La tv degli ultimi anni, quella scatoletta nera figlia del berlusconismo, del capitalismo sfrenato raccontato, però, come una favoletta la cui nascosta morale è l’apparenza fine a se stessa, la totale mancanza di contenuti, fino, addirittura, a un letale incoraggiamento dell’ignoranza, ci ha più volte ripetuto, al punto da convincerci, che il comunismo fosse sparito, che la sinistra radicale fosse un qualcosa crollato assieme alle pietre del Muro di Berlino nel 1989, che i compagni fossero solo quegli individui vestiti della stessa maglia che segue il pallone alla domenica.
Come se non bastasse, ha spinto forte su concetti fuorvianti che hanno indotto l’ascoltatore medio a credere che le politiche volte al precariato degli ultimi tempi, i tagli alla scuola e alla sanità, le finanziarie che mettono in ginocchio la Protezione Civile e i fondi contro i dissesti idrogeologici, fossero manovre di sinistra, collocando il Partito Democratico e le sue proposte in quella zona una volta occupata con ben altra eleganza dal PCI.
C’è, tuttavia, chi non si arrende a questa definizione errata, chi combatte per collocare il partito di cui è responsabile nei luoghi e nel dibattito che gli appartiene di diritto, forte di una storia fatta di successi e opposizioni degne di questo nome, di battaglie al fianco del ceto medio e, perché no, di errori a cui si intende porre rimedio per dimostrare che il vento può cambiare e incoraggiare le bandiere rosse a sventolare ancora. Maurizio Acerbo, attivista abruzzese, già parlamentare, è il Segretario del Partito della Rifondazione Comunista e, con un folto gruppo di associazioni, centri sociali, gruppi politici alternativi, intende dare nuova dignità alla sinistra, intesa come nella Spagna di Podemos, nella Francia di Mélenchon, nell’Inghilterra di Corbyn.
L’abbiamo intervistato per offrirgli quella voce che i media hanno soffocato nel corso degli ultimi dieci anni.
Partiamo da una domanda che sembra scontata ma non lo è. Negli ultimi anni si è detto che il comunismo in Italia fosse estinto, che i partiti radicali come il Suo quasi non ci fossero più. È viva o no Rifondazione?
«Beh, mi sembra di sì. È viva e anche piena di coraggio. Rifondazione è cancellata dai media perché è uscita dal Parlamento, avendo scelto di non allearsi con il Partito Democratico. Resiste, però, come tessuto militante sui territori e continua a lavorare per la costruzione di una sinistra degna di questo nome, come accade anche in altri Paesi europei.»
Perché, secondo Lei, ha subito questa crisi? Perché è uscita fuori dal Parlamento e da tanti consigli regionali?
«È accaduto laddove ci siamo proposti come alternativa al PD, quindi, ovviamente, abbiamo dovuto fare i conti con le soglie di sbarramento. Ma non è così ovunque. Napoli, ad esempio, ha dimostrato, con l’esperienza de Magistris, che una proposta alternativa al PD è riuscita ad assumere dimensioni maggioritarie. Altrove non si è verificato questo tipo di condizioni. Credo, nonostante tutto, che una sinistra coerente non abbia alcuna possibilità di allearsi con un partito che porta avanti, oramai da anni, politiche indistinguibili da quelle di Forza Italia.»
Dopo Ferrero, il cui operato è stato quantomeno soffocato nella voce, con Lei al timone Rifondazione pare tornare ad avere una flebile voce. Cos’è cambiato?
«Ferrero ha dovuto gestire una fase difficilissima che è stata la rottura con il centrosinistra, la scissione di SeL, il conseguente ritrovarsi fuori dalle istituzioni. Ha dovuto gestire l’eredità della delusione derivante dall’esperienza di governo con Prodi. Tutto questo è ricaduto sulle spalle di chi ha dovuto coordinare Rifondazione Comunista. Voglio ricordare, però, che proprio in Campania, Rifondazione lanciò l’idea di rompere con quel tipo di centrosinistra e lo fece contro tutto e tutti candidando Ferrero, mentre la maggior parte dei dirigenti campani migrava in SeL e nel PD. A volte, c’è bisogno di andare contro corrente anche rischiandone il peso. Ciò che io, invece, sto cercando di fare, è portare avanti il progetto con massima determinazione, con un partito che metta le sue energie a disposizione di una nuova aggregazione che non sia quella del ceto politico, ma dei soggetti sociali che sono stati penalizzati dalle manovre recenti condivise da centrodestra e centrosinistra e dalla crisi.»
Pensando alle prossime elezioni 2018, come vi proponete?
«Abbiamo rifiutato di essere parte di questa lista che è nata intorno alla scissione D’Alema-Bersani e capitanata da Grasso, Liberi e Uguali, per una scelta di coerenza coraggiosa. Altri, invece, hanno deciso di imboscarsi lì dentro pur di avere dei seggi. Credo che non godessero di un profilo credibile e la sinistra deve smetterla di prendere in giro gli elettori, perché quella è una coalizione che ha come obiettivo di contrattare l’alleanza con il Partito Democratico. Quindi, lavoriamo a queste elezioni con realtà di movimento, con formazioni dal PCI fino a Sinistra Anticapitalista, soprattutto con tutte le persone che hanno partecipato con noi al Brancaccio che fanno parte di movimenti sociali. E lavoriamo su questo progetto che, su proposta dei compagni dell’ex OPG di Napoli, è stato denominato Potere al popolo.»
Quali saranno i punti cardine della vostra campagna elettorale?
«Partirei dal lavoro. All’interno del rispetto del fiscal compact, del pareggio di bilancio, dei trattati europei che centrodestra e centrosinistra hanno condiviso, non è possibile immaginare un grande piano per il lavoro conforme all’attuazione della Costituzione. Non è possibile neanche immaginare un rilancio dell’economia italiana che non sia quella del profitto per pochi, anziché di una crescita reale dell’occupazione. Sul lavoro abbiamo bisogno non solo di più impiego, ma di diritti. Pertanto, la tendenza delle leggi degli ultimi quindici anni, volte a precarizzare e rendere povero il lavoro, va superata abrogando tutte queste norme che hanno fatto del vecchio contratto a tempo indeterminato un sogno del passato e non un obiettivo che la gente dovrebbe avere nella vita. Quindi, lavoro buono e stabile e reddito minimo garantito a chi non ne ha, perché l’Italia è il Paese europeo in cui è più cresciuta la povertà.
Passerei, poi, all’istruzione. Va, innanzitutto, abrogata la Buona Scuola. Noi sosteniamo la proposta della LIP, la Legge di Iniziativa Popolare, e riteniamo che ci sia bisogno non solo di risorse, ma di rivedere tutta l’impostazione dettata dalle manovre degli ultimi anni, ci riferiamo non soltanto a Renzi. Tengo a precisare che, per noi, il programma di una coalizione popolare come quella a cui stiamo lavorando dev’essere non solo una lista di cose da proporre al Parlamento, ma un programma di lotta. Vuol dire promuovere delle cose al Paese, dei punti attorno ai quali mobilitarsi e, sicuramente, scuola, università e ricerca non possono essere solo soggetti elencati in campagna elettorale come fanno tutti. Va invertita la tendenza di cui tutte le forze politiche che hanno governato negli ultimi dieci anni si sono rese responsabili.
Il tema dell’immigrazione, poi, è il punto che marca maggiormente la differenza tra noi e gli altri soggetti politici. Ricordo a tutti che è vero che c’è polemica tra PD e centrodestra, ma di fondo c’è che in Italia è ancora in vigore una legge come la Bossi-Fini e il Decreto Minniti non ha fatto altro che peggiorare la situazione sul piano del riconoscimento dei diritti. Per cui, la nostra posizione su questo argomento è, senza se e senza ma, è quella dell’articolo 10 della Costituzione Repubblicana, è quella di chi considera un crimine contro l’umanità consegnare centinaia, migliaia di persone alle prigioni libiche nel deserto o all’annegamento in mare. Riteniamo, inoltre, che non sia vero che esiste un problema di eccessiva apertura delle frontiere, la realtà è che la decisione di avere una normativa chiusa come quella attuale produce di conseguenza un aumento di persone che per arrivare in Italia devono ricorrere a canali illegali a rischio della propria vita.»
Quale risultato vi aspettate?
«Considerando che la maggior parte della politica italiana è schierata a difesa degli interessi di pochi, noi pensiamo che una sinistra che prova a riorganizzare e a dare voce a chi sta in basso, a partire da chi le lotte le compie ogni giorno – e non solo attraverso qualche like su Facebook come i 5 Stelle – possa darsi la prospettiva di costituire una sorpresa. Credo che la maggioranza delle italiane e degli italiani sia, ad esempio, d’accordo con noi sull’abolizione della Legge Fornero, sul fatto che è assurdo raddoppiare le spese militari mentre si smantellano la sanità e la scuola pubblica, sull’idea di dare forza al lavoro contrastando il precariato. C’è bisogno di una rivoluzione che parta non dalla costruzione di grandi opere che arricchiscono i soliti gruppi vicini alle forze politiche attuali – a partire dalla TAV – ma, ad esempio, da una messa in sicurezza sismica e idrogeologica del Paese, il che creerebbe una notevole forza occupazionale diffusa, anziché il consueto arricchimento degli energumeni del cemento sostenuti dal solito sistema bancario. Credo che che l’esperienza di Sanders, di Podemos, di Corbyn, o Mélenchon, ci dica che cose di sinistra, se vengono proposte da persone credibili e coerenti, possono incontrare consenso. Quello che ci interessa ancora di più, però, è che la gente esca dalla passività a cui si sta abituando. Il nostro progetto tende a stimolare le energie sociali del Paese che sono tante. Bisogna smetterla di subire politiche volte all’impoverimento del ceto medio. Non mi sembra ci sia altra via.»
Per quanto riguarda il ritorno in auge del fascismo, invece, ci dice la Sua in merito?
«Credo ci sia un tentativo di gruppi neofascisti di inserirsi in un clima di cui portano la responsabilità le principali forze politiche e lo stesso sistema dei media. Ripetere in maniera ossessiva che il principale problema del Paese è l’immigrazione e fare dei migranti il capro espiatorio di tutti i mali degli italiani fa sì che, in questo clima, la propaganda xenofoba e razzista delle forse neofasciste trovi maggiore legittimazione sociale rispetto al passato. Il fascismo va contrastato come prevede la nostra Costituzione ma, al tempo stesso, c’è bisogno di una svolta delle politiche economiche. Posso dire anche che se dessero a quelli come noi un decimo del tempo di quello che hanno messo a disposizione di Salvini per fare propaganda dell’odio razziale, probabilmente in Italia avremmo un contesto anche politico e culturale diverso. Ho la sensazione che, come un apprendista stregone, la classe dirigente italiana preferisca dare spazio a un’opposizione impresentabile come quella fascistoide al fine di compattare l’elettorato democratico intorno a un gruppo come quello del PD che, altrimenti, avrebbe difficoltà a ottenere consensi. Sono apprendisti stregoni perché quando si avvelena il clima sociale di uno Stato le conseguenze non sono controllabili. C’è necessità di una sinistra che si batta per le stesse ragioni sociali che aprono la strada al ritorno di fenomeni di questo genere. Voglio ricordare, inoltre, che dopo il successo di Nigel Farage, per ciò che riguarda la Brexit, un chiaro progetto di sinistra socialista come quello di Corbyn ha riconquistato grandi settori popolari, così come Mélenchon in Francia ha bloccato l’espansione della Le Pen tra il ceto medio. Se non avessero, in questi anni, oscurato completamente la sinistra radicale, anche in Italia il dibattito sarebbe andato diversamente. Per la maggior parte dei nostri connazionali la sinistra è quella che ha votato assieme a Berlusconi la Riforma Fornero, quella della finanza, Marchionne, e questo consente a personaggi come Salvini di presentarsi come il difensore degli interessi popolari. Il primo ingrediente per combattere qualsiasi nostalgia del fascismo è quella di restituire la Costituzione al suo popolo. Quando la democrazia si svuota e la politica diventa anti-popolare, si perde fiducia.»
Avete, nel vostro gruppo, il sostengo dell’ex OPG di Napoli. Una rivoluzione, quindi, che finalmente include il Mezzogiorno e che parte proprio da lì. Quanto può determinare un vostro successo questa necessità popolare?
«Credo sia fondamentale ragionare in termini concreti. Il Mezzogiorno è stato massacrato dalle politiche degli ultimi vent’anni. Da questo punto di vista, l’esperienza napoletana di cui siamo parte sin dall’inizio, che ha visto l’incrocio di partiti della sinistra radicale, settori civici e movimenti sociali, per noi è fondamentale. Con i compagni dell’ex OPG abbiamo in comune l’idea che non basta avere buone intenzioni, ma bisogna fare in modo che queste tornino a circolare tra la maggioranza sociale di questo Paese. Credo che nel Sud Italia, Napoli rappresenti un segnale di speranza. Nonostante le difficoltà che l’amministrazione ha dovuto affrontare, compresa la scarsa collaborazione da parte del Governo, l’esperienza partenopea dimostra che è possibile una rottura con certe politiche. È bello che il Sud ispiri la partenza di un processo di ribellione nella maggioranza delle persone danneggiate dalle politiche degli ultimi vent’anni, ritengo sia un segnale estremamente positivo, che ci dà coraggio e ci mette sulla strada giusta per riunire le forze reali che muovono il Paese.»