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Jeff Bezos in orbita: il capitalismo nello spazio

Noemi De Luca di Noemi De Luca
2 Agosto 2021
in Attualità
Tempo di lettura: 5 minuti
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Spazio, ultima frontiera. Questi sono i viaggi di Jeffrey Bezos, CEO di Amazon, diretto all’esplorazione di strani e nuovi mondi. Forse citare Star Trek è un po’ troppo per un viaggio suborbitale di undici minuti, ma è in maniera altrettanto sensazionalistica che l’impresa del milionario è stata comunicata al mondo. Bezos è stato sparato oltre l’atmosfera a bordo di un razzo di Blue Origin, intorno ai 100 chilometri sul livello del mare, e ha rimesso piede sulla Terra come un uomo nuovo. Dopo aver ringraziato i dipendenti Amazon per avergli pagato il jogging spaziale, ha rilasciato un’intervista su quanto la Terra sia un gioiello bellissimo che va protetto a tutti i costi. Folgorato sulla Via Lattea, dopo oltre vent’anni a capo di una delle imprese più controverse del nostro sistema solare, Bezos è diventato ambientalista.

«Quando sei lassù e vedi [la Terra] ti rendi conto di quanto sia fragile. Dobbiamo prendere tutta l’industria pesante, quella che inquina, e spostarla nello spazio». Bello. E come si fa? Secondo Bezos, per l’impresa ci vorranno decenni, ma bisogna pur cominciare. Innanzitutto, dire che ci vorranno decenni è una stima estremamente ottimista. L’industria pesante si chiama così perché coinvolge prodotti grandi e pesanti, macchinari grandi e pesanti, infrastrutture grandi e pesanti. Un’impresa titanica. Comporterebbe costi abnormi, sforzi sovraumani e secoli per la realizzazione. I macchinari dovrebbero essere impostati per lavorare a gravità zero e i materiali trasportati costantemente. Bezos e il suo cappello da cowboy non hanno realizzato che siamo sulla soglia di una catastrofe ambientale ora, non tra milioni di anni. 

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Quale sarebbe una soluzione più veloce, semplice ed economica? Agire sulla Terra. Rivoluzionare in maniera radicale le industrie già presenti sul nostro pianeta. Il loro modo di produrre, di usare le risorse, di gestire il lavoro. Per una persona con il capitale di Bezos,  non sarebbe un problema investire in ricerca e innovazione. Invece, Jeffrey è pronto a sfrecciare tra le stelle, esplorare pianeti e colonizzare galassie, tutto pur di mantenere lo status quo. Non c’è visione né progettazione di un mondo alternativo: trasporteremo tutto quello che c’è quaggiù nelle galassie, industrie e McDonald’s compresi. Il futuro immaginato dai miliardari è identico al presente. Ma più scintillante.

Città fluttuanti sugli anelli di Saturno, colonie su Marte, viaggi interstellari: il tutto sembra venir fuori dalle utopie fantascientifiche degli anni Sessanta/Settanta. Ma la fantascienza è visionaria, creativa, fuori dall’ordinario. C’è immaginazione, curiosità, scoperta e follia. Le bellissime immagini di città sospese tra le stelle elaborate dai team Branson, Bezos e Musk non hanno niente di tutto questo: sono lucide cartoline per attrarre i ricchi in mete ancora più futuristiche ed esotiche di Dubai. Il prezzo stimato per un giretto sulle navi spaziali da crociera di Musk è di 500mila dollari e spacciarle per progresso per tutta l’umanità è ridicolo. Siamo di fronte a un futuro privatizzato, accessibile solo a chi può pagare, senza leggi né Stati a impedire lo sfruttamento più sfrenato delle risorse di nuovi pianeti, vuoto di idee e innovazione. Insomma, il capitalismo nello spazio.

I miliardari non stanno agendo in maniera visionaria, ma esponenziale: è tutto più grande, più forte, più lontano, ma non diverso. Si tratta di semplici operazioni matematiche: moltiplicare per 100, per 1000, per 10mila. Queste grandi, enormi imprese spacciate per progresso dell’umanità sono l’esatto contrario dell’immaginazione: sono dimostrazioni di forza, di muscolo, non di cervello. Da qui, idee volgari come quella delle crociere galattiche. Anche il giretto suborbitale di Bezos non è innovazione: gli astronauti li fanno continuamente. Il punto era un altro: dimostrare che lui può farlo. Che è ricco, potente e forte quanto uno Stato. Quanto la NASA. E che il futuro è suo.

Ettore Sottsass in tempi non sospetti scriveva che un frigorifero serve a tener fresche le bistecche di montone. Uno si aspetta che la perfezione tecnologica del frigorifero venga usata per dire che il frigorifero fa un bel fresco e le bistecche di montone non andranno a male, ma non che venga usata per dire che il proprietario del frigorifero è un uomo in gamba, l’uomo più in gamba del caseggiato perché ha comprato un frigorifero con la perfezione tecnologica. E, invece, Bezos vuole essere l’uomo più in gamba del caseggiato. Un uomo moderno, partecipe della storia, capace di premere bottoni, accendere luci e sprigionare suoni, un uomo capace di volare e andare sulla luna, di fregare gli altri, di essere padrone della tecnica. La tecnica può far tutto e la vittoria è nelle mani della tecnica.

Trovo questo delirio di onnipotenza grottesco e ridicolo. Ma ciò che mi fa davvero rabbia è che io, Bezos e Musk abbiamo una cosa in comune: la passione per la fantascienza. I due si sono spesso vantati di essere cresciuti con Isaac Asimov. E non me ne capacito. Perché Asimov era quello che raccontava di colonie spaziali in lotta con la Terra per la loro indipendenza, di pianeti governati da sette oscurantiste, di robot che sognano di essere umani. Asimov passava dall’utopia alla distopia in uno schiocco di dita, Asimov usava le stelle per sviscerare le paure più recondite dell’uomo.

La fantascienza non è mai stata solo lucine, bottoni e salti nell’iperspazio. È la madre di utopie, distopie, del caos: scompiglia le leggi dello spazio e del tempo, decostruisce società, governi e religioni. Proietta il nostro mondo tra le stelle e ce lo fa vedere in una luce diversa, senza apparenze, abitudini o condizionamenti. Toglie ogni rassicurazione di un ordine delle cose familiare, immutabile, costante. Nulla è più scontato, tutto è alieno, e questo dà una possibilità enorme: immaginare un ordine alternativo. Darko Suvin scriveva che l’utopia è la testimonianza del più disperato bisogno di possibilità alternative per il mondo degli uomini, di modi diversi di vivere.

Ma Jeff Bezos sogna pecore elettriche? Dov’è il sogno, dov’è il ribaltamento delle categorie? Com’è possibile che quelle che dovrebbero essere le personalità visionarie del nostro tempo non abbiano un minimo senso critico su quello che stanno costruendo? La corsa allo spazio dei miliardari non è altro che il periodo coloniale, tutto daccapo. Le risorse sulla Terra stanno finendo, la vita quaggiù non è più sostenibile, che facciamo? Troviamo un altro pianeta da spolpare fino all’osso. Conquistare, sfruttare, abbandonare, repeat. Il tutto giustificato dalla stessa retorica, quella dell’esaltazione del potere dell’uomo. E l’idea di avere lo spazio ci esalta ancora di più.

Nel 1969, l’uomo atterrava sulla luna. Anche questa grande impresa era un braccio di ferro tra USA e URSS, ma il risultato è stato diverso. Una scintilla di entusiasmo, curiosità, interesse per la scienza ha invaso chi l’ha vista. Oggi, il sogno è stato svuotato, imbastardito e assoggettato all’ego di questi miliardari. Una fantascienza tirata a lucido, vuota e preconfezionata. Si vuole convincere il mondo che ciò che non funziona oggi funzionerà per forza al di là della cortina fumogena della fantascienza, che non è certo il futuro ma è un futuro già risolto. Visibile, toccabile, tridimensionale, colorato, pesante e leggero, con le sue donne armate, scaraventate, volanti e supersessuate extra, senza aborti, senza cambiali, senza scioperi, senza problemi che ci riguardano, come non ci riguardano pare le guerre che fanno gli altri. I problemi della fantascienza non ci riguardano. Quello che ci riguarda della fantascienza, quello che ci interessa e ci affascina è invece il procedimento, la possibilità, la speranza, l’alibi, la forma. – Ettore Sottsass, Molto difficile da dire

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