima. Ma sua. Chi la tocca è dunque un pericolo. Si continua, dunque, a rimarcare un femminile passivo contro un maschile attivo, una dinamica di potere e di ruoli di genere che non fa bene alle nostre figlie, alle donne del domani. E, per dirla tutta, nemmeno agli uomini.

«Già dalla nascita trattiamo maschietti e femminucce in modo diverso» spiega David Stein, professore di psicologia alla Virginia State University in Petersburg, negli Stati Uniti. «Per esempio tendiamo a rivolgerci con un tono più dolce alle bambine e a fare giochi più attivi e di movimento con i bambini». La sperimentazione, anche a costo di qualche batosta, è invece uno dei grandi pilastri per aumentare l’indipendenza, la consapevolezza e l’autostima sia di bambini che di bambine. Una fase estremamente delicata ma necessaria per generare degli adulti consci di se stessi e dei propri desideri.

Secondo i ricercatori, le bambine sono troppo spesso educate ad accontentare gli altri, a sottostare a una pressione culturale che mette al primo posto i bisogni altrui a scapito dei loro. «Dobbiamo cambiare quello che insegniamo alle nostre figlie» dice la scrittrice e attivista Chimamanda Ngozi Adichie. «Insegniamo alle ragazze a vergognarsi. Chiudi le gambe, copriti. Le facciamo sentire in colpa per il solo fatto di essere nate femmine. E così le ragazze diventano donne incapaci di ammettere che provano desideri. Donne che si trattengono. Che non sanno dire quello che pensano davvero. Che hanno fatto della simulazione una forma d’arte. […] Immaginate quanto saremmo più felici, quanto ci sentiremmo più liberi di essere chi siamo veramente, senza il peso delle aspettative legate al genere».

Perciò, cari papà, con tutta la comprensione possibile per le vostre ansie di crescere una femmina in un mondo ancora così ostile con il femminile, vi vogliamo dire che il vostro atteggiamento è il primo passo verso il miglioramento della società. Cercate di instaurare con la vostra bambina una comunicazione aperta, libera, già quando è piccola. Non abbiate paura di condividere con lei cose stereotipicamente maschili o femminili. Condividete con lei la sua pubertà, in cui non esiste alcun tabù, alcuna vergogna, esattamente come fareste con un figlio maschio. Rendetela conscia dei rischi che corre, ma non lasciate che tali rischi la privino delle sue libertà, dei suoi diritti.

Parlate con lei del sesso, che è la cosa più naturale di questo mondo e del modo per viverlo nella maniera migliore e responsabile possibile. Poiché, se una mia ipotetica figlia sedicenne dovesse restare incinta, il mio più grande rammarico non dovrebbe essere come ha potuto fare sesso!? bensì come ho potuto “fallire” nell’insegnarle l’importanza della contraccezione. Fregatevene del giudizio altrui perché una percezione distorta di sé fa solo più danno. Fate in modo che lei sappia di poter sempre contare su di voi. E ricordate che potete fare la differenza nel creare un mondo di uomini più felici e donne più felici, più onesti verso se stessi. Dobbiamo crescere le nostre figlie in modo diverso. Dobbiamo crescere anche i nostri figli in modo diverso.

Prec.

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Alessandra Trifari

Classe 1991. Dottoressa in storia dell'arte e disegnatrice. Scrive da sempre e la sua mente viaggia tra arte, cinema, musica e parità di genere. Dei due sentieri, sceglierà sempre il meno battuto.

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