La stavamo attendendo da mesi e ora finalmente è qui. Parliamo de La Sirenetta, l’ultimo live action Disney diretto da Rob Marshall e tratto dall’omonimo classico animato, uno tra i più noti e adorati anche per l’immenso contributo rivoluzionario che apportò alla major. Era il 1989 e Ron Clements e John Musker diressero quello che avrebbe dato vita al cosiddetto Rinascimento Disney, a seguito di una serie di fallimenti commerciali come Taron e la pentola magica o Basil l’investigatopo. Tratto dalla celebre fiaba di Hans Christian Andersen, La Sirenetta trionfò agli Oscar, fu un successo al botteghino e conferì nuova linfa vitale all’arte dell’animazione, finendo, solo l’anno scorso, nel National Film Registry degli Stati Uniti. E poi ci sono i live action.
Il sentimento primario ogni volta che viene annunciato un live action tratto dai grandi classici animati è sempre uno: terrore. Il terrore che stiano nuovamente per rovinare un gioiello della nostra infanzia e non solo, il terrore che i bambini di oggi conoscano tali storie in un modo così sbagliato, il terrore che sia l’ennesima manovra commerciale senza arte né cuore. Perché, se vogliamo dirla tutta, è questo che è. Impossibile trovarvi altro senso, visto che se è troppo uguale perché diamine è stato fatto, tanto valeva guardare l’originale, ma se è troppo diverso lo si snatura, tanto valeva fare un altro film con un’altra storia.
Ne abbiamo alle spalle di live action Disney che ancora sono protagonisti dei nostri peggiori incubi. Primo fra tutti Il Re Leone, dove gli animali sono resi realisticamente tramite computer grafica ma la mancanza delle espressioni facciali umanizzate e quindi dell’empatia rende il tutto pari a un goffo e inquietante documentario. Per non parlare dell’ovvia impossibilità di realizzare gesti e coreografie. Ma al di là di questo abominio dell’animazione in digitale, non è che per il resto sia andata meglio: Dumbo? Abbastanza scialbo. Crudelia? Una cattiva che non è cattiva. Mulan? Mettiamole i poteri e snaturiamo del tutto il femminismo dell’originale. Stendiamo poi un velo pietoso sull’ultima fatica finita direttamente su Disney+, Peter Pan & Wendy, che poteva altresì intitolarsi Wendy si salva da sola, è migliore di chiunque e risolve tutto perché gli sceneggiatori non hanno capito nulla di cosa significhi women empowerment.
Viste tali premesse, non è che ci si aspettasse troppo da questa nuova Sirenetta, anche a causa dei vari teaser trailer piuttosto bruttini e dei raccapriccianti poster con Flounder e Sebastian. Per gli animali, purtroppo, abbiamo capito che non c’è speranza (un minuto di silenzio per il progetto in cantiere de Gli Aristogatti). Eppure, volendo essere onesti, La Sirenetta 2023 risulta molto meno brutto rispetto alle aspettative. È un film tutto sommato godibile, che sicuramente continua a risultare inutile ma che almeno si occupa di fare ciò che un prodotto del genere dovrebbe fare per il pubblico medio: intrattenere. La durata è di due ore e un quarto, forse troppo ma comunque scorrevole grazie alle svariate sequenze canore e agli sketch anche abbastanza divertenti.
Il più grande pregio del film è senza dubbio quello di aver mantenuto l’originalità, in italiano, dei testi delle canzoni. Si tratta, però, di un’arma a doppio taglio, poiché dall’altro lato ci priva della performance canora dell’attrice di Ariel, Halle Bailey, selezionata fra tante proprio per la sua incredibile voce. Una scelta audace – nei remake precedenti è stato quasi sempre necessario riadattare i testi per farli coincidere con il labiale di attori che recitavano in carne e ossa – che ci ha risparmiato anche l’ennesima manipolazione del sempre più travisato politically correct.
Ricordate quando Ursula, nella sua canzone, diceva che ai maschi la conversazione non fa effetto, il gentleman la evita se può, si innamorano però di colei che sa tacer? Ecco, pare che potesse essere percepita come negativa dalle ragazzine. Eppure, guarda un po’, era proprio questo l’intento perché Ursula è un personaggio negativo e come tale cerca di manipolare Ariel a cederle la sua voce. Ma davvero riteniamo le nuove generazioni così stupide?
L’altra modifica è quella al testo di Baciala, canzone cantata da Sebastian mentre Ariel ed Eric sono in barca, nel tentativo di farli baciare. Forse tu le piaci ma lei non sa come dirlo…ma non servono le parole, sai, allora baciala diceva la canzone, suggerendo che, per baciare Ariel, il principe Eric non avesse bisogno del suo consenso verbale. Ma volete sapere un piccolissimo dettaglio della trama? Lei non può parlare. Sono però a una sorta di appuntamento romantico e i suoi gesti e la sua mimica facciale fanno chiaramente comprendere anche ai sassi che vorrebbe eccome che il principe la baciasse. Senza contare che ad avvicinare le labbra l’uno all’altra, prima di essere interrotti dalle murene di Ursula, sono entrambi.
Il film mostra poi dei personaggi abbastanza standard ma con qualche sfaccettatura in più. Halle Bailey ha delle fattezze molto sirenesche e una voce straordinaria ed è per questo che tutte le polemiche in merito al suo colore della pelle non ci interessano. Poteva essere meglio percepita se avesse assomigliato alla Ariel del classico animato? Certo. Sopravviviamo lo stesso anche se non le assomiglia? Certo. Va detto che l’ambientazione è il Mar dei Caraibi e i personaggi scuri di carnagione sono perciò giustificati, oltre al fatto che anche le sorelle di Ariel sono di varie etnie visto che ognuna rappresenta un diverso mare. Ottima Melissa McCarthy nei panni – e nei tentacoli – di Ursula, la strega del mare, alla quale hanno anche dato un pretesto per avercela con Ariel. Per i più nostalgici, una piccola finezza: la sua doppiatrice italiana è Simona Patitucci, voce di Ariel nel film originale.
Javier Bardem è Re Tritone, mentre chi ha avuto una caratterizzazione lievemente diversa è il principe Eric, interpretato da Jonah Hauer-King. Sia chiaro, resta il classico belloccio, anche un po’ sessualizzato talvolta, ma hanno cercato di renderlo più attivo e interessante. Ha una sua canzone originale e un particolare background, rimandando a quell’empowerment contemporaneo di solito applicato ai personaggi femminili, ad esempio con Jasmine di Aladdin. Peccato per gli animali e in particolare per Sebastian, doppiato in italiano da un Mahmood con un accento forzatamente giamaicano, che ci ricorda la ragione per cui i cantanti fanno i cantanti e i doppiatori fanno i doppiatori.
Le ambientazioni coloratissime e la buona riuscita delle coreografie sono i motivi per cui il film risulterebbe molto più accattivante sul grande schermo che in tv. In conclusione, sebbene si intraveda un impegno maggiore e la volontà di fare qualcosa di diverso senza snaturare l’opera originale, La Sirenetta 2.0 non riesce a raggiungere neppure un briciolo dell’epicità del classico Disney, godibile sì ma senza guizzi… per restare in tema.