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“A Dangerous Method”, tra il piacere e la morale

Giusy Gaudino di Giusy Gaudino
30 Giugno 2021
in Cinema
Tempo di lettura: 5 minuti
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Siamo a Zurigo, nell’anno 1904, quando la diciottenne russa Sabina Spielrein viene trasportata, recalcitrante, in carrozza dal padre presso l’ospedale Burghölzli, per essere curata dallo giovane psichiatra Carl Gustav Jung. Inizia così il film A Dangerous Method (2011), ambientato tra la Svizzera e Vienna e basato sulla biografia di Sigmund Freud, Gustav Jung e Sabina Spielrein, egregiamente interpretati rispettivamente da Viggo Mortensen, una Keira Knightley all’apice delle sue abilità interpretative e Michael Fassbender.

Jung è allievo di Sigmund Freud, padre della psicoanalisi, e da lui apprende il pericoloso metodo della terapia delle parole con il quale decide di curare la giovane a cui è stato diagnosticato un disturbo di schizofrenia. Tale metodo consiste in un’analisi prevalentemente linguistica della psiche del paziente che porta quest’ultimo a recuperare i ricordi rimossi negli anni da parte della sua coscienza morale e relegati nell’inconscio, dove risiedono gli impulsi e i desideri avvertiti come “immorali”. Jung spiega a Sabina, costantemente alla mercé di violenti spasmi, che la sua terapia consisterà in un semplice colloquio, mentre lui sarà seduto alle spalle di lei, così da non deconcentrarla. Le chiede, infine, di non voltarsi mai a guardarlo per nessun motivo.

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In questo modo, ha inizio il racconto dell’infanzia di Sabina, difficile non solo per i ricordi di anni di violenze e umiliazioni ricevute da parte del padre, ma anche per le assidue contrazioni muscolari che rompono la continuità del suo discorso. Ciò che più attanaglia la giovane, però, risiede nella vergogna, quella legata alla sensazione che da piccola provava ogni qualvolta suo padre la sculacciava e umiliava: il piacere. Sabina, con la bocca tremante, racconta della prima occasione in cui in uno stanzino fu picchiata dal genitore e dello stato di eccitazione che ne derivò.

Mi piaceva. Ero eccitatissima, dice in singhiozzi, e allora ogni volta che mi diceva di andare nello stanzino cominciavo a essere bagnata. […] Non c’è speranza. Perché io sono abietta, oscena… sono sporca. Non possono, non devono farmi uscire da qui.

A questo punto l’ambientazione si sposta in Austria, a due anni dall’incontro tra Gustav e Sabina. A Vienna, Jung incontra Freud e i due affrontano la spinosa questione delle pulsioni erotiche, viste dal maestro come unico motore del comportamento umano. Secondo il padre della psicoanalisi, la nevrosi, ovvero la malattia della psiche, scaturisce nel momento in cui le pulsioni e i desideri sessuali, che sfuggono al controllo dell’uomo, entrano in contrasto con fattori esterni come la morale imposta dalla società, senza riuscire a trovare un compromesso tra le istanze in conflitto. È per questo che Sabina si è ammalata. Non è stata in grado , infatti, di metabolizzare e accettare un istinto ritenuto, secondo il modello comportamentale sociale, sconveniente, e che l’ha spinta a sentirsi abietta, oscena e sporca.

La pellicola ci mostra che Freud vede Jung, in una prima fase così vicino alle sue idee, come suo erede nel campo della psicoanalisi, ignaro delle future divergenze che porteranno la loro amicizia a un declino tanto triste quanto ineluttabile. I primi sintomi della rottura tra i due sono già visibili in una critica che l’allievo muove al maestro quando questi spiega la violenza dell’opposizione alla sua disciplina. Gustav, infatti, mette in luce la sua personale opinione che lo porterà al distacco da Sigmund entrando a far parte della schiera degli allievi dissidenti.

La libido, per Freud un’energia sessuale che tende al piacere e alla soddisfazione del bisogno, è, invece, per Jung un’energia vitale in senso generale che comprende anche la sfera della sessualità ed è presente in tutti gli organismi. Entrambi, comunque, concordano sulla necessità di limitare le pulsioni individualistiche per il bene della collettività.

Se è ancora blanda la divergenza di opinioni tra i due filosofi sulla centralità della sessualità nella psiche umana, la situazione si complica con l’arrivo di un ulteriore filosofo, Otto Gross. Il suo personaggio ci viene presentato nella pellicola come un uomo poligamo, geniale ma imprevedibile, che non reprime minimamente il bisogno di soddisfazione sessuale poiché ritiene che è proprio la repressione della libido a condurre al disturbo psichico. Otto appare come uno spregiudicato, il cui unico principio è lo sprigionamento delle tendenze sessuali, che si sottrae al rispetto della giustizia e della morale. Mentre Sabina e Gustav sono sempre più vicini emotivamente, tanto che grazie all’incoraggiamento del medico ella decide di studiare per divenire psichiatra, Gross conduce Jung a dubitare dei principi della sua disciplina e della sua persona. Reprimere l’attrazione per la ragazza per non disonorare sua moglie diviene sempre più difficile, soprattutto dopo un suo inaspettato bacio mentre conversano seduti su una panchina in un parco. I due divengono amanti e durante i loro incontri disinibiscono gli impulsi erotici, cedendo al piacere, all’immorale, all’inconfessabile. Il loro legame diviene sempre più profondo, ma non è capace di sopraffare i sensi di colpa dell’uomo verso la famiglia. La relazione adultera è destinata, quindi, a terminare dolorosamente, con l’amarezza inconsolabile, in entrambi, di chi è stato sconfitto dal mondo con le sue regole.

– Sono semplicemente un compiaciuto, vigliacco, borghese, filisteo svizzero. Io vorrei lasciare tutto, liberarmi e sparire con te. Poi comincia a parlare il filisteo. Dove te ne andrai?

– A Vienna. È probabile.

– Ti prego, non là.

– Andrò ovunque riuscirò a sentirmi libera.

Sabina parte per la ricerca della libertà, dono che il suo amante era riuscito a farle tempo addietro, svincolandola dalla vergogna di se stessa e spingendola verso la realizzazione personale, tanto nella sua professione di psichiatra quanto nei loro incontri segreti.

Anche i rapporti con Freud precipitano quando il maestro scopre che Jung ha avuto incontri clandestini con una paziente, e quando quest’ultimo prende le distanze dai suoi canoni disciplinari, includendo nella propria visione della psiche la sfera spirituale che supera i rigorosi confini scientifici a lui tanto cari.

– Però non sono d’accordo con lei. Perché dovremmo tracciare arbitrariamente un confine, e così escludere degli interi ambiti di indagine?

– Per il semplice motivo che il mondo è pieno di nemici. Sempre in cerca di qualche modo per screditarci. E nel momento in cui ci vedranno abbandonare la terra ferma della teoria sessuale, per sguazzare nel fango nero della superstizione, ci faranno a pezzi. Per quello che mi riguarda, solo sollevare questi argomenti è un suicidio professionale.

Quando la controversia si fa insanabile, Sabina si trasferisce in Svizzera e diviene seguace di Freud, nonché membro della Società Psicoanalitica. La giovane studentessa universitaria introduce l’idea che la pulsione sessuale sia una forza demoniaca e distruttiva, e allo stesso tempo creativa, in quanto riesce a produrre dalla distruzione di due individualità un essere nuovo. Da qui, l’indissolubile legame tra sesso e morte.

La pellicola termina con un ultimo incontro tra Sabina e Gustav, inconsolabile dopo la rottura con il suo mentore e la perdita di colei che è stata la donna più importante della sua vita, ormai sposata e con un bambino in grembo, di cui lui, con grande rammarico, non è il padre.

Cronenberg ha voluto, ancora una volta dopo Transfer e Spider, portare sullo schermo la difficile relazione tra psichiatra e paziente, attraverso la storia di personaggi di grande notorietà che hanno cambiato per sempre la visione che l’uomo ha di sé con la scoperta di un Io frammentato in diverse sfaccettature e diviso tra ciò che può rendere felice lui e ciò che, invece, favorisce il giusto progredire della civiltà.

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