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La violenza di genere è, anche, un problema sanitario

Martina Benedetti di Martina Benedetti
3 Giugno 2023
in Attualità
Tempo di lettura: 5 minuti
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La triste vicenda di Giulia Tramontano ha sconvolto l’Italia intera. Anche un’altra donna, Pierpaola Romano, a poche ore di distanza, è stata assassinata da un collega. Non è il mio compito quello di darvi notizie di cronaca che potete trovare su testate specializzate in merito. Questo articolo non si prefigge tale scopo, bensì quello di ribadire la necessità di investire sull’educazione all’affettività. violenza

In Regione Toscana, dove vivo, è proposta di legge del Consigliere Iacopo Melio l’introduzione di una disciplina nazionale che preveda l’educazione all’emotività, all’affettività, e alla sessualità all’interno della programmazione didattica nelle scuole primarie e in quelle secondarie di primo e secondo grado. Questo significa impegno attivo.

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Conoscere i dettagli più sordidi sulla vita privata delle persone che ruotano attorno ai femminicidi allontana, spesso, dal focus della questione primaria che deve restare l’ambito preventivo. Inutile non trasformare questo sdegno collettivo in pretesa di risposte concrete. La necessità è quella di canalizzare il male verso una pretesa di cambiamento culturale.

Il cambiamento parte proprio dall’educazione civica e dall’educazione all’affettività. Parte dalla lotta alla cultura del possesso. Fino a che i semi del cambiamento culturale non verranno piantati, allo stato attuale dei fatti, una donna deve aver paura. Paura di poter finire nella lista dei già 37 femminicidi avvenuti da inizio 2023. Ricordiamo che gli effetti di un intervento educativo non si riflettono immediatamente nella società ma ci vuole tempo. Consideriamo anche le risorse e gli investimenti limitati per poter investire, correttamente, in prevenzione.

In Italia i dati ISTAT mostrano che il 31,5% delle donne ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici. E rappresentano un importante problema di sanità pubblica, oltre che una violazione dei diritti umani. La violenza ha infatti effetti negativi a breve e a lungo termine, sulla salute fisica, mentale, sessuale e riproduttiva della vittima. Le conseguenze possono determinare per le donne isolamento, incapacità di lavorare, limitata capacità di prendersi cura di se stesse e dei propri figli.  Gli effetti della violenza di genere si ripercuotono quindi sul benessere dell’intera comunità. Pensiamo, ad esempio, ai minori che possono essere testimoni di abusi, la cosiddetta violenza assistita.

Ma la violenza si ripercuote anche nell’ambito lavorativo. Tra le lavoratrici vittime di aggressioni o violenze, quasi il 60% svolge professioni sanitarie e assistenziali. Pensiamo alle aggressioni verso gli operatori sanitari, specialmente nell’emergenza e urgenza. A seguire vi sono proprio gli insegnanti e specialisti dell’educazione-formazione.

Secondo l’ONU, la violenza è qualsiasi atto che provoca, o può provocare, danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione e la deprivazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che privata. Altra definizione complementare è quella dell’OMS che delinea la violenza come l’utilizzo intenzionale della forza fisica o del potere, minacciato o reale, contro se stessi, un’altra persona, o contro un gruppo o una comunità, che determini o che abbia un elevato grado di probabilità di determinare lesioni, morte, danno psicologico, cattivo sviluppo o privazione.

La violenza ha tante forme ed è importantissimo imparare a riconoscerle. Può essere esercitata sotto forma di violenza domestica, quella compiuta all’interno delle mura di casa da parte di un familiare ed è quella che si verifica più frequentemente e con maggiori tragiche ripercussioni sulla salute psicofisica della vittima. La violenza fisica, che consiste in qualsiasi forma di aggressività e di maltrattamento contro le persone, contro il loro corpo e le cose che a loro appartengono. Spesso è esercitata con forza, per determinare nella donna un ruolo di sottomissione. Essa consiste ad esempio in: picchiare con o senza l’uso di oggetti, spintonare, tirare per i capelli, dare schiaffi, pugni, dare calci, strangolare, ustionare, ferire con un coltello, torturare, uccidere.

La violenza psicologica consiste in attacchi diretti a colpire la dignità personale, forme di mancanza di rispetto, atteggiamenti colti a ribadire continuamente uno stato di subordinazione e una condizione di inferiorità. Essa consiste ad esempio in: minacciare, insultare, umiliare, attaccare l’identità e l’autostima, isolarla, impedire o controllare le sue relazioni con gli altri, essere sbattuti fuori casa, essere rinchiusi in casa. La violenza sessuale consiste in qualsiasi imposizione di coinvolgimento in attività e/o rapporti sessuali senza il consenso. Essa consiste ad esempio in: fare battute e prese in giro a sfondo sessuale, fare telefonate oscene, contatti intenzionali col corpo, avances sempre più pesanti, costringere ad atti o rapporti sessuali non voluti, obbligare a prendere parte alla costruzione o a vedere materiale pornografico, stuprare, rendersi responsabili di incesto; costringere a comportamenti sessuali umilianti o dolorosi, imporre gravidanze, costringere a prostituirsi.

La violenza economica consiste in forme dirette e indirette di controllo sull’indipendenza economica e limitano o impediscono di disporre di denaro, fare liberamente acquisti, avere un proprio lavoro. Essa consiste ad esempio in: sottrarre alla persona il suo stipendio, impedirle qualsiasi decisione in merito alla gestione dell’economia familiare, rinfacciare qualsiasi spesa, obbligarla a lasciare il lavoro o impedirle di trovarsene uno, costringerla a firmare documenti, a contrarre debiti, a intraprendere iniziative economiche, a volte truffe, contro la sua volontà, appropriarsi dei beni, fare acquisti importanti senza la consultazione del parere della moglie/convivente.

La violenza psicologica può manifestarsi tramite vere e proprie persecuzioni e molestie assillanti che hanno lo scopo di indurre la persona a uno stato di allerta, di emergenza e di stress psicologico. Comunemente conosciuto con il termine “stalking” (appostarsi), questo comportamento non è attivato solo da sconosciuti, ma anche da familiari solitamente mossi dal risentimento o dalla paura di perdere la relazione. Essa consiste ad esempio in: telefonate, sms, e-mail, continue visite indesiderate e, anche il pedinamento, raccolta di informazioni sulla persona e i suoi movimenti, la persecuzione può arrivare a delle vere e proprie minacce e anche alla morte.

Il mobbing è, nell’accezione più comune in Italia, un insieme di comportamenti violenti (abusi psicologici, angherie, vessazioni, demansionamento, emarginazione, umiliazioni, maldicenza, ostracizzazione, etc.) perpetrati da parte di uno o più individui nei confronti di un altro individuo, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale, nonché della salute psicofisica dello stesso. I singoli atteggiamenti molesti (o emulativi) non raggiungono necessariamente la soglia del reato né debbono essere di per sé illegittimi, ma nell’insieme producono danneggiamenti plurioffensivi anche gravi con conseguenze sul patrimonio della vittima, la sua salute, la sua esistenza.

Più in generale, il termine indica i comportamenti violenti che un gruppo (sociale, familiare, animale) rivolge a un suo membro. Riconoscere queste forme di violenza è fondamentale. Direi che è giunto il momento di pretendere il diritto a vera prevenzione.

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