È Alberto Bonisoli, nato a Castel d’Ario il 26 dicembre 1961, a ricoprire dal 1° giugno 2018, la carica di ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Ma chi è il sostituto di Dario Franceschini? Direttore della Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, presidente dal 2013 dell’Association of Italian Fashion Schools e dal 2017 dell’Association of Italian Art and Design Accredited Higher Education Insitutions, decano, dal 2008 al 2013, della Domus Academy, scuola di design di Milano, Alberto Bonisoli presenta un curriculum di tutto rispetto, con un profilo sicuramente più tecnico dell’ex papabile ministro grillino Tomaso Montanari, illustre storico e critico d’arte. Montanari, infatti, si è sempre concentrato sui temi della tutela e della conservazione, rivolgendo la sua attenzione alla qualità dell’esperienza museale piuttosto che alla quantità d’ingressi effettiva. Un’idea, la sua, lontana dalle logiche di mercato e di profitto e dalla gestione museale manageriale, abbracciando invece un concetto più tradizionale di fruizione e di governance.
Bonisoli, in cambio, sembrerebbe molto più vicino allo “stile Franceschini” visto che ha parlato di formazione in azienda e di sinergia tra capacità del pubblico e potenzialità del privato, ma anche di volersi spingere sempre più verso la valorizzazione e l’internazionalizzazione, la riforma dei musei, il raggiungimento di numeri sempre più grandi e nuovi mercati della creatività.
Durante la manifestazione del MoVimento 5 Stelle, #IlMioVotoConta, che si è svolta sabato 2 maggio a Roma, il neoministro aveva già esposto il suo pensiero e le azioni da attuare che ne avrebbero caratterizzato il mandato:
Quali saranno gli obiettivi che mi do e le linee guida? Il primo: più risorse, abbiamo bisogno di più soldi, dobbiamo spendere di più, che piaccia o meno ad alcuni signori. Bene: questi signori se ne faranno una ragione, noi dobbiamo spendere di più. Non spendiamo abbastanza, e questo, giusto per essere chiaro, vuol dire maggiori posti di lavoro nel pubblico. Noi dobbiamo assumere, non dobbiamo usare i precari all’interno dei beni culturali, dobbiamo investire su persone qualificate, motivate e competenti, che facciano un lavoro fantastico, come quello che ci meritiamo. La seconda cosa: voglio capire, valutare ed eventualmente cambiare il modo in cui i soldi vengono spesi. Pianificando, e magari controllando come vengono spesi. Sembra una cosa banale, vi assicuro che non lo è e probabilmente in alcuni aspetti sarà anche qualcosa di rivoluzionario. La terza cosa che mi impegno a fare è dare ascolto alle esigenze di chi lavora in questo settore. Fare delle leggi, e poi calarle dall’alto, spingere e magari non prendere in giro, ma trattare con estrema sufficienza coloro ai quali viene imposto un certo modo di lavorare, facendo capire che non è moderno, non è contemporaneo, non ha capito il cambiamento… mi dispiace, questo non funziona. Se vogliamo che le cose funzionino, noi dobbiamo chiamare le persone, coinvolgerle e farle lavorare insieme a noi. Queste sono le tre cose su cui vorrei lavorare.
Un ministro che ha voluto alzare molto le aspettative con questo suo discorso, ma che, tuttavia, dati alla mano, non si è mai effettivamente occupato nello specifico di patrimonio culturale. Sicuramente tutto ciò non potrà essere un impedimento al suo mandato. Soltanto le azioni e il tempo, infatti, potranno confermare o smentire le promesse che troppo spesso non vengono mantenute. L’unica cosa che si può fare, arrivati a questo punto, è credere alle parole pronunciate, e sperare che questa volta ci sia davvero qualcuno che possa rendere giustizia al patrimonio storico-artistico dell’Italia che, nonostante tutto, resta unico al mondo.
