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M5S e la questione morale: tutto dimenticato?

Alessandro Campaiola di Alessandro Campaiola
29 Gennaio 2019
in Attualità
Tempo di lettura: 4 minuti
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«Speravo che nel M5S fossero diversi»: fa riferimento alla questione morale, Luigi de Magistris, Sindaco di Napoli, quando esprime il suo parere negativo sull’operato dei pentastellati. «Già il fatto che abbiano stilato un contratto con Salvini, che non ha restituito agli italiani 49 milioni di euro, fa pensare». E come dargli torto.

Perché se la scalata del MoVimento ha portato, dopo anni di campagna elettorale, al maggior risultato possibile – ossia la formazione del governo del Paese –, il successo del gruppo fondato da Beppe Grillo si deve, soprattutto, all’attacco duro, ostinato, spesso aggressivo che ha mosso al fare della politica della Seconda Repubblica. Ogni tipo di illecito, più o meno grave che fosse (e spesso ancor prima che la giustizia si esprimesse in merito alle azioni contestate), è stato utilizzato dai grillini per svergognare i rappresentanti del popolo italiano: soldi dei contribuenti spariti o utilizzati per spese personali, rimborsi improbabili, atteggiamenti in contrasto rispetto alla deontologia che il ruolo di rappresentante delle istituzioni richiederebbe e così via. Qualunque occasione è stata quella giusta per urlare il disappunto, l’indignazione, i celebri vaffa.

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Negli anni, anche i parenti degli onorevoli, dei sindaci, assessori o semplici consiglieri, si sono dimostrati utili alla logica pentastellata per il consolidamento del proprio consenso. Chi non ricorda i videomessaggi degli attuali leader del MoVimento, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, scagliatisi contro papà Renzi, papà Boschi, le loro aziende e le banche di famiglia? Insomma, finché non è toccato proprio alla banda dell’onestà di occupare le poltrone che contano, i riflettori – in maniera più o meno subdola – sono stati puntati sempre sui responsabili della guida dello Stato.

Giusto così, penserete – e ci trovate d’accordo –, se non fosse che a queste, nel corso soprattutto degli ultimi anni, sono venute in soccorso una serie di bufale montate ad arte dal popolo della rete, profili falsi appartenenti ai social network di maggior utilizzo. Così la guerra alla vecchia politica si è fatta arcigna, sleale, priva di contenuti concreti ma carica di odio attraverso cui fomentare un elettorato già depresso e incazzato. Perché, è noto a tutti, i grillini hanno fatto della rete l’unico canale ufficiale per diffondere la propria propaganda. Adesso che i riflettori sono puntati sulle poltrone da loro stessi occupate all’indomani delle elezioni politiche del 4 marzo, però, i conti sembrano non tornare, proprio in materia di questione morale, il cavallo di battaglia. E se è vero che a ogni accusa rivolta loro da giornali e tv è, lì, pronta la solita risposta a offrire soccorso, quelli che c’erano prima, se ci si sente in costante bisogno di paragonare le proprie azioni a quelle del passato, è deducibile che non sia cambiato poi tanto. Per quale motivo, allora, continuare a dichiararsi diversi?

Il Primo Cittadino partenopeo – anch’egli spesso impegnato nella propria battaglia ai rappresentanti politici in tema di questione morale – fa riferimento alla notizia recente di cronaca che ha visto la ditta di proprietà della famiglia di Alessandro Di Battista colpevole del reato di lavoro irregolare, non normalizzato da alcun contratto tra titolare e dipendente. Stessa sorte era toccata, qualche mese prima, anche al Vicepremier Luigi Di Maio, con l’azienda di famiglia stanata dal programma Le Iene con l’accusa di impiego a nero di un lavoratore e, addirittura, di abusi edilizi per un capannone.

Da quale pulpito, verrebbe da pensare, non fosse che la finta sorpresa che sembra cogliere l’ex magistrato non è la stessa provata da una larga fetta dell’elettorato grillino, già pronto a non rinnovare la fiducia nel MoVimento. Su tutte, l’azione maggiormente contestata è l’alleanza stretta con la Lega di Matteo Salvini, ideale rappresentante di tutta quella politica a cui i 5S avevano promesso di voltare le spalle, perseguendo la via dell’onestà. Mai alleanze era il motto più cavalcato, in particolare da quell’Alessandro Di Battista che proprio contro gli attuali colleghi di governo dei grillini si scagliò con un video in cui elencava i vari ladrocini dei verde vestiti, fino ai 49 milioni di euro contestati successivamente anche dalla Giustizia italiana. A chiudere il cerchio, lo scorso 19 gennaio, è giunta la condanna recente contro il capogruppo al Senato della Lega per spese effettuate in Regione Lombardia attraverso i fondi dei contribuenti: forme di Auricchio, ostriche, Nutella, gratta e vinci, aperitivi, aragoste, taxi e auto a noleggio, una corona funebre, fuochi d’artificio e cartucce per la caccia. Questi gli acquisti che hanno imbarazzato i grillini ma che neppure sono bastati a mettere in crisi l’alleanza.

Altro che diversi, altro che onestà, altro che vaffa, anzi, quest’ultimo calza bene anche in questo caso. Se non fosse che l’elettore medio dei pentastellati ha eretto a semidio questi improvvisati rappresentanti politici e, dunque, si trova costretto a difenderli anche dalla propria coscienza, di un gruppo politico capace soltanto di clamorosi dietrofront non si sentirebbe parlare già più. Ma gli italiani, si sa, Berlusconi docet, hanno il gusto perverso di vedersi rappresentati da chi più imita i loro peggiori istinti, da chi trova il coraggio di andar contro le regole, il buoncostume e, addirittura, farne la cifra del proprio successo.

La sensazione è che qualcosa stia per cambiare e le prossime elezioni europee potrebbero dare una risposta importante anche su questo fronte. La questione morale potrebbe spostare non poco il peso sulla bilancia, con i grillini, stavolta, sul piatto perdente.

Prec.

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