Sono ormai state annunciate le nomination per gli Academy Awards 2022 – più comunemente noti come Premi Oscar – e, anche quest’anno, ci sarà da divertirsi con ipotesi e pronostici. Nomination equilibrate e abbastanza meritocratiche, non senza qualche sorpresa, che ci fanno attendere con fervore il 27 marzo, data della consegna dei premi, e che ci fanno ben sperare per la nostra Italia, in gara con Paolo Sorrentino.
Tra le pellicole schierate per l’ambita statuetta a miglior film c’è Il potere del cane (ben dodici nomination) di Jane Campion, già su Netflix e già vincitrice del recente Golden Globe per miglior film drammatico. La nota regista di Lezioni di piano (1993) ha dato ennesima prova delle sue finissime capacità di direzione, con un lungometraggio che si presenta come un western ma che lo è solo di facciata.
In realtà, assistiamo alle vicende di due fratelli cowboy, Phil e George Burbanke e del drastico cambiamento delle loro vite quando George (Jesse Plemons) decide di sposare Rose (Kirsten Dunst), già madre del giovane Peter (Kodi Smit-McPhee). Gli equilibri di Phil (Benedict Cumberbatch), ostile e provocatorio, verranno perciò scombussolati, minando la serenità della famiglia. Una candidatura assodata per un film estremamente introspettivo, che sa essere crudo e delicato come solo una grande autrice sa fare.
La regia può tranquillamente rendere ogni fotogramma un quadro a sé, perciò meritevole di vincere anche la suddetta categoria (vinta, anche questa, ai Golden Globe). E che dire di Cumberbatch: assolutamente uno dei favoriti come miglior attore, grazie a una performance più che convincente, in competizione con grandi come Javier Bardem (A proposito dei Ricardo), Andrew Garfield (Tick, Tick… Boom!) – tra i favoriti – Will Smith (King Richard), Denzel Washington (Macbeth). Il film vede anche la Dunst candidata a miglior attrice non protagonista e, nella categoria miglior attore non protagonista, ben due possibilità di vittoria con Jesse Plemons e Kodi Smit-McPhee, entrambi bravissimi.
Dieci nomination per Dune, ultimo capolavoro di fantascienza di Denis Villeneuve, il quale ha saputo svecchiare e potenziare l’ormai obsoleto adattamento di David Lynch del 1984. Primo capitolo che introduce, in un futuro distopico, il pianeta desertico Arrakis, detto Dune, e la nobile famiglia Atreides il cui figlio Paul, interpretato da Timothée Chalamet, con i suoi sogni quasi premonitori, sembra propenso ad avere un destino piuttosto speciale. Un film sì molto descrittivo, ma un piacere per gli occhi e per le orecchie, meritevole di aggiudicarsi miglior fotografia, montaggio ed effetti visivi e miglior colonna sonora. D’altronde, Hans Zimmer è una garanzia.
Nell’elenco per miglior film troviamo anche Belfast (Kenneth Branagh), Licorice Pizza (Paul Thomas Anderson), CODA – I segni del cuore (Sian Heder), Don’t Look Up (Adam McKay), Drive My Car (Ryûsuke Hamaguchi), King Richard – Una famiglia vincente (Reinaldo Marcus Green), La fiera delle illusioni – Nightmare Alley (Guillermo del Toro) e West Side Story (Steven Spielberg).
Se Belfast, elegante semi-autobiografia prevista nelle sale italiane per marzo, sembra il favorito, da non sottovalutare è il giapponese Drive My Car, già vincitore come miglior film in lingua straniera ai Golden Globe. Contentissimi per Don’t Look Up, dissacrante critica alla società contemporanea, in particolare quella statunitense (motivo per cui, quasi certamente, non vincerà) e La fiera delle illusioni – Nightmare Alley. In questa pellicola, attualmente in sala, Del Toro mette in scena nuovamente l’elemento mostruoso ma stavolta in versione dramma psicologico dai toni noir e con una scenografia mozzafiato che meriterebbe. Bravissimi Bradley Cooper e Cate Blanchett.
King Richard – Una famiglia vincente è forse il titolo più debole, in quanto da molti ritenuto sopravvalutato. La storia del padre e allenatore Richard Williams e delle sue figlie, Venus e Serena, note campionesse del tennis, risulta un po’ stucchevole ma tanto di cappello a Will Smith, protagonista e altresì produttore. Per miglior regia la sfida sembra veder primeggiare la Campion e Branagh ma chissà che non possa riservare interessanti sorprese. Attenzione, Drive My Car non scherza.
Siamo tutto sommato spiacenti nei confronti di Ridley Scott il quale, se non meritava affatto la candidatura di Lady Gaga per House of Gucci come migliore attrice in un film drammatico ai Golden Globe, meritava forse almeno una menzione agli Oscar per The Last Duel. Quasi assurdo che lo stesso regista sia riuscito a produrre a distanza di poco un pasticcio come House of Gucci e una più che ottima pellicola come The Last Duel, nonostante il flop al botteghino. Un film storico e dal cast d’eccezione – Matt Damon, Adam Driver, Jodie Comer e Ben Affleck – che racconta la storia vera dell’ultimo duello di Dio, così chiamato poiché era tradizione dell’epoca medievale lasciar stabilire a Dio chi dei due duellanti avesse ragione, attraverso un combattimento all’ultimo sangue. Ma non solo. Tecnica ineccepibile a parte, Scott affronta un tema delicato quanto attuale, lo stupro, e lo fa con maestria e consapevolezza. La sua esclusione delude non poco.
Jessica Chastain (Gli occhi di Tammy Faye), Olivia Colman (La figlia oscura), Penélope Cruz (Madres paralelas), Nicole Kidman (A proposito dei Ricardo) e Kristen Stewart (Spencer) sono le possibili migliori attrici protagoniste. La Colman è sempre sublime, ma la Chastain pare sia stata davvero formidabile in un film che ripropone l’ascesa, gli scandali e la rovina dei telepredicatori Bakker.
In corsa per miglior sceneggiatura originale, favorito è sempre Belfast, tra nomi altisonanti come Dont’ look up, King Richard, Licorice pizza e La persona peggiore del mondo, mentre la sceneggiatura non originale la vorremmo volentieri consegnare a Il potere del cane.
Per l’animazione, non possiamo che essere fieri per la presenza di Luca, Disney-Pixar ambientato in Liguria, ma la vittoria di Encanto, sessantesimo classico Disney, sembra quasi scontata. Ci piacerebbe tanto che Dos Oruguitas di Lin-Manuel Miranda diventasse la nuova miglior canzone originale, mentre la colonna sonora è in gara con quella di Don’t Look Up, Dune, Madres paralelas e Il potere del cane.
Ma la nostra già grande soddisfazione è scorgere Paolo Sorrentino con È stata la mano di Dio per miglior film internazionale. Dovrà vedersela con il temibile e stra-preferito Drive My Car e non sarà facile, ma confidiamo in quest’ultima perla del regista partenopeo. Qui Sorrentino non ha gridato, ha sussurrato, dirigendo un’autobiografia che ci riporta nella Napoli degli anni Ottanta, con il mito Maradona e Fabietto (Filippo Scotti), alter ego di Paolo, alla ricerca di se stesso dopo una terribile tragedia familiare. Premiato a Venezia ma sconfitto ai Golden Globe, questa intima confessione su schermo ci inorgoglisce anche solo per esserci.
Dunque, nell’attesa delle nuove uscite in sala, quali sono i vostri pronostici?