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“La tenerezza” di Gianni Amelio

Eleonora Cepollaro di Eleonora Cepollaro
12 Febbraio 2020
in Cinema
Tempo di lettura: 3 minuti
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Uscito nelle sale il 24 aprile 2017, La tenerezza segna il ritorno al grande schermo di Gianni Amelio, uno dei più stimati registi italiani. Il film, ispirato liberamente al romanzo La tentazione di essere felici di Lorenzo Marone, racconta l’umanità attraverso l’incontro di piccole storie quotidiane ambientate in una Napoli insolita. Vite diverse che hanno in comune l’esigenza di esplodere: esseri soli che devono depurarsi dalle scorie della propria vita.

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Salvatore Carpentieri, definito dallo stesso Amelio lo Sean Connery partenopeo, interpreta Lorenzo, un vecchio avvocato rimasto vedovo di una moglie mai amata, il quale stabilisce subito una stretta relazione con i suoi vicini, Fabio e Michela, una coppia sposata con due bambini che si è trasferita in città per lavoro. Dai loro scambi di battute viene fuori pian piano la storia di ognuno: si scoprono cicatrici, se ne valutano l’entità e il bisogno di tenerezza per continuare a sopravvivere. Fabio non riesce a creare un legame con i suoi figli poiché non sa di cosa parlare con loro; Michela, invece, è un’orfana i cui occhi sono attraversati sempre da un velo di malinconia e Lorenzo sembra non voler avere nulla a che fare con chi condivide il suo stesso sangue. Nella vita tutto ciò che facciamo è una scusa per farci voler bene, dice Fabio poco prima di mettere in scena la tragedia della sua esistenza, consumandola.

L’amore che manca è l’amore che fa male, quello che spinge a compiere gesti estremi quali omicidi e suicidi, gesti che nascono dentro e a cui ci si ostina a cercare una legittimazione esterna. Forse perché è dall’esterno che a volte arriva la salvezza: dagli sguardi, dalle parole, dagli estranei. La conoscenza del nuovo dà valore al vecchio, lo svolgersi del presente crea un passato, mentre l’apertura verso gli altri ci riconduce a noi stessi, a farci fare pace con chi siamo stati un tempo.

La felicità non è una meta da raggiungere, ma una casa in cui tornare: non è davanti ma dietro. Tornare, non andare.

Cos’è, dunque, la tenerezza? È semplicemente una stretta di mano. Anzi, è dopotutto una stretta di mano: dopo i sensi di colpa di un tradimento, dopo un matrimonio senza amore, dopo l’assenza di un padre, dopo l’insistenza di un figlio, dopo la scomparsa di una madre, dopo la sconfitta della vecchiaia, dopo la ruvidità del proprio cuore, dopo il silenzio assordante della vita.

Se dovessi definire la tenerezza, non saprei dire se è un sentimento o un prendere la mano dell’altro. Ma è qualcosa di cui il mondo sente la necessità. Serve a far cadere barriere, a scacciare l’ansia che ci assale. Viviamo tempi di paure, non a caso il film si apre e si chiude con un processo, dietro quei migranti imputati si percepiscono torbidi scenari.

Il film di Amelio è, quindi, un continuo invito a percorrere la via di questo sentimento per ritrovare casa. In fondo, la tenerezza è catarsi: ci rende liberi di essere fragili.

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