È innegabile che ci sia stata la paura, e anche forte, di aver perso le piazze e di aver lasciato anche quelle a Salvini. Dopo avergli consentito di strumentalizzare la questione migranti, dopo averlo visto tentare in ogni modo di rendere le Forze dell’Ordine un corpo a sua disposizione, dopo avergli permesso di andare a raccattare voti nelle periferie – dove doveva andarci qualcun altro –, ci eravamo abituati, ormai, ad assistere agli show in cui i fan inneggiavano al leader della Lega e lo attendevano trepidanti per un selfie. E suscitava pure un certo sgomento il fatto che la sinistra, nata nelle strade, in piazza, se le fosse fatte sottrarre a dimostrazione del suo allontanamento dalla realtà e dalle esigenze dei cittadini.
Ma, si sa, le delusioni politiche vengono spesso colmate proprio da questi ultimi, i cittadini, quelli liberi, volenterosi e anche stanchi di avere a che fare da una parte con una becera propaganda sulla pelle dei più deboli e dall’altra con un silenzio assordante dovuto alla paura di perdere voti e di fornire assist al proprio avversario. E sono sempre i silenzi che spingono le persone a mettersi in gioco, a far capire che non tutto è perso, a spiegare che le sfide vanno combattute sul campo, mettendoci la faccia e le idee. Esattamente come accaduto agli inizi degli anni Duemila, quando nacque il movimento de I Girotondi che era riuscito a mettere insieme la parte sana della società civile per protestare contro le leggi-vergogna volute da Berlusconi: davanti a migliaia di persone che si erano riunite in Piazza San Giovanni a Roma – incredibile, la stessa da cui qualche settimana fa hanno parlato Salvini, Meloni e Berlusconi –, Nanni Moretti affermò che noi cittadini possiamo fare politica e possiamo farla con piacere: ognuno con le proprie idee ma rimanendo uniti.
Quel bellissimo messaggio è, oggi, alla base dei Fridays For Future, dove ragazzi e non di tutto il mondo riempiono le città per comunicare la voglia di un ambiente pulito e rispettato. Così come quel concetto ha portato tantissima gente a solidarizzare con Liliana Segre sempre per strada, sotto la sua abitazione, per far sì che ognuno di noi sia la sua scorta. E, venendo agli ultimi giorni, è lo stesso leitmotiv per cui lo scorso giovedì Piazza Maggiore, a Bologna, è stata sommersa da circa 12mila persone che in maniera pacifica hanno voluto ribadire che non tutti hanno bisogno di essere liberati, che non tutti abboccano agli slogan leghisti e, soprattutto, che c’è ancora chi sente il bisogno di invadere le strade per dimostrare che una fetta di Paese non tollera la barbarie di questa destra che trova la propria ragione d’esistere nelle paure dei cittadini e nel livore sociale.
E ancora una volta sono stati dei ragazzi – quattro giovani per la precisione – a organizzare quella che hanno definito come la prima rivoluzione ittica della storia, che era partita con l’idea di arrivare all’utopica cifra di 6mila partecipanti ma che li ha portati a doppiare il proprio obiettivo. Ciò ovviamente non deve illuderci né deve farci credere che in Emilia-Romagna la partita sia già finita dal momento che la campagna elettorale è appena cominciata e che l’ex felpato concentrerà tutto se stesso sulla regione che è da sempre roccaforte della sinistra. Quella piazza, però, deve rappresentare un segnale di speranza per chi pensa che si possa sviluppare una coscienza civile critica verso le preoccupanti inclinazioni sovraniste.
Un segnale di speranza, però, è giunto nelle stesse ore anche dalla famiglia Cucchi, che dopo dieci anni di battaglie ha trovato giustizia per Stefano, morto per colpa del pestaggio di Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, due carabinieri che hanno riempito di botte il geometra in una caserma romana. Già, un cittadino morto a causa di due servitori dello Stato nel luogo in cui avrebbe dovuto sentirsi più al sicuro. Tuttavia, non è questa la sede per ricordare le squallide dichiarazioni dei politici che nel tempo hanno mancato di rispetto a Stefano, non è il momento di tirare in ballo i vergognosi insulti che i Cucchi hanno dovuto subire e non è nemmeno il caso di riprendere chi, anche dopo la sentenza della Corte D’Assise che ha condannato i due militari a 12 anni di detenzione per omicidio preterintenzionale, ha collegato la morte del ragazzo alla droga: queste uscite si commentano da sole.
Vale la pena, invece, ringraziare e ammirare Ilaria Cucchi per averci dimostrato che si deve credere nella giustizia, che di fronte a ogni problema bisogna rimboccarsi le maniche e reagire, che lottare serve sempre, anche al costo di scoprire una verità che può fare male, e che, quando si combattono le battaglie giuste, non si è mai soli. Il suo volto e quello dei suoi genitori in tribunale, il percorso di questi lunghi e faticosi anni e la grinta che non è mai mancata nel pretendere a gran voce giustizia devono stimolarci a non arrenderci. Ecco perché la piazza di Bologna e la famiglia Cucchi sono tenuti insieme da un invisibile filo rosso: un filo di Resistenza.