Come previsto, i fatti di Capitol Hill stanno avendo ripercussioni in tutto il mondo. A eccezion fatta per i violenti fascistoidi che abbiamo visto in tutte le tv qualche giorno fa, dunque, dispiace per gli americani che, oltre a doversi sorbire le proprie questioni interne, tentativi di golpe e presidenti uscenti che non vogliono uscire, devono anche sentire su di sé la responsabilità dell’onda d’urto che l’occupazione dello scorso mercoledì potrebbe causare. È questo, in effetti, quello che si chiedono gli opinionisti nostrani, cioè se l’indecorosa trumpexit costituisca o meno l’inizio della fine dei sovranismi, motivo per il quale – per distrarci da quelle immagini – abbiamo seguito un po’ le reazioni dei segugi italiani del Tycoon.
Partiamo da Matteo Salvini, che quasi anonimamente ha dapprima condannato la violenza, ricordando che con la forza non si risolve nulla – come rivolgendosi a dei bambini –, poi ha affermato che ciò che è accaduto a Washington rischia di offuscare quanto di buono ha fatto Trump. Così, all’improvviso, per lui il problema non è che il Presidente americano sia il mandante morale delle violenze verificatesi, ma che in questo modo se ne rovini l’immagine. E, per deviare l’attenzione, è passato dall’indossare la mascherina del magnate americano a vestire, in udienza a Palermo, quella di Paolo Borsellino, riuscendo a farsi dare dello sciacallo persino dal fratello del magistrato.
Un po’ più raffinato, invece, è il concetto di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, che ha inviato una lettera al Corriere della Sera in cui afferma che, posta la gravità di quanto avvenuto, non accetta lezioni da una sinistra che governa da dieci anni senza aver mai vinto le elezioni e che critica la violenza solo se di destra. Ancora una volta, il suo modus operandi rappresenta il solito tentativo dei sovranisti di buttare tanti elementi diversi tra loro all’interno del calderone, schierandosi comunque contro i nemici di sempre: sinistra e Black Lives Matter.
E mentre eravamo lì, attenti a non perderci neanche un respiro di Meloni e Salvini per decretare chi dei due l’avrebbe sparata più grossa, delusi dall’onnipresente mantra de la violenza è sempre la strada sbagliata del leader della Lega, ecco che sulla scena ha fatto irruzione l’eurodeputata del Carroccio Susanna Ceccardi. Un commento imbarazzante, il suo, che ci saremmo risparmiati volentieri e per il quale qualche colpa è proprio degli USA che, se avessero impedito le tristi vicende del 6 gennaio, avrebbero evitato a noi le parole dell’ex super candidata alla Presidenza della Regione Toscana. Prima di perdere e scegliere di restare a Bruxelles, infatti, Ceccardi era data come la prima presidente di destra di una delle regioni rosse per eccellenza. Per fortuna, un sogno sfumato presto.
Questa volta, dunque, il primato tocca proprio a lei: venerdì, l’onorevole ha commentato quanto accaduto nel Transatlantico, affermando sui suoi social che i morti in America dopo gli scontri sono ben 4. Tutti sostenitori di Trump. Si fosse trattato al contrario di una manifestazione di sinistra questi 4 sostenitori sarebbero stati già dei martiri contro lo Stato che reprime la libertà di pensiero. Invece erano di destra, quindi facinorosi. Ashli Babbit è una delle vittime, era una veterana delle forze armate. Era disarmata quando è morta.
Ora, a parte l’ovvietà secondo cui i defunti erano sostenitori del Presidente uscente, dal momento che tutti quelli che hanno assaltato il Campidoglio erano lì proprio a difesa del Tycoon, è bene impedire che le parole di Ceccardi vengano normalizzate in quanto rappresentano un inutile tentativo di accostamento di situazioni totalmente differenti. Inoltre, partendo dall’assunto per cui, quanto meno per chi crede nell’importanza di scendere in piazza, ogni manifestazione che finisce con un morto è una sconfitta perché vuol dire che non si è riusciti a trovare un equilibrio tra l’obbligo di garantire l’ordine pubblico e l’imperativo morale di portare, anche sotto i palazzi del potere, le istanze, i bisogni e le rivendicazioni del popolo, va sottolineato che l’eurodeputata sbaglia a considerare quanto accaduto a Capitol Hill come una manifestazione di destra: quella era un’occupazione, un’aggressione nei confronti delle istituzioni, un tentativo di ribaltare un voto democratico.
Definendola come una mera manifestazione, invece, si cade nell’errore – e, certamente, era lo scopo di Ceccardi – di sminuire e stigmatizzare il pericolo costituito dallo schiocco di dita virtuale di Trump, che ha scatenato un precedente pericoloso: chi ci dice che da oggi un qualsiasi gruppo di sgangherati non provi a invadere qualunque centro decisionale dei diversi Stati? E, soprattutto, davvero una rappresentante delle istituzioni non si rende conto che, con l’assalto a un Parlamento come anche a un semplice Comune, non venga minata ancora di più la credibilità delle istituzioni stesse?
Ammettiamo, poi, che abbiamo difficoltà a capire a chi si riferisca quando dice che, nel caso i manifestanti morti fossero stati di sinistra, oggi sarebbero considerati dei martiri. Perché se, per caso, stesse facendo riferimento a Carlo Giuliani o ai fatti di Genova del 2001, sarebbe necessario ricordarle che il giovane ricevette un colpo di pistola da un carabiniere, fu per due volto travolto dal mezzo dei militari dell’Arma e, forse, ci fu persino un tentativo di depistaggio. Oppure, se si stesse riferendo ai fatti avvenuti alla Diaz o a Bolzaneto, ricordiamo che le torture da parte dei poliziotti nei confronti dei manifestanti, che di notte stavano alloggiando nell’istituto scolastico, sono state definite da Amnesty la più grande sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale.
In ogni caso, su una definizione l’onorevole si sbaglia di grosso, quando dice che, visto che erano di destra, li chiamiamo facinorosi: quelli che invadono il centro della democrazia di un Paese, quelli che non rispettano il voto dei cittadini, quelli che vorrebbero ottenere il potere tramite la violenza, noi non li chiamiamo così. Noi li chiamiamo direttamente fascisti.