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Il processo Grillo e l’interrogatorio da Medioevo

Alessandra Trifari di Alessandra Trifari
19 Dicembre 2023
in Attualità
Tempo di lettura: 4 minuti
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Negli ultimi giorni ha fatto e continua a far discutere il processo per lo stupro di gruppo in cui è coinvolto Ciro Grillo, figlio del noto Beppe, il fondatore del partito politico MoVimento 5 Stelle, ai danni di una studentessa italo-norvegese. In particolare, l’assurdità delle domande poste alla ragazza da parte di Antonella Cuccureddu, l’avvocata di Francesco Corsiglia, uno dei quattro imputati a processo (assieme a Grillo e Corsiglia anche Vittorio Lauria e Edoardo Capitta).

Il caso Grillo era balzato sulla cresta dell’onda nel 2021, quando i quattro ragazzi della Genova bene furono denunciati per violenza sessuale di gruppo. Silvia (nome di fantasia, ndr), diciannovenne all’epoca dei fatti, affermò di essere stata stuprata la notte tra il 16 e il 17 luglio del 2019, in Costa Smeralda, nella villa di Porto Cervo di proprietà della famiglia Grillo. Come dimenticare, del resto, il celeberrimo video postato dal politico su Facebook, in difesa del figlio e delle sue “bravate”. Quattro coglioni col pisello di fuori, li aveva descritti, suggerendo che la vittima non è credibile se la denuncia scatta otto giorni dopo il presunto stupro (traumi, questi sconosciuti).

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E si giunge, dunque, a processo, dal 2021 a oggi, presso il Tribunale di Tempio Pausania, in Sardegna. Nel corso dell’ultima udienza, la Cuccureddu ha rivolto a Silvia una serie di domande, tutte a raffica, che fanno semplicemente accapponare la pelle per quanto rimandino con sconcerto agli atti processuali del 1600. Ma se aveva le gambe piegate come hanno fatto a toglierle i pantaloni? E che tipo di pantaloni indossava? Lei ha sollevato il bacino? Ci può spiegare come le sono stati tolti gli slip? Come mai non ha reagito con i denti durante il rapporto orale? Perché non ha urlato? Perché non si è divincolata? Ma non era lubrificata? Lo stesso Dario Romano, il legale difensore della ragazza assieme all’avvocata Giulia Bongiorno, al termine dell’udienza ha parlato di un interrogatorio da vero e proprio Medioevo.

Silvia, un nome di fantasia, certo, ma una persona in carne e ossa. La sua deposizione è durata oltre cinque ore, nella quale ha raccontato in lacrime ogni cosa, dalla fatidica notte a seguito di una serata nella famosa discoteca Billionaire, alla denuncia a distanza di una settimana circa dai fatti. Ha detto di essersi sentita simile a una preda, poi ormai svuotata, esausta. Costretta a bere e poi a fare sesso con ognuno di loro, a turno, per più volte.

Ora, per quanto sia importante, come ha spiegato l’avvocato Gennaro Velle valutare la credibilità della denunciante, occorre specificare un paio di cose. In primis, non entreremo nel merito di questioni politiche o del caso in sé, non è questo ciò che ci interessa. Il punto è a monte, è ritrovarsi da presunta vittima a imputata, con domande e supposizioni che risvegliano le nostre coscienze sull’attuale e persistente difficoltà ad approcciare, a parlare in merito al concetto di stupro. E il fatto che a porre tali domande sia stata una donna dovrebbe far riflettere ancora di più.

Tralasciando i raccapriccianti dettagli sulla lubrificazione o meno – sappiamo credo tutti che un corpo, maschile o femminile che sia, può reagire in maniera molto diversa e contraddittoria rispetto alla volontà, in base alla situazione e alla necessità –, l’avvocata Cuccureddu ha esplicitamente affermato in un’intervista al Corriere che non è possibile obbligare una donna a un rapporto orale a meno che questa non abbia una pistola puntata alla tempia. Ciò rimanda spaventosamente al 1976, quando ebbe inizio il processo ad Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido per il delitto del Circeo. Donatella Colasanti e Rosaria Lopez furono rapite, violentate e torturate e Donatella, unica superstite, venne ritrovata quasi esanime all’interno del bagagliaio di un’auto. Al processo, tentarono di screditarla utilizzando le stesse arringhe. Da allora sono trascorsi circa cinquant’anni.

In merito alla valanga di critiche che l’hanno travolta, l’avvocata Cuccureddu ha risposto che sta semplicemente tentando di ricostruire i fatti e che faccio domande per annotare contestazioni su dichiarazioni che non tornano. Ma ci sono dei percorsi concettuali che ancora si fatica a padroneggiare. Non è davvero possibile descrivere la violenza sessuale in questo modo, non da professionisti. Non è così che funzionano le cose.

Come ha esaustivamente scritto in un post sui social l’attivista Carlotta Vagnoli, lo stupro si qualifica tramite le azioni, non le reazioni. Sono i comportamenti di chi agisce a essere ben chiari e definibili poiché chi mette in atto una violenza sessuale agisce secondo uno standard ben preciso, quello dell’abuso di potere, della coercizione, del dislivello di forza fisica, della minaccia. Le reazioni di una vittima, invece, si fondano su un principio di variabilità molto ampio, che va dal gridare e dimenarsi al pietrificarsi del tutto, fino addirittura ad assecondare il carnefice per evitare terribili conseguenze e far sì che finisca il prima possibile.

Non esiste una ricetta universale per chi subisce violenza. Sembra strano e assurdo doverlo ribadire oggi, a distanza di cinquant’anni dal Circeo e poi dal ben noto Processo per stupro, mandato in onda dalla RAI nel 1979, che tanto suscitò scandalo. A Fiorella, parte lesa e difesa dalla grandissima avvocata Tina Lagostena Bassi, venne detto che una violenza carnale con fellatio può essere interrotta con un morsetto. Mi piacerebbe entrare nella mente dei sostenitori di tale teoria… perché, si sa, se sei costretto/a a un rapporto orale, mordergli l’arnese gli farà senz’altro fare i salti di gioia e non sarà fonte di alcuna pericolosa conseguenza.

Prec.

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Alessandra Trifari

Classe 1991. Dottoressa in storia dell'arte e disegnatrice. Scrive da sempre e la sua mente viaggia tra arte, cinema, musica e parità di genere. Dei due sentieri, sceglierà sempre il meno battuto.

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