È giunta l’ora di dire basta alla retorica inutile sugli infermieri. In ben tre anni di crisi pandemica è stato attribuito alla professione infermieristica ogni tipo di epiteto evangelico e/o eroico accostato al nulla cosmico dal punto di vista pratico e legislativo. L’epilogo è stato un rinnovo contrattuale, di cui alcuni sindacati vanno fieri, che dopo anni di inadempienza appare come un misero “contentino” di ciò che ci spetta per diritto e che, come spesso succede, viene mascherato da conquista.
Fare leva sugli esigui stipendi della mia categoria professionale per convogliare i malumori contro il provvedimento del reddito di cittadinanza non fa che gettare benzina sulle fiamme di un odio sociale che rischia di divampare in incendi inutili. Odio doloso.
Quando i privilegiati riescono a farti credere che la colpa dei mali della società siano gli ultimi, loro vincono e tu, inevitabilmente, perdi. Le frasi intrise di demagogia, come Lavori dieci ore al giorno e lui è a casa a fare niente, fanno leva sulla rabbia dell’insoddisfatto o del disilluso creando un nemico contro il quale combattere. Un nemico più facile da identificare con l’indigente o con il diverso. La persona che vive con i sussidi che gli permettono di condurre un’esistenza quantomeno dignitosa non ruba lo stipendio al professionista sanitario infermiere, anzi, è emerso che ciò che il rdc toglie è la manodopera alla mafia. Ovvio che questi sussidi debbano essere regolamentati e gestiti in maniera migliore, che vadano rafforzati i Centri per l’Impiego, ma questa è un’altra storia da aggiungere alla lunga lista della spesa delle cose da migliorare in Italia.
La nuda e cruda realtà è che tutta quanta la politica, dopo una pandemia che ci ha visti in prima linea per tutti questi anni, si è ignobilmente girata dall’altra parte, per l’ennesima volta. Lasciandoci in mare aperto senza il giubbotto di salvataggio dopo aver salvato tutti dalla marea. Il mio stipendio, evidentemente inadatto e inadeguato, è oggettivamente tra i peggiori in Europa poiché nella débâcle della vergogna più in basso di noi vi sono soltanto Grecia ed Estonia. Quello di un infermiere, in Italia, è uno stipendio esiguo in rapporto alle competenze teorico-pratiche e al carico di responsabilità in costante aumento. Pensiamo all’obbligo di dover pagare una cospicua assicurazione sanitaria introdotto con la Legge Gelli oltre alla quota per la tassa di iscrizione all’Ordine che aumenta anno dopo anno.
Il nostro stipendio e il vilipendio della professione sono il frutto marcio di un susseguirsi di politiche inesistenti verso i bisogni degli infermieri con ruoli non dirigenziali, di sindacati sempre troppo accomodanti ed ex Collegi (oggi Ordini) troppo accondiscendenti per difendere degnamente i diritti di una categoria di professionisti, stanchi e disillusi.
Studenti che intraprendono un percorso universitario per poi abbandonare la professione, una professione che è sempre meno attrattiva. Lo dicono i numeri. Lavoratori dell’emergenza e urgenza che rischiano l’incolumità fisica nelle postazioni di triage. Uomini e donne delusi dall’intero sistema che non può più nascondersi dietro a frasi di circostanza o a elogi da campagna elettorale. Quindi no, ulteriori strumentalizzazioni non le posso accettare o tollerare. Non abbiamo bisogno di promesse ma di maggiori tutele e una reale equiparazione degli stipendi a quelli dei colleghi europei.
Se oggi abbandonate gli infermieri, quando domani vi accorgerete dell’errore sarà troppo tardi. E, come abbiamo già visto in pandemia, la politica avrà sulla coscienza un Paese che senza di noi è un Paese che muore facilmente.