Perché – da sempre – il potere utilizza e, persino, sfrutta la follia per raccontare e catalogare fatti, avvenimenti, persone, criminali, finanche intellettuali e dissidenti? Quali vantaggi si ottengono incasellando ogni comportamento umano tra le psicopatologie, rendendo, così, malattia la normalità? È a queste domande (e non solo) che Corrado De Rosa tenta di offrire risposta nel suo ultimo libro, Italian Psycho – La follia tra crimini, ideologia e politica (minimum fax).
«Il fatto che la psichiatria non sia una branca di certezze e che nessun esame strumentale possa confermare la presenza di una patologia presta il fianco alle strumentalizzazioni». Parte da questo assunto l’analisi dello psichiatra salernitano Corrado De Rosa, un saggio dal forte carattere narrativo che scandaglia le pagine sporche della storia d’Italia – dal caso Aldo Moro alla strage di Piazza Fontana, passando per i processi di ’ndrangheta e le vicende legate a Bernardo Provenzano – e il relativo uso della strumentalizzazione delle malattie mentali, talvolta adoperate per fini giudiziari (come per le mafie o il terrorismo di stampo fascista), altre per delegittimare l’azione di gruppi sovversivi.
Nel caso delle organizzazioni mafiose, così come tra gli apparati terroristici di natura fascista, infatti, le psicopatologie sono state – e tuttora sono – un mezzo per ottenere vantaggi legali. Il fenomeno (affrontato in maniera approfondita nella seconda parte di Italian Psycho) riguarda non solo i soggetti coinvolti nei provvedimenti della giustizia, ma anche apparati di Stato deviati, come psichiatri che avallavano la linea difensiva della follia perché in combutta con le organizzazioni criminali o in linea con l’ideologia nera, come per il celebre caso di Angelo Izzo.
Diversa è la prassi adoperata dalla diagnosi delle psicopatologie per marcare eventi di stampo estremista: bollare come pazzo un soggetto radicale vale a dire sgonfiare il valore politico del suo gesto. Non è un caso che gli estremisti si siano storicamente battuti – e ancora si battono – perché venisse loro riconosciuta la piena coscienza di gesti dall’intento dimostrativo. La loro azione vuole essere legittimata per affermare la propria ideologia, darle forza, persino ispirare. Non si ricordano, infatti, brigatisti che si siano avvalsi della componente psichiatrica per sfuggire alla sorte combinata loro dalla giustizia. Il senso della lotta armata era più forte e non poteva correre il rischio di essere banalizzato da un fattore di tipo mentale.
Vittime o carnefici della follia, l’unico marchio capace di privare parole e gesti di ogni potere. Lo sanno bene i governi, da sempre attenti all’utilizzo delle diagnosi di psicopatologie per gonfiare o svilire il significato di iniziative avverse a seconda dell’esigenza, rinchiudere chi si dimostra contro l’autorità o minimizzare il gesto di un pazzo per eventi che sono, al contrario, molto complessi. Come l’ex CIA, Allen Dulles, diceva già nel 1953 – concetto non a caso ripreso dall’autore –, «il controllo della mente è il grande campo di battaglia della guerra fredda, dobbiamo fare qualsiasi cosa per uscirne vincitori».
«La psicopatologia è chiamata in causa per ogni gesto che sfugge all’immediata comprensione», sostiene Corrado De Rosa in Italian Psycho. «Se un infermiere uccide la famiglia a Napoli, deve essere per forza matto. Come deve essere matto il padre di famiglia che, in provincia di Milano, ammazza moglie e figlio e, prima di chiamare la polizia, va al pub per vedere la partita con gli amici. Matti sono gli islamisti radicali, i serial killer, i sicari, i boss e i terroristi».
Etichettare un’azione straordinaria come un gesto a opera di uno squilibrato rassicura il pubblico che ne legge sui giornali. Un gesto che non si spiega con i criteri della razionalità deresponsabilizza il destinatario di quell’informazione che può, così, attribuire al fatto una spiegazione e la spiegazione è la follia, dunque qualcosa da lui lontano in quanto “normale”, “non pazzo”.
«Parlare di disturbi mentali, in questi casi, è pericoloso. Farlo significa lasciare intravedere una giustificazione per comportamenti, al contrario, profondamente umani». Esistono processi di pensiero di alcuni criminali che non sono così lontani dalle persone normali, e la recente storia d’Italia e del mondo ne sono un chiaro esempio. Basta restare tra i confini del nostro Paese – seguendo la narrazione di Italian Psycho – per analizzare con questa premessa il fenomeno del fascismo o guardare appena più in là delle Alpi e ai nazisti che al Processo di Norimberga dimostrarono di non soffrire nessuna patologia psichiatrica importante.
Italian Psycho, come L’alienista – il racconto di Joaquim Maria Machado de Assis che l’autore cita ad esempio in apertura del suo libro – racconta il tentativo del potere politico di venire a patti con la psichiatria. «Dov’è il confine tra normalità e follia?» si chiede il dottor Bracamarte. Corrado De Rosa prova a offrire una spiegazione analizzando il rapporto tra follia e potere nella storia più recente dell’Italia, relazione che le parole dell’autore descrivono meglio di qualunque recensione:
«Questo libro è il racconto dell’uso sovversivo della malattia mentale e della diversità nella storia recente dell’Italia, e i suoi protagonisti sono accomunati dall’essere stati vittime o carnefici di questa strumentalizzazione. È un viaggio lungo la linea di confine che separa la follia dalla scelta consapevole di uccidere, rapire, programmare stragi. È il racconto di com’è possibile manomettere i progressi della scienza per deresponsabilizzare gli autori di un reato, di quanto i comportamenti incomprensibili siano archiviati come patologici per una lettura di comodo».
