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Gramsci: il “male minore” contro ogni forma di Resistenza

Redazione di Redazione
21 Novembre 2022
in Rubriche
Tempo di lettura: 4 minuti
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L’esasperazione delle derive individualistiche spinge ad atti estremi che spesso sono dovuti a una ricerca personale di diritto al benessere concepito come un diritto naturale intimo e non collegato a un’ideologia di alcun tipo. Si potrebbe dire che vale il detto che un’orgia di signori consuma ciò che basterebbe a mille famiglie operaie; manca ogni accenno alla produzione e ai rapporti di produzione, però. Si tende così a costruire un ragionamento bidimensionale, giustificativo delle proprie rivalse, ma altrettanto giustificativo delle contro-rivalse. gramsci

Ma le stesse giustificazioni sono valide per tutti, per i gendarmi, per i giudici, per i giurati, per il carnefice: ogni individuo è chiuso in una rete deterministica di sensazioni, come un porco in una botte di ferro, e non può evaderne.

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L’individualista fa il gesto estremo ma, scollegato a un disegno preciso, il gendarme arresta, il giudice condanna, il carnefice taglia la gola e nessuno può fare a meno di operare così.

Lo sconcerto morale e intellettuale corrompe la società e isola le forze, anche quelle che partono da istanze alte. Ma questo isolamento determina azioni individualistiche, inutili, che anzi definiscono un maggior potere dell’ordine costituito. Una strada senza uscita, dove istanze di progresso e di reazione finiscono con il diventare comicamente complici del medesimo disegno.

Abbiamo talmente tanti esempi nella nostra storia che è difficile non dare ragione a Gramsci. Ricordo, giovane reporter, che presenziai ad alcuni dibattimenti in aula di Raffaele Cutolo, sul caso Cirillo, il consigliere regionale della DC rapito e poi rilasciato dalle Brigate Rosse, pare su intercessione della Nuova Camorra Organizzata. Bene, i terroristi che sfilavano in aula erano il più lontano possibile da qualsiasi idea di rivoluzionari e il groviglio tra malaffare, politica e lotta armata (mai del tutto chiarito) lasciava un alone di ambiguità difficilmente accostabile a una qualsivoglia causa egualitaria. Sensazione personale, si intende, però sembravano ai miei occhi di ragazzo tutti delinquenti comuni: camorristi, politici e terroristi.

La paura dell’azione solitaria selvaggia e della probabile reazione violenta di repressione apre il capitolo doloroso per noi italiani del “male minore”. Viviamo, da sempre, in una società dove ogni nostro movimento è condizionato da qualche tipo di emergenza. Come se andassimo a ristorante e, invece di scegliere cosa mangiare, confidassimo al cameriere cosa, assolutamente, non vogliamo ordinare, lasciando a lui l’onere di scegliere per noi. Quante persone di destra moderata e liberale si sono trovate sul trenino di Bunga-Bunga non tanto per scelta, quanto per ostacolare le sinistre? E quanti hanno fatto il contrario: un voto che è oramai un voto contro e mai a favore.

Ogni male diventa minore in confronto di un altro che si prospetta maggiore e così all’infinito. La formula del male minore, del meno peggio, non è altro dunque che la forma che assume il processo di adattamento a un movimento storicamente regressivo, movimento di cui una forza audacemente guida lo svolgimento, mentre le forze antagoniste (o meglio i capi di esse) sono decise a capitolare progressivamente, a piccole tappe e non di un solo colpo (ciò che avrebbe altro significato, per effetto psicologico condensato, e potrebbe far nascere una forza concorrente attiva  a quella che passivamente si adatta alla fatalità, o rafforzarla se già esiste).

Quello che in diversi ambiti Gramsci definisce processo molecolare, ossia dei mutamenti non repentini, ma progressivi, che tendono a farci digerire ogni forma di degrado, personale o collettiva.

Un cambiamento repentino, infatti, darebbe la possibilità di una Resistenza, viceversa lo scendere nell’abisso goccia a goccia, quasi non ce ne fa accorgere. Possibile che il fondatore del Partito Comunista Italiano avesse già individuato i meccanismi di una sua potenziale dissoluzione? Possibile che sia proprio questo meccanismo perverso a trasformare in burocrati grigi i nostri sindacalisti? Possibile che ogni movimento, se riesce a mettersi al centro della scena, venga inglobato dal sistema e trasformato nel suo stesso dna? Pare proprio di sì: una resa progressiva e implacabile, ma poco percepita anche da chi la esegue. Solo la conoscenza della storia e della propria identità possono impedire questo lento scivolare nelle sabbie mobili dei campi larghi: etici, economici o politici che siano.

Del resto, il senso di disfatta di aver osservato i nipotini di Gramsci arrivare a essere alfieri di ogni politica thatcheriana non sono riuscito a spiegarmelo fino a che non mi sono imbattuto in questo brano dei Quaderni. E non tanto per il cinismo dei leader, quanto per il lento corrompersi della base. Ogni giorno una piccola e progressiva rinuncia a identità e valori, ogni giorno un piccolo boccone amaro da digerire per la base, ogni giorno una piccola perdita di pudore e coerenza e il gioco è fatto: eredi di Don Sturzo e dello stesso Gramsci che rispondono proni e senza vergogna a ogni oligarchia finanziaria immaginabile.

Contributo a cura di Luca Musella

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