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Billie Eilish: le opinioni sui corpi altrui non sono una responsabilità di chi li abita

Marina Finaldi di Marina Finaldi
28 Maggio 2020
in Rubriche
Tempo di lettura: 5 minuti
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Sulla mia musica

Sui miei vestiti

Sul mio corpo. 

Qualcuno odia come mi vesto

Qualcuno lo elogia

Qualcuno lo usa per screditare gli altri 

Qualcuno lo usa per screditare me

Ma ti sento che mi guardi

sempre

E niente di ciò che faccio passa inosservato

Così, anche se sento i tuoi sguardi

di disapprovazione

o il tuo sospiro di sollievo

se li assecondassi non riuscirei mai a muovermi 

Mi vorresti più bassa? 

Più debole? 

Più morbida?

Più alta?

Vorresti che stessi zitta? 

Sono le mie spalle a provocarti? 

Il mio petto? 

Io sono forse il mio addome?

i miei fianchi? 

il corpo in cui sono nata? 

Non era quello che volevi? 

Se indosso qualcosa di comodo

Non sono una donna.

Se mi svesto

Sono una troia. 

Non hai mai visto il mio corpo

Però lo giudichi

E giudichi me per questo

Perché?

Avanziamo ipotesi sulle persone

basandoci sulla loro taglia

Decidiamo chi sono 

Decidiamo quanto valgono

Se mi vesto di più 

Se mi vesto di meno

Chi decide cosa fa questo di me?

cosa significa?

Il mio valore è basato solo sulla tua percezione? 

O l’opinione che hai di me

Non è una mia responsabilità?

Questo è il testo integrale, tradotto in italiano, del nuovo video di Billie Eilish. La cantautrice 18enne ha caricato un cortometraggio sul suo canale YouTube contro il body shaming, argomento che la riguarda molto da vicino. In poche ore, il video ha superato i quattro milioni e mezzo di visualizzazioni.

Eilish è stata sempre criticata per il suo modo di vestire divergente. La cantante predilige le tute e l’abbigliamento comodo, le scarpe da ginnastica, le felpe di design, le bandane, i berretti, i passamontagna e i gioielli ingombranti. Sul suo corpo sono state fatte moltissime illazioni nel corso del tempo. La sua immagine è stata oggetto di morbosa curiosità da parte del pubblico e dei media, pronti a cercare di indovinarne le forme sotto i vestiti larghi a ogni nuova apparizione pubblica, a ogni concerto, in ogni nuovo video, nelle sue foto sui social media.

Per spirito di completezza, ricordiamo che Billie Eilish è appena maggiorenne e aveva solo 14 anni quando ha conosciuto il successo planetario. Dimostrandosi ancora una volta la più coraggiosa pop star da molte generazioni, Billie Eilish provoca i suoi voyeur scoprendosi e raccontandosi in Not my responsibility. Sulle note di suoni distorti e in qualche passaggio perfino disturbanti, la sua voce sussurrata narra cosa vuol dire essere quotidianamente esposti a questo tipo di attenzioni, cosa vuol dire essere giudicati e soppesati come individui sulla base del proprio aspetto e della personale scelta di conformarsi o meno agli stereotipi di genere.

Nel video, il corpo di Billie, muto, ammicca alla telecamera mentre le sue dita dalle unghie lunghissime indugiano sulla zip della felpa, poi sfilano la maglia. Le luci sono soffuse, accarezzano e avvolgono la cantante con i loro giochi di chiaroscuro. Alla fine del video, rimasta ormai in canotta, Billie si immerge in una densa melma nerastra fino a sparire. Da ogni immagine, da ogni parola, sprigiona un’incredibile potenza comunicativa. Mi ha ricordato, in alcuni passaggi, il bellissimo saggio/memoir di Roxane Gay intitolato Fame (in italiano è edito Einaudi Stile Libero) che parla del rapporto dell’autrice con il suo corpo e con l’obesità. In un paragrafo, Gay scrive: È questo che viene insegnato alla maggior parte delle ragazze: a essere esili e piccoline. A non occupare spazio. A non essere viste né ascoltate e se invece veniamo viste, allora a essere gradevoli per gli uomini e accettabili per la società. E la maggior parte delle donne lo sa, che da noi ci si aspetta che scompariamo, ma è una cosa che bisogna dire ad alta voce, ancora e ancora, per poterci opporre ad arrenderci a quello che ci si aspetta da noi.

Ed è proprio questo che fa Billie Eilish: usa la propria voce per occupare uno spazio pubblico, uno spazio in cui la situazione si ribalta. La vergogna non è più un connotato del corpo femminile della giovane artista, semmai è un sentimento che dovrebbero provare coloro che provano a imporci come dovremmo essere. Che lo spazio occupato da Billie sia online, poi, è altrettanto significativo. Tanto per cominciare, perché su internet siamo tutti alternatamente voyeur e oggetti dello sguardo altrui. Gli occhi della cantante puntati, attraverso lo schermo, in quelli di chi guarda il video fanno sentire lo spettatore meno certo della sua protezione tecnologica, a sua volta vulnerabile di essere scoperto nell’atto di spiare la Eilish. In secondo luogo, internet è anche teatro di rivoltanti spettacoli di body e slut shaming. I gruppi segreti su Telegram e su Facebook pullulano di immagini di donne fotografate contro la propria volontà o delle quali si diffonde inconsapevolmente l’immagine.

Gli uomini e le donne grasse sono costantemente sottoposti alla gogna mediatica, colpevolizzati per il loro aspetto, ridicolizzati, sviliti, imprigionati nell’equazione grasso = infelice e malsano. Su Instagram è facilissimo sentirsi a disagio con il proprio corpo, confrontandolo con i bronzei fisici perfetti delle influencer di bikini e dei supereroi di Hollywood. Proprio qualche mese è diventato virale anche un altro video contro gli standard impossibili che la società impone alle donne, questa volta con protagonista Cynthia Nixon, la Miranda di Sex&TheCity. Nel video, l’attrice recitava un pezzo di Camille Rainville del 2017, Be a Lady!. 

Proprio come nel cortometraggio di Billie Eilish, il video si concentrava sulle contraddizioni e sull’implicita impossibilità degli stereotipi di genere che ti vorrebbero sempre desiderabile, ma non al punto da essere considerata sfacciata; sempre elegante, ma non al punto da essere considerata superba; sempre magra, ma con le giuste curve; sempre sensuale, ma non al punto da essere considerata promiscua.

Alla fine del video, Billie riemerge dalla sostanza nella quale era sprofondata completamente coperta. La sua identità, spoglia dagli abiti che le parole e gli sguardi degli altri le hanno cucito addosso, diventa una macchia d’inchiostro: nera, indefinita, libera. Proprio come canta in una sua hit: if you think I’m pretty, you should see me in a crown. Your silence is my favorite sound. Se mi credi carina, dovresti vedermi con la corona. Il tuo silenzio è il mio suono preferito.

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