Il Don Chisciotte della Mancha, celebre opera di Miguel de Cervantes, si incentra sulle folli avventure di un uomo di mezza età che ha perso il senno in seguito all’eccessiva lettura dei libri di cavalleria. Ogni vicissitudine viene vissuta dal protagonista in compagnia di Sancho Pancha, un uomo di umili origini, sposato e padre, che don Chisciotte elegge come suo scudiero. L’avventurosa coppia non è, quindi, nel pieno della gioventù, così come la maggior parte dei personaggi incontrati durante il suo lungo cammino.
Se nella maggioranza delle loro peripezie don Chisciotte e Sancho Pancha sono circondati da adulti, non manca uno spazio, seppur ridotto, dedicato ai giovani. A questi, la critica ha riservato uno studio finora limitato, in alcuni casi screditandone il rilievo in relazione alla struttura e alla trama dell’opera. Ma il grande talento di Cervantes ci fa pensare che niente, all’interno del Don Chisciotte, sia scampato all’attento sguardo critico dell’autore, e che minore spazio non sia necessariamente sinonimo di minore importanza.
I giovani – il pastore Andrés, gli amanti don Luis e doña Clara e, infine, il poeta don Lorenzo – contribuiscono al fine ultimo della poetica cervantina: rappresentare, attraverso la verosimiglianza, l’uomo nella sua ricerca della libertà.
L’avventura di Andrés, inserita nel capitolo IV del primo libro, ad esempio, costituisce il primo atto eroico di don Chisciotte, il primo salvataggio di una persona in difficoltà da parte del protagonista nelle vesti di cavaliere errante, con un gesto reso ancor più nobile dal fatto che si tratti di un ragazzino di soli quindici anni.
Andrés è un guardiano di pecore che viene punito dal suo padrone, Haldudo a causa della continua sparizione di alcuni degli animali dal campo a cui il ragazzo deve badare. Una sparizione che gli costa nove mesi di detrazione del salario e un certo numero di percosse come punizione fisica. In questo momento interviene don Chisciotte. Tuttavia, nonostante Haldudo si giustifichi raccontandogli dei furti di Andrés e dei danni che ne conseguono, il cavaliere non vuole ascoltare ragioni e ordina al padrone di liberare il giovane e di dargli quanto gli spetta, con la minaccia di tornare a punirlo in caso non mantenga la parola.
Non appena don Chisciotte si allontana, però, Haldudo non fa che aumentare il numero dei colpi di frusta contro Andrés a causa dell’ingerenza del cavaliere errante.
La prima idea che il lettore si fa sui due personaggi incontrati, quindi, è che Andrés, giovane, legato a un albero, frustato e disperato, sia vittima della bruta furia di un uomo. Eppure, nonostante ciò, da un’analisi approfondita emerge un quadro diverso: sebbene si tratti di un ragazzino frustato dal suo padrone, è forse anche quest’ultimo, Haldudo, una vittima.
Come dicevamo, la causa del conflitto tra padrone e pastore è la perdita quotidiana di una delle pecore del gregge affidato ad Andrés; tale perdita comporta, a sua volta, ulteriori mancanze in termini di latte, lana e carne. Una perdita giornaliera che significa che Andrés non è semplicemente distratto durante la guardia, ma è probabilmente lui stesso artefice della scomparsa delle pecore. Il ragazzino è un ladro, un bellaco, ed è per questo che viene punito.
Non è innocente né ingenuo e ce lo dimostra fin dal principio: mentre Haldudo lo frusta, prima di scorgere don Chisciotte, si sente Andrés urlare Non lo farò più, mio signore, ammettendo di aver commesso un errore. Invece, in presenza del cavaliere errante, accusa il suo padrone di avergli negato il salario che si è guadagnato con il sudore.
Nell’atto di difesa, però, il nostro protagonista non è stato un eroe, bensì un antieroe: ha sovvertito un ordine sociale facendo sì che il servitore prevalesse sul padrone, tuttavia questo mondo capovolto ritorna al suo stato originario nel momento in cui egli va via. È Haldudo che lo ristabilisce punendo ulteriormente Andrés per aver tentato, attraverso il suo salvatore, di avere la meglio su di lui.
A distanza di diversi capitoli, Andrés incontra nuovamente don Chisciotte e gli rinfaccia le pessime conseguenze del suo intervento. Nonostante ciò, quello del cavaliere non va necessariamente interpretato come un fallimento per due ragioni. Innanzitutto, è proprio tale spiacevole evento che offre ad Andrés la spinta necessaria per abbandonare definitivamente il suo padrone nelle vesti non più di un semplice bellaco, di furfante, ma di picaro che vive di espedienti e imbrogli, dirigendosi verso Siviglia libero da ogni legame. Inoltre, la missione di don Chisciotte è di difendere i deboli dalle ingiustizie e dalle violenze, ed è esattamente quello che riesce a fare quando interrompe la punizione del ragazzo.
Nell’avventura di Andrés, così come nella sua avventura complessiva, la grande impresa del protagonista di Cervantes è di aver messo in pratica quella sua personale ideologia tratta dai romanzi di cavalleria. Il cavaliere viene, sì, sconfitto dall’erronea maniera di mettere in atto i suoi ideali, ma l’obiettivo resta nobile: la lotta per la sua libertà e per quella altrui. E la liberazione di un giovane legato a un albero è certamente una scena emblematica del grande principio di libertà che spinge don Chisciotte alla ricerca di grandi imprese.