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India: miniere di carbone nelle terre indigene

Noemi De Luca di Noemi De Luca
28 Aprile 2022
in Attualità
Tempo di lettura: 5 minuti
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Pochi giorni fa, le autorità indiane hanno sfidato gli adivasi. Quest’ultimo è un termine hindi collettivo utilizzato per definire gli “abitanti originari” dell’India: si tratta dell’8.6% della popolazione nazionale, più di 104 milioni di persone. Gli adivasi sono la seconda popolazione tribale più grande al mondo, dopo quella africana, e il loro futuro oggi è a rischio. Da tempo, l’espansione incontrollata delle attività industriali ha costretto queste persone alla fuga, alla perdita delle loro case e terre ancestrali. Senza nessun risarcimento o luogo dove andare. Chi è potuto restare ha visto il proprio ambiente man mano deteriorarsi: la deforestazione sta provocando la scomparsa delle specie necessarie per la sopravvivenza, spesso basata sulla caccia e sull’uso delle risorse delle foreste. In questo aprile, il governo indiano ha approvato due nuovi progetti per l’estrazione di carbone nelle terre indigene: gli ennesimi.

La foresta di Hadseo, nel Chhattisgarh, è abitata da oltre 20mila adivasi e sarà l’epicentro dell’assalto minerario. Il primo progetto consiste nell’apertura della miniera di Parsa, un piano imponente che porterà all’abbattimento di oltre 200mila alberi. Il secondo, nell’ampliazione della miniera PEKB, che ha già distrutto boschi sacri e terre di vitale importanza per i migliaia di adivasi che vivono nell’Hadseo. Entrambi i bandi dei progetti sono stati vinti dalla compagnia Adani, una garanzia: già al centro di uno scandalo ambientale in Australia, la compagnia avrebbe violato ogni obbligo di tutela delle specie protette del luogo. Ma a chi importa? Sotto le foreste dell’Hadseo giacciono più di cinque milioni di carbone estraibili all’anno, per una durata di quarantacinque anni. Numeri da far girare la testa al governo indiano, che si riscopre padrone di un oro nero nel bel mezzo di una disperata lotta mondiale per le fonti energetiche.

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Il Primo Ministro Narendra Modi sta raddoppiando la quantità di carbone estratto in India negli ultimi dieci anni. Modi intende aprire ben cinquantacinque nuove miniere in varie parti dell’India e ampliare le centonovantatre già esistenti per portare la produzione di carbone a un miliardo di tonnellate annue. Un fatto che non ferirà solo gli adivasi, ma tutto il pianeta. Ormai sono anni che le popolazioni indigene bussano alle porte del governo, ma non ottengono alcuna risposta. Cortei, blocchi stradali, cause legali: è stata intentata ogni soluzione, ma il risultato è sempre lo stesso. Violenze, abusi e repressioni. Proprio lo scorso anno, le donne adivasi si sono riunite nel Bastar per commemorare la morte di due di loro, vittime di abusi sessuali da parte delle forze di sicurezza indiane. Una delle due, una ragazzina di sedici anni, si è tolta la vita dopo il trauma subito.

Le donne indigene hanno manifestato contro gli omicidi extragiudiziali, gli arresti e gli abusi sessuali ormai all’ordine del giorno per gli adivasi. Questa è la risposta del governo alle loro manifestazioni. Anche prima dell’elezione di Modi, le forze paramilitari avevano risposto brutalmente alla resistenza dei popoli indigeni. Non c’è nulla di nuovo. Gli omicidi vengono giustificati come encounter killings, un termine nato in India e Pakistan per indicare una sparatoria per legittima difesa. In realtà, è stato scoperto che tutti questi “incidenti” sono falsi: i paramilitari, dopo aver assassinato i propri obiettivi, lasciano nelle loro mani delle pistole per simulare lo scontro. Sono tanti ormai gli adivasi uccisi freddamente, brutalmente, dopo essersi opposti alla compagnia Adani. I più “fortunati” spariscono nelle prigioni indiane.

Secondo la compagnia Adani e il Primo Ministro, gli adivasi avrebbero dato il loro consenso all’apertura delle miniere. La Costituzione indiana lo richiede in maniera espressa: è illegale mettere all’asta pezzi di foresta senza l’approvazione dei loro abitanti, possessori di un diritto pregresso anche allo Stato. Gli adivasi smentiscono di aver accordato il proprio favore, da sempre operatori di una dura resistenza. I loro portavoce sostengono che il consenso sia stato estorto ad alcune comunità con la forza, di conseguenza non sarebbe consenso. Alcuni report di Amnesty International e del Ministry of Tribal Affairs spiegano bene come in India siano stati estorti permessi alle popolazioni indigene tramite minacce e abusi, aggirando la legge. Secondo la compagnia Adani gli adivasi avrebbero tutto da guadagnare dalle miniere: fioccano promesse di assunzioni e di agognata autosufficienza economica.

I portavoce degli adivasi hanno risposto con chiarezza: sì, appena aperte le miniere, la gente potrà lavorare lì per un po’. Ma prima o poi le miniere chiuderanno, e saranno di nuovo tutti disoccupati. Ma a quel punto, le loro terre non esisteranno più. Quindi, se stai parlando di autosufficienza, perché sradicare la giungla? Un assioma che la nostra cultura non ha ben chiaro. Le risorse esauribili sono, beh, esauribili: la cosa più stupida che possiamo fare è distruggere quelle naturali e infinite per ottenere un risultato a breve termine. Questa posizione viene da comunità afflitte dalla miseria: nel biennio 2015-2016, come riportato dal National Family Health Survey, il 45.9% degli adivasi faceva parte della fascia più povera della popolazione. La riduzione del livello di povertà è stata marginale e più di due terzi degli adivasi sono ancora indigenti.

Bambini malnutriti e sottopeso, adulti senza punti di riferimento: le barriere linguistiche e la lontananza dalle zone urbane hanno giustificato la loro esclusione dal sistema sanitario e scolastico. Da lì, nelle città sono fioriti stereotipi sull’incapacità e l’ignoranza degli adivasi. Dal margine si genera altro margine. Le promesse di occupazione delle varie compagnie sono, in questo contesto, puro sciacallaggio. Si tratta di sfruttare la miseria e la fame di un popolo per convincerlo a sacrificare tutto, le case, le terre, la cultura. In cambio di quattro monete. Come nelle false favole della colonizzazione, dove i conquistadores si accaparravano le terre dei nativi con perline e braccialetti. Storielle che nascondevano il sangue e la violenza, esattamente come adesso. C’è davvero una differenza tra gli Stati europei di allora e le aziende che oggi uccidono e stuprano, pur di appropriarsi di ogni risorsa vergine di questo pianeta?

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