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OMS: l’identità transgender non è una malattia mentale

Chiara Barbati di Chiara Barbati
10 Giugno 2021
in Attualità
Tempo di lettura: 3 minuti
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Da sempre ostinata a rinchiudere la complessità umana in categorie, la società, anche se in evoluzione, fatica ancora a riconoscere – e a comprendere – la transessualità. L’idea che per qualcuno la propria identità non coincida con il proprio corpo sembra sempre troppo difficile da accettare, forse perché pare mettere in discussioni quelle rigide fondamenta su cui si basa la costruzione del sé.

Tuttavia, seppur i progressi siano sempre troppo lenti per la velocità del mondo, le cose cominciano a cambiare: dopo l’annuncio dello scorso anno, infatti, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità ha eliminato l’identità transgender dall’elenco delle malattie mentali. La decisione, approvata durante l’assemblea del 25 maggio, assume i connotati di una svolta storica che pone le basi per una civiltà più aperta alle sottili venature della natura umana. Ma in seguito alla nuova posizione presa dall’OMS, ora anche i Paesi che essa rappresenta dovranno adeguarsi alle direttive. In alcuni Stati, infatti, tra cui la Gran Bretagna, per poter richiedere il certificato di riconoscimento di genere è necessaria la diagnosi di malattia mentale. Una condizione che non è solo sbagliata nel suo principio, ma comporta anche reali disagi costringendo a un’indisposizione psichiatrica forzata persone perfettamente sane.

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Probabilmente, alla base dell’intolleranza c’è la difficoltà di comprendere la reale e complessa natura dell’essere umano. Non è sempre chiara, infatti, la differenza tra sesso e gender. Il primo è un carattere puramente biologico, governato da cromosomi, ormoni e anatomia. Il secondo, invece, è una costruzione sociale. Dipende dalla cultura, che ne definisce i limiti, che stabilisce i colori assegnati ai maschi e alle femmine e i ruoli riconosciuti socialmente. Identificarsi in un genere significa, allora, accettare come propri i canoni che la cultura con cui si è cresciuti impone in relazione al sesso biologico. Eppure tale riduzionismo, che immagina l’essere umano come una variabile dicotomica fatta solo di uomo e donna, ne trascura l’identità.

È importante, inoltre, conoscere la differenza fra transgender e transessuale. Il primo – che include il secondo – va oltre le barriere imposte dai generi tradizionali e comprende tutte le persone per le quali il proprio corpo e l’identificazione sociale che ne dipende non corrispondono alla propria identità. Ma non ha a che fare con il sesso biologico in sé per sé, slegato dalla dimensione culturale. Il secondo, invece, fa riferimento a coloro che non si identificano nel sesso biologico ricevuto alla nascita e che desiderano sottoporsi a un processo di transizione.

Nonostante la scarsa attenzione che la notizia ha ricevuto dai media italiani, la decisione ha fatto il giro del mondo e anche lo Stivale dovrà fare i conti con i provvedimenti da intraprendere. Condizioni legali precarie e violazioni dei diritti umani compongo lo stato in cui le persone transgender hanno vissuto sino a oggi. Difficoltà a trovare lavoro, a usare il bagno pubblico giusto e a farsi chiamare con un nome adatto alla propria identità sono solo alcuni dei problemi troppo facili da incontrare in questa società. La rimozione del disordine d’identità di genere dall’elenco dei disturbi mentali dovrebbe però essere seguita da ulteriori modifiche dei sistemi sanitari e amministrativi per agevolarne le condizioni. In primis, una maggiore accessibilità agli interventi medici necessari per il cambiamento di sesso.

Si è sempre rivelato fin troppo difficile comprendere la complessità umana, che gli esseri umani stessi faticano anche solo a immaginare. Si tenta di accomunare l’uomo alla natura, affermando che se qualcosa non esiste in natura allora non è normale. E ci si dimentica un po’ troppo spesso che nulla, dell’agire umano, è naturale. L’uomo ha cambiato il mondo, l’ha modificato, ha costruito grattacieli e inventato i più disparati strumenti di mediazione tra se stesso e il mondo. Tutto ciò che ha creato è una costruzione e lo stesso vale per l’identità. Quello che siamo non dipende dalla natura e dal suo corso fatto di dualità. Dipende dalle costruzioni culturali che per millenni hanno creato le nostre menti, ormai non più fatte di bianco e di nero, ma di innumerevoli e inimmaginabili sfumature diverse.

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