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Vittime innocenti delle mafie, Don Ciotti: «Guardiamo alla sorgente, non alla foce»

Farouk Perrone di Farouk Perrone
22 Marzo 2021
in Attualità
Tempo di lettura: 3 minuti
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Il seme, quel concetto così sottile e potente, in grado di muovere da ventisei anni una rete di persone, associazioni e idee che costituiscono la comunità di Libera. Chi almeno una volta ha sentito parlare Don Luigi Ciotti, o ha letto qualcosa di suo, non ha potuto non cogliere quel riferimento che lo porta a contaminare chiunque incontri, a caricare di energia i presidi, rinvigorire gli ideali e dare forza e coraggio ai parenti delle vittime innocenti delle mafie. Ed è a loro, a chi è stato ucciso per mano della più violenta e criminale organizzazione, che è dedicato ogni 21 marzo. La data, ovviamente, non è scelta a caso.

Il senso di questa giornata, la stessa nella quale la natura si desta, vuole rappresentare, infatti, il risveglio delle coscienze, l’impegno necessario per smuovere gli animi. Chi in passato ha partecipato alla ricorrenza, che è molto più di una manifestazione, sa bene che rappresenta i due punti sui quali si sviluppa tutta l’attività di Libera: la memoria e l’impegno. La memoria si esercita con la lettura dei nomi delle ormai più di mille vittime innocenti di mafia, l’impegno si sostanzia nello svolgimento dei laboratori con le scuole, dei seminari con gli studiosi del tema e delle relazioni delle autorità che in maniera operativa si occupano a tutti i livelli delle associazioni mafiose.

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Don Ciotti sa che l’entusiasmo e la forza della giornata derivano dal fatto che una comunità, fatta di territori e storie diverse, si ritrova. E sa anche che quest’anno, come quello appena concluso, non è la stessa cosa. Per tale motivo ha ancora più senso quando chiede a tutti noi uno scatto in più perché dobbiamo inondare le nostre realtà di semi di fiducia. In questa frase, come in tutte le altre, non c’è mai un riferimento all’io, mai un riferimento a se stesso, ma sempre alla collettività, alla rete, che costituisce l’unico mezzo attraverso cui trovare la forza di ribellarsi.

Il suo è a tutti gli effetti un discorso di Resistenza che passa dalle parti più fragili della società, quelle che esprimono in maniera evidente la richiesta di bisogni. I bisogni di lavoro, scuola, cultura e giustizia sociale che sono il pilastro di questa Resistenza che è necessaria adesso, nell’ora in cui la crisi economica e la crisi sociale si sono mischiate, ora che è anche il momento in cui quelle necessità – che prima del COVID non erano altro che dei problemi la cui risoluzione era rinviata a data da destinarsi – si sono palesate tutte insieme.

Per questo il ricordo delle vittime, chiamate singolarmente perché tutti hanno diritto al nome, vuol dire difendere non solo quelle storie spezzate dalla mano mafiosa, ma anche difendere la libertà di tutti dal peggiore dei crimini, che è l’associazionismo malavitoso, per scongiurare il pericolo strisciante della normalizzazione dei mali, quali il gioco d’azzardo, le agro-mafie, il riciclaggio del denaro e la droga mercificata: tutti problemi enormi, complesse sfaccettature le cui conseguenze a volte sono facili da vedere tra i disagi della società ma la cui radice è lontana.

Il fondatore di Libera e del Gruppo Abele dice che dobbiamo guardare alla sorgente di questa catastrofe, non alla foce, e la sorgente si trova anche in un volume d’affari delle associazioni mafiose che si aggira attorno ai 220 miliardi di euro, quasi la stessa somma, tra l’altro, del Recovery Fund. E, allora, l’attenzione non può non spostarsi sul dibattito politico, arrivando a toccare il tema più divisivo e anche quello – da qualche settimana – più sottaciuto: la prescrizione, senza chiedere di aumentare o diminuire i termini, ma auspicando che non ci siano interpretazioni ingiustamente restrittive affinché si contribuisca alla realizzazione della giustizia sociale.

L’idea stessa di giustizia sociale lo portò, all’alba del Conte 1 e dell’odio che il linguaggio xenofobo stava provocando, a riempire le strade di magliette rosse per fermare l’emorragia di umanità che ancora una volta riprende, a tre anni di distanza, e che va fermata – dice – con strumenti quali lo Ius Soli, la cui mancata approvazione è da lui considerata una vergogna.

Insomma, in ognuna delle parole di Don Ciotti sta quel seme, che va diffuso cambiando la politica ma cambiando anche un po’ noi per non morire della malattia della delega. Che va diffuso dopo averlo impiantato, a fondo, nelle coscienze di ognuno di noi. Anche questa è Resistenza.

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