Negli ultimi giorni si parla dell’istituzione di una nuova professione: l’assistente materna. Il Governo Meloni vuole introdurre questa figura per fornire aiuto, anche domiciliare, alle neomamme fino ai primi sei mesi di vita del bambino. Un’operazione che costerà tra i 100 e i 150 milioni di euro. Ma sarà una figura di reale aiuto per i genitori?
L’assistente materna necessiterà di un corso di formazione, non di una laurea. Non si tratta, infatti, di una professionista sanitaria ma la figura descritta, in maniera attualmente astratta, dovrebbe assomigliare a una S.O.S tata. Ricordate il format televisivo? Risponderà, difatti, ai quesiti e ai dubbi delle neomamme, sia nelle prime fasi del ritorno a domicilio che nei mesi successivi. L’obiettivo del governo è di avere tre assistenti materne ogni 20mila abitanti.
Sorge, immediatamente, spontanea una riflessione: un numero così esiguo di professionisti riuscirebbe a prendere realmente in carico dei neo-genitori sostituendosi a una rete familiare? Lo scopo, nobile peraltro, dovrebbe essere quello di permettere la conciliazione tra esigenze familiari e lavorative dei nuovi mamma e papà ma tre assistenti ogni 20mila abitanti sarebbero, davvero, utili a tal fine?
Altra considerazione inevitabile è nei riguardi delle figure professionali di ostetrici e infermieri pediatrici, professionisti altamente specializzati che erogano, tra i vari servizi, anche assistenza nel post-parto che prevede la presa in carico della famiglia, a trecentosessanta gradi, sul territorio.
Le ostetriche stesse ritengono assurdo si debbano stanziare fondi per una nuova figura quando quella figura esiste già e andrebbe soltanto potenziata, così come i consultori. La Federazione Nazionale degli Ordini della Professione di Ostetricia esprime pubblicamente il proprio dissenso in una lettera indirizzata al Ministro della Salute. La stessa presa in carico di un’eventuale depressione post-partum va affrontata assieme a dei professionisti formati e nei consultori, ad esempio, vi è la figura dello psicologo.
Con la crescente alfabetizzazione digitale, alle madri potrebbe non bastare una figura con un solo corso di formazione quando a disposizione vi sono personalità altamente specializzate. Anche per rispondere a qualsiasi dubbio o domanda e non necessariamente di carattere sanitario. Questa nuova figura potrebbe arginare il ricorso delle madri ai pediatri? la risposta, secondo me, è negativa.
Paradossalmente semplici nozioni di puericultura, acquisibili con un solo corso, potrebbero essere colmate da un’intelligenza artificiale mentre la pratica e lo studio di una professionista ostetrica, o infermiera pediatrica, non è di certo sostituibile. Per contro, per permettere una ripresa dell’attività lavorativa della madre che non vuole rinunciare alla propria crescita professionale, non basterebbe potenziare i servizi? In alcuni casi, addirittura, crearli?
Si parla, nei riguardi dell’assistente materna, di far riferimento a un modello nordico già esistente e funzionante ma è necessario, a mio avviso, analizzare anche il contesto di politiche sociali di quei Paesi che godono di forti servizi pubblici per sostenere i neo-genitori a differenza di quanto, oggi, avviene in Italia. Ad esempio in Francia esiste la figura di assistente materna ma è anche vero, come abbiamo anticipato, che la Francia ha politiche di welfare e sostegno per le famiglie al momento della nascita del bambino che l’Italia lontanamente sogna. Dai costi degli asili nido agli aiuti economici che lo Stato eroga alle famiglie, ai vari congedi, permessi per l’allattamento. Non dimentichiamoci il contorno di sanità pubblica efficiente.
Siamo sicuri, quindi, che l’assistente materna potrà realmente incentivare la ripresa della natalità?
