La nostra classe politica, si sa, è dalla parte delle donne. Ostacola l’aborto e ne considera il diritto, purtroppo, un errore di percorso. Fa di tutto per non sgravarle dal peso del lavoro di cura. Non le mette in condizione di emanciparsi, praticamente o simbolicamente. Ma è dalla parte delle donne quando “tutelarle” è un modo perfetto per calpestare i diritti di qualcun altro, di qualche altra minoranza ancora più indesiderata. Proprio come sta facendo nel caso della maternità surrogata.
Maternità surrogata o utero in affitto sono termini – pensati per risultare appositamente sgradevoli – per definire la gestazione per altri. Si tratta della pratica, non accessibile in Italia, di procreazione assistita che consente a una donna di provvedere alla gestazione per conto di altre persone, solitamente coppie che non possono avere figli. È un modo per permettere l’accesso alla genitorialità a coppie che non solo non sono in grado di procreare, ma che non possono neanche adottare.
In Italia, l’adozione non è semplice e non è per tutti. Solo le coppie coniugate da più di tre anni hanno accesso alle liste d’attesa e solo sotto una certa soglia di età: 45 anni per un genitore e 55 per l’altro. Non è prevista l’adozione per le persone non coniugate, motivo per cui i single non possono sperare di costruirsi una famiglia. E, ovviamente, non è ammessa l’adozione per le coppie formate da persone dello stesso sesso. Insomma, non esiste possibilità di adozione per chiunque non rientri nella norma.
Per chiarire bene le cose e ricordare al Paese intero che qui da noi per la diversità non c’è spazio, Fratelli d’Italia ha presentato una proposta di legge che vorrebbe rendere illegale la maternità surrogata anche nei casi in cui essa sia effettuata all’estero. Se fino a ora, infatti, si è parlato di stepchild adoption, ovvero della possibilità, per il genitore non biologico, di adottare il figlio nato biologicamente dal proprio partner per mezzo di donazione di seme o gestazione per altri – e di difficoltà ce ne sono state fin troppe anche in questo senso – ora alcuni esponenti del partito di Giorgia Meloni vogliono rendere impossibile anche questa pratica.
Isabella Rauti, sottosegretaria alla Difesa, e Lucio Malan, capogruppo del partito, sono i firmatari di questa proposta, che parla di turismo procreativo, associando significati ulteriormente sgradevoli alla pratica che intendono denigrare. Come dicevamo all’inizio, la cura, i diritti e la dignità delle donne interessano a certe frange della nostra società solo quando farsene portavoce risulta funzionale ad altri scopi, primo tra tutti ostacolare i diritti della comunità LGBTQIA+ e delle famiglie omogenitoriali. Il testo di legge, dunque, prevede di applicare le pene previste per chi pratica la gestazione per altri in Italia – dai tre mesi ai due anni di carcere e multe dai 600mila al milione di euro – anche ai cittadini che la praticano all’estero.
Che si tratti di un modo di negare dei diritti, e non di tutelare quelli delle donne, lo si può facilmente dedurre dal fatto che non viene prevista alcuna azione per rendere più accessibile la genitorialità per le coppie omosessuali. Mentre i sostenitori di questa proposta di legge, infatti, definiscono la gestazione per altri un esempio esecrabile di commercializzazione del corpo femminile e degli stessi bambini che nascono da tali pratiche, non si preoccupano di fornire un’alternativa. Non si preoccupano di rendere più accessibile l’adozione, per esempio. Perché, chiaramente, non è tutelare i diritti del corpo femminile il loro obiettivo, quanto rendere più difficile ottenere una famiglia alle persone che, nell’ideologia che li guida, dei figli non dovrebbero averli.
Per fortuna, se così si può dire, il disegno di legge presentato non è, in realtà, giuridicamente attuabile. A sottolinearli è Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, che spiega che per rendere perseguibile un reato commesso all’esterno è necessario che esso sia considerato tale anche nel Paese in cui è avvenuto. Una legge con questo testo verrebbe subito impugnata, perché non tiene presente il principio della doppia incriminazione. Si tratta, dunque, di un’iniziativa che non ha possibilità di vedere applicazione.
Quale senso può avere presentare una proposta di legge incompatibile con l’ordinamento giuridico, indipendentemente dalle possibilità di discussione e voto? Forse, è solo un’ottima occasione per chiarire la propria posizione riguardo l’inclusione, per approfittarne e mostrarsi dalla parte delle donne sebbene si conduca una politica a cui delle donne non importa un granché. È un modo per fingere di avere a cuore diritti e libertà mentre di fatto si vieta la libertà di decidere del proprio corpo, compresa la libertà di decidere autonomamente di prestarlo per la nascita di una famiglia.
Nell’intera struttura su cui si fonda la nostra società, le donne sono considerate, esplicitamente e non, incubatrici umane, esseri preposti alla gravidanza che non possono sottrarsi alla maternità imposta. Quando invece la gravidanza è una scelta, ma la genitorialità è per qualcun altro, improvvisamente ci importa della dignità della loro dignità. E non c’è niente di più ipocrita di questo.