La plastica è ovunque. Pervade ogni dimensione della realtà materiale in cui ci troviamo a vivere: mezzi di trasporto, imballaggi, utensili di uso quotidiano, tecnologie, contenitori, mobilio, addirittura abbigliamento. E, a volte, anche il cibo che mangiamo. Economica e altamente riproducibile, ha monopolizzato il mercato sostituendo le più antiche, seppur più ecologiche, alternative.
L’immensità di casi in cui la plastica è impiegata, sebbene ci abbia notevolmente semplificato la vita, forse ce l’ha anche accorciata perché il suo utilizzo improprio e spropositato ha portato a conseguenze che in principio non potevamo immaginare e che, quando abbiamo iniziato a prevedere, abbiamo ignorato: in effetti, le alternative alla plastica – così come all’utilizzo di combustibili fossili – esistono da tempo grazie agli sforzi di una preoccupata comunità scientifica. Ma per anni non si è fatto altro che posticipare l’avvio di quel complicato e costoso processo di sostituzione, arrivando al punto in cui, oggi, si parla di sovrapprezzi e plastic tax.
All’interno dell’ondata ambientalista che è ormai giunta – in notevole ritardo – dalle potenze occidentali, si stanno studiando metodi per promuovere l’inserimento, in tutti i settori della produzione, di materiali ecologici alternativi. La tassa sulla plastica è una delle proposte che probabilmente comparirà nella Legge di Bilancio 2020 che il governo Conte bis sta per mettere a punto. La manovra prevede l’inserimento di un sovrapprezzo sugli imballaggi di qualunque genere di prodotto. Dunque, la plastic tax, che per ora sembra prevedere la maggiorazione di 1 euro per ogni chilo di imballaggio, sarà applicata alle imprese. Ma il timore che il disegno di legge suscita è l’alta probabilità che l’aumento di prezzo non finisca per scoraggiare i produttori, ma per gravare, inevitabilmente, sulle tasche dei consumatori.
L’Osservatorio Nazionale Federconsumatori ha infatti calcolato che, nel caso in cui la tassa graverà principalmente sul prezzo finale dei prodotti, si registrerà un aumento della spesa annua di 138 euro a famiglia. Si tratterebbe, quindi, di un’iniziativa che non solo rischia di pesare molto più sui consumatori, ma che probabilmente non servirà da efficace incentivo per ridurre gli eccessivi imballaggi o per agevolare la sostituzione della plastica con materiali biodegradabili.
La plastic tax dovrebbe entrare in vigore a partire da giugno 2020 e dovrebbe riguardare gli imballaggi fatti di plastica non biodegradabile e non riciclata. Secondo queste indicazioni, dunque, sembra che l’obiettivo del programma sia quello di scoraggiare non tanto l’uso della plastica, quanto il suo abuso e il non riutilizzo. Parte quindi dal presupposto che esistano campi in cui sia lecito utilizzarla, condannando solo l’usa e getta. In effetti, questo materiale ha monopolizzato il mercato globale non solo per la sua resistenza, ma anche per l’economicità che l’ha portato a essere il più utilizzato nei prodotti monouso. Una ricerca dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente statunitense ha stabilito che nel 2011 le plastiche costituivano il 12% dei rifiuti urbani, quando negli anni Sessanta non raggiungevano l’1%.
In realtà, secondo i dettami ambientalisti che tanto fatichiamo a rispettare, la plastica è dannosa in sé per sé, per molteplici ragioni, e non basta ridurre l’usa e getta per risolvere il problema. Il semplice utilizzo e l’usura non fanno che produrre continuamente microparticelle che si disperdono nell’ambiente. Esse sono prodotte dal lavaggio degli indumenti sintetici, con l’usura degli pneumatici o il deterioramento delle vernici. Le microplastiche, infatti, sono presenti in molteplici prodotti di uso comune dei quali si ignora la dannosa composizione. E il continuo deterioramento delle particelle fa sì che siano costantemente disperse nell’ambiente, nell’aria e nell’acqua, finendo anche nella catena alimentare.
Il grande cambiamento di cui l’ambiente ha bisogno non è la riduzione dell’uso della plastica, ma la sua completa abolizione. Il ritorno ai prodotti sfusi, al meno dannoso vetro e, forse, a un approccio decisamente meno consumistico. Tuttavia, un cambiamento così radicale risulterebbe impraticabile, tanto quanto non sarebbe possibile eliminare la plastica da un giorno all’altro, soprattutto se non si dà il via a un graduale, seppur rapido, processo di sostituzione di questa con materiali meno impattanti.
L’inserimento della plastic tax, infatti, per quanto da un lato possa limitarne la diffusione, dall’altro non offre alternative concrete e non garantisce le risorse necessarie affinché sia effettivamente ed economicamente favorita la scomparsa del dannoso materiale. Un fondamentale e urgente percorso che, tuttavia, non è stato ancora globalmente intrapreso per motivi di natura economica e che, da parte dello Stato italiano, non sembra in alcun modo promosso.