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LGBTQIA+: il piano contro le discriminazioni che non piace a FdI

Giusy Santella di Giusy Santella
13 Ottobre 2022
in Attualità
Tempo di lettura: 4 minuti
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La formazione del nuovo governo si avvicina, anche se non in maniera semplice. Intanto, l’esecutivo uscente ha scelto di adottare i suoi ultimi atti e, tra questi, la Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere.

Si tratta di un piano pluriennale che è frutto del lavoro congiunto di più Ministeri, oltre che dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani, della Conferenza delle Regioni e di numerose associazioni di settore coordinate dall’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), adottato sulla base della Raccomandazione CM/Rec (2010) 5 del Consiglio d’Europa e di precise indicazioni comunitarie contenute nella Strategia europea per l’uguaglianza LGBTQIA+ 2020-2025, vincolanti anche per ottenere specifici finanziamenti. Azioni da intraprendere, per i prossimi tre anni, in diversi ambiti, con il fine di prevenire e contrastare le discriminazioni contro le persone LGBTQIA+.

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La notizia è stata data dalla Ministra della Famiglia e delle Pari Opportunità Elena Bonetti, al termine del Consiglio dei Ministri dello scorso 5 ottobre, e non è stata presa bene da Fratelli d’Italia, i cui esponenti si sono affrettati a precisare che si è trattato di un atto fortemente scorretto e che, a ogni modo, il nuovo esecutivo ricomincerà tutto da capo, con la propria linea. E possiamo ben immaginare di che linea si parli se pensiamo alla campagna elettorale portata avanti, fatta di lotta alle cosiddette famiglie non tradizionali – anche quelle dei cartoni animati – e di contrasto a una fantomatica teoria gender.

La strategia della Meloni – l’abbiamo constatato anche per il tema dell’aborto – è rassicurare che non si toccheranno diritti acquisiti. Su questo, però, ci sarebbe molto da dire: innanzitutto, in quest’ambito specifico si può parlare di ben poche posizioni di diritto che gli appartenenti alla comunità LGBTQIA+ vantano in quanto tali e, ancor più rilevante, non si tratta solo di affermare formalmente diritti, o di non eliminarli, bensì di renderli concreti, reali ed esigibili, ossia di trasformarli in realtà. E l’Italia, stando ai dati – anche presenti nel Piano –, è molto indietro.

L’indagine speciale Eurobarometro 2019, Discriminazione nella UE, ha analizzato il grado di accettazione sociale della comunità LGBTQIA+ all’interno delle comunità europee e le percentuali italiane sono ben al di sotto della media, sia riguardo al numero di individui che ritengono che le persone LGBTQIA+ debbano avere gli stessi diritti delle persone eterosessuali (68% a fronte di una media europea del 76, come se questo – ahinoi – fosse suscettibile di opinioni contrastanti), sia riguardo alle percentuali, bassissime, di coloro che pensano che i documenti debbano poter essere modificati in ragione della propria identità di genere o che sia giusto introdurre sui documenti un “terzo genere”.

Ma non si tratta degli unici numeri preoccupanti se si considera che, in base ai dati raccolti dall’Agenzia europea per i diritti fondamentali, il 62% delle persone LGBTQIA+ non dichiara apertamente il proprio orientamento sessuale e ben il 92% delle persone intervistate ritiene che l’Italia non faccia nulla, o quasi, per combattere il pregiudizio e la discriminazione.

La politica d’odio portata avanti in questi mesi sicuramente non aiuta e ne abbiamo la prova perché pseudo-informatori, fomentati ancora di più dalla vittoria di FdI, si sentono legittimati a formulare titoli come Niente soldi per le bollette ma per i trans si trovano. Ci farebbero quasi ridere per il grado elevato di inesattezza e incompetenza se non pensassimo che molti finiscono per crederci. È dunque il caso di fare chiarezza sul contenuto della Strategia nazionale appena varata dal governo, che consta di sei aree tematiche intorno a cui si costruiscono tutti gli interventi previsti: lavoro e welfare, salute, sicurezza e carceri, educazione, formazione e sport, cultura e comunicazione, e, infine, dati, monitoraggio e valutazione.

Si tratta infatti di una Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere. strutturalmente in tutti quei campi, anche della vita quotidiana, in cui le persone LGBTQIA+ non possono condurre una vita normale: ad esempio, in ambito professionale, incentivi alle aziende per la formazione del personale che provvede alle assunzioni, per estendere gli istituti dei congedi parentali in eguale misura ai genitori dello stesso sesso, per prevedere all’interno dei contratti collettivi nazionali precise norme anti-discriminazioni.

Ancora, sul versante della sicurezza, ci si riferisce a chi, trovandosi già in una condizione di vulnerabilità, deve essere considerato ancora più fragile in considerazione della sua identità di genere o del suo orientamento sessuale: basti pensare ai migranti o ai richiedenti asilo, o comunque a chi sia privato della libertà personale. Per questi ultimi, una delle proposte più concrete è quella di garantire la somministrazione della cura ormonale anche mentre si è in carcere, dove difficilmente si provvede alla sua continuità come prestazione sanitaria.

Elementi interessanti sono forniti poi nell’ambito della comunicazione, in particolare per quanto riguarda l’educazione a un linguaggio realmente inclusivo e non offensivo della sensibilità altrui, anche al fine di evitare situazioni di coming out forzato, come ad esempio avviene nel corso delle consultazioni elettorali, quando i cittadini sono in fila divisi per sesso.

Quello varato, insomma, è sicuramente un piano valido, eppure ci rendiamo conto che non si tratta altro che di una goccia nell’oceano e che probabilmente verrà comunque disatteso dal nuovo esecutivo, come innumerevoli altri atti programmatici la cui concretizzazione, anche da parte di altri colori politici, sarebbe stata di fondamentale importanza. Da questo punto di vista, ci si muoverà probabilmente nel solco della continuità, quella stessa che ci fa chiedere: un Paese in cui si ha paura di essere se stessi può davvero considerarsi civile?

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