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La figura del “femminiello” nella tradizione napoletana

Angelo Potenza di Angelo Potenza
9 Novembre 2021
in Attualità
Tempo di lettura: 2 minuti
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È notizia di pochi giorni fa quella dell’aggressione perpetrata ai danni del presidente dell’Arcigay “Antinoo” di Napoli. La sede degli attivisti per i diritti LGBT, situata nel centro storico, non è nuova a intimidazioni – dai proiettili alle carcasse di animali lasciate sulla porta – di bande di ragazzini e non.

Eppure questi atteggiamenti risultano totalmente fuori luogo e discordanti rispetto al tessuto urbano partenopeo che, invece, al di là delle recenti e meritevoli attenzioni politiche riservate dal Sindaco, ha storicamente mostrato una certa sensibilità e accoglienza verso le persone omosessuali e transessuali. Basti pensare alla figura del femminiello (o femmenello) che da sempre arricchisce la colorita fauna umana che si articola tra i vicoli della città.

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In particolare, si riteneva che il femminiello portasse fortuna e, per tale motivo, si soleva consegnare tra le sue braccia i neonati in segno di buon auspicio. Per di più, gli si affidava, con effetti a dir poco esilaranti, anche la cosiddetta smorfia durante il gioco della tombola che, il più delle volte, era ad appannaggio delle sole donne.

Non mancano poi anche i riferimenti letterari. Possiamo ricordare, ad esempio, La Gatta Cenerentola di Roberto De Simone e La Pelle di Curzio Malaparte.

Ma ciò che più di tutto colpisce è il sottile legame che unisce il femminiello al folklore e soprattutto alla religione. Durante la Candelora, infatti, si effettuava – e resiste ancora oggi – la cosiddetta “Juta dei Femminielli”, ovvero un percorso che parte da Napoli fino al santuario di Montevergine, in provincia di Avellino; mentre per la Madonna dell’Arco si ha la “Tammurriata”. È curioso soffermarsi su questo punto perché, sul piano generale – e se vogliamo nazionale – è proprio la religione, tra le altre cose, che invece viene usata come una clava per segnare un discrimine nei confronti della diversità. Abbiamo assistito tutti, infatti, all’esasperante dibattito che ha accompagnato l’approvazione della legge sulle Unioni Civili, con le esternazioni più offensive anche in seno al Parlamento. Esternazioni che sono andate dall’augurio di punizioni divine all’etichetta di contro natura, sebbene in realtà la Natura, nei suoi dati biologici, ha ben poco a che vedere con l’Amore, il concetto di famiglia e lo stesso concetto di genere.

La Napoli verace, la bella Napoli che ha saputo raccogliere anche la fuga d’amore di Wilde e Douglas, si è sempre distinta su questo aspetto. E allora non serve evocare le avanzatissime civiltà del Nord Europa per mostrare degli esempi di tolleranza, basta rispolverare le proprie tradizioni. “Quando i suoi antenati celtici erano ancora aggrappati sugli alberi, i miei antenati erano già froci” è una battuta dell’immenso Luciano De Crescenzo contro una certa retorica della Lega Nord, utile a evidenziare quanto culturalmente avanti fosse il Meridione d’Italia dove approdarono e si stanziarono i Greci, per i quali, notoriamente, l’omoerotismo era pratica persino nobile.

Ed è proprio questo che andrebbe insegnato ai balordi delle intimidazioni all’Arcigay. Bisognerebbe far capire loro che, se vogliono essere veramente degni di appartenere alla nostra splendida terra, non devono solamente dare prove di forza e mascolinità ragionando con la pistola, bensì devono possedere anche la sensibilità dei, per dirla alla napoletana, ricchioni.

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