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L’Europa ridiscute i fondi all’Ungheria, l’Italia è amica di Orbán

Lunga vita all’amicizia tra Ungheria e Italia: queste le parole pronunciate dal Primo Ministro ungherese Viktor Orbán nel congratularsi con gli esponenti della destra per la vittoria schiacciante alle ultime – sciagurate – elezioni. Ora che il partito della leader Giorgia Meloni è il primo in Italia e ha ottenuto, insieme alla coalizione del centrodestra, la maggioranza sia alla Camera che al Senato, il legame tra i due Paesi sembra potersi rinsaldare sempre di più.

L’avevamo già intuito poche settimane fa quando sia Lega che Fratelli d’Italia si erano rifiutati di votare il documento con cui la Commissione UE aveva proposto di sospendere il trasferimento di alcuni fondi europei all’Ungheria, colpevole, oramai da anni, di aver costruito un sistema politico corrotto utilizzando ingenti risorse europee (quasi 50 miliardi tra il 2013 e il 2020) in maniera non trasparente. L’Ungheria, così come altri Paesi dell’Est quali, ad esempio, la Polonia, ha infatti grande bisogno delle risorse provenienti dall’Unione Europea, soldi che Orbán ha utilizzato indisturbato per consolidare i suoi poteri a svantaggio delle minoranze, dei migranti, della libertà di stampa, insomma dello stato di diritto.

Si tratta di un meccanismo introdotto già nel 2020 – ma mai utilizzato – per ovviare all’inefficacia di altri strumenti, come le procedure di infrazione o la cosiddetta opzione nucleare, per incentivare taluni Paesi a utilizzare in maniera trasparente i fondi europei, rispettando proprio lo stato di diritto. L’articolo 7 del Trattato di Lisbona, infatti, prevede che, constatato il pericolo di una grave violazione, da parte di uno Stato membro, dei valori di cui all’articolo 2 del Trattato – il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi quelli delle persone appartenenti a minoranze – il Consiglio può decidere di sospendere alcuni dei vantaggi derivanti dall’appartenenza stessa all’Unione Europea.

La fase finale di tale procedimento, ossia la vera e propria applicazione delle sanzioni, prevede però l’unanimità del Consiglio, molto difficile da ottenere se si considera che la Polonia e l’Ungheria hanno già dichiarato che si opporranno a qualsiasi sanzione proposta nei confronti dell’altro Stato. E ora, con i nuovi equilibri politici nostrani, potrebbero avere dalla loro parte anche l’Italia.

Nonostante con molta probabilità Giorgia Meloni si muoverà inizialmente con prudenza in ambito internazionale, e in particolare europeo, una simile vittoria di quella che può essere chiamata estrema destra modifica gli equilibri europei. Basti pensare che la leader di FdI ha definito il documento proposto dalla Commissione UE per la sospensione dei fondi all’Ungheria ideologico, additando le istituzioni comunitarie di non basarsi su accuse circostanziate bensì su avversioni o simpatie politiche.

Eppure, quello che lei considera uno Stato democratico perché democraticamente eletto porta avanti da anni reiterate violazioni dei diritti umani a danno delle minoranze e della libertà di espressione di fronte a cui gli altri Paesi membri hanno voltato la faccia. Non basta quindi il mero svolgimento di consultazioni elettorali a definire un popolo libero, né regge la fantasiosa ricostruzione della leader che ha definito le nazioni dell’Est povere inesperte nello svolgimento di procedure trasparenti per l’utilizzo dei fondi europei.

Non si tratta di antipatie o avversioni politiche, ma di calpestare quotidianamente quei valori che l’UE pone come fondamentali per l’ingresso e la permanenza al suo interno. Per avere una minima idea della deriva autoritaria messa in atto, basta guardare alla decisione di far ascoltare il battito del feto alle donne che esprimono la volontà di ricorrere all’interruzione di gravidanza, chiaramente con il fine di disincentivarle. Come se abortire non fosse già di per sé un trauma da affrontare e come se qualcun altro, oltre a noi, potesse decidere come disporre del nostro corpo. Forse queste non sembrano a Giorgia Meloni pratiche antidemocratiche?

Analizzando più approfonditamente la questione, l’Ungheria rischia ben poco, non solo perché la procedura avviata nei suoi confronti dovrà concludersi con l’approvazione del Consiglio a maggioranza qualificata, ma soprattutto perché, fin da subito, la Commissione ha fatto sapere che Orbán ha presentato delle soluzioni che sembrano idonee a superare l’opposizione se correttamente attuate. Nuovamente, quindi, ci si baserà su pure proposte di circostanza, senza interrogarsi sull’ormai evidente stato dittatoriale sviluppatosi. La procedura utilizzata, inoltre, si è dimostrata fin dalla sua approvazione debole poiché un compromesso portato avanti dal governo tedesco – alla presidenza – ha avuto la meglio sull’iniziale proposta del Parlamento europeo.

Quest’ultimo, infatti, avrebbe voluto che fosse la Commissione a decidere se tagliare o meno i fondi, lasciando poi al Consiglio la possibilità di bloccare la misura con un voto a maggioranza qualificata. Il senso è invece così ribaltato poiché alla Commissione rimane solo un potere propositivo che deve essere però confermato dal Consiglio. A ciò si aggiunga che non si parla più di generiche mancanze nello stato di diritto, bensì di specifiche falle nel funzionamento delle autorità nazionali che si occupano di fondi europei e ciò potrebbe finire per escludere alcune istituzioni, come la magistratura o i tribunali, che però risentono notevolmente del clima di terrore ungherese.

Insomma, pare dunque che non si sia ancora manifestata una reale volontà di incidere realmente su tali situazioni di ingiustizia che minano, del resto, l’intero apparato europeo, impedendogli di progredire come dovrebbe. E l’intervento della Meloni, con i suoi ripetuti sostegni a un certo modo di amministrare la cosa pubblica, potrebbe addirittura peggiorare la situazione.

L’Europa ridiscute i fondi all’Ungheria, l’Italia è amica di Orbán
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