Il 18 gennaio 2020 muore Vakhtang Enukidze, un ragazzo georgiano di 38 anni, recluso nel CPR di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia. Una morte sospetta, che – in base ai racconti di alcuni testimoni – arriva dopo un pestaggio da parte degli agenti di polizia che si trovano nel centro di detenzione e che, quindi, necessita di indagini accurate.
Numerose testimonianze vengono raccolte dal gruppo di solidali No CPR e no frontiere e dal deputato dei Radicali Riccardo Magi, autorizzato all’ingresso nella struttura. Altre persone recluse, un operatore e un poliziotto riportano tutti la stessa versione dei fatti: qualche giorno prima Enukidze resta coinvolto in una rissa con un altro “ospite” della struttura, un ragazzo nordafricano, gli agenti intervengono per separarli, colpendo ripetutamente il georgiano. Tutti i presenti escludono che le ferite e i lividi che rendono il corpo di Enukidze irriconoscibile siano dovuti alla colluttazione con l’altro recluso. Gli agenti lo trascinano in cella e di fronte alle sue rimostranze reagiscono con altri colpi, fino a sfinirlo: in preda alla rabbia lui stesso si ferisce con un ferro. Nei giorni successivi chiede di essere soccorso, ma è troppo tardi: le ricostruzioni giornalistiche ammettono l’ipotesi di un nuovo caso Cucchi, di una nuova morte di Stato.
Il Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Gradisca D’Isonzo ha riaperto i battenti appena un mese fa, dopo che nel 2013 era stato chiuso perché reso inagibile da una rivolta dei detenuti che avevano tentato la fuga sfiniti dalle loro condizioni di vita. In quell’occasione, Majid, uno dei reclusi, era caduto dal tetto. È morto dopo otto mesi di coma. Quella dei CPR italiani è una storia che ha la sua origine con la Legge Turco-Napolitano, la prima legge organica sull’immigrazione, che nel 1998 istituisce i CPTA, poi diventati CPT, ossia i Centri di Permanenza Temporanea (e Assistenza) in cui si permette la detenzione amministrativa di persone prive di documenti regolari che si trovano sul territorio italiano. Il tempo massimo di trattenimento nella struttura è di 30 giorni, poi innalzati a 60 dalla Legge Bossi-Fini.
È proprio in questo periodo di forte emergenza che l’ex caserma di Polonio di via Udine a Gradisca viene individuata come il luogo ideale per la realizzazione del centro: iniziano i lavori nonostante il parere contrario dei cittadini, dei Comuni e della Regione e l’appalto per la gestione del centro viene vinto dalla Cooperativa Minerva di Gorizia, tristemente nota per le pessime condizioni di vita alle quali costringe le persone sotto la sua “tutela”. Fin da quando arrivano i primi detenuti, iniziano a susseguirsi proteste, tentativi di fuga, atti di autolesionismo, tentati suicidi e denunce di violenze. In questo, come in numerosi altri centri d’Italia, si registrano malnutrizione, mancanza d’acqua calda e di condizioni igieniche adeguate, assenza di accompagnamento legale e mediazione linguistica, abuso di farmaci e psicofarmaci: la situazione è dunque invivibile.
Con la Legge 125 del 2008, intanto, i CPT diventano CIE, ossia Centri d’Identificazione ed Espulsione e il tempo massimo di detenzione, fissato in 6 mesi, aumenta diventando di 8 mesi nel 2011. La più recente Legge Minniti-Orlando istituisce i CPR, prevedendone almeno uno per regione, e il Decreto Sicurezza corona il tutto prevedendo un tempo massimo di detenzione di 180 giorni ed eliminando la protezione umanitaria.
Si cancella, infatti, la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno per quei cittadini stranieri che presentano seri motivi di carattere umanitario, che fuggono da emergenze come conflitti, disastri naturali o eventi di particolare gravità, e che non possono essere espulsi perché sarebbero oggetto di persecuzione nel loro Paese d’origine, o che siano vittime di sfruttamento o di tratta. Così facendo, si amplia il numero di irregolari che sono a rischio detenzione. Una detenzione tutt’altro che legittima, sotto vari punti di vista.
Innanzitutto, le persone recluse non hanno commesso alcun reato, ma vengono trattenute perché colpevoli di non avere documenti regolari: si conia il neologismo di detenzione amministrativa, ma ci si pone in palese contrasto, così come segnalato nel 2001 dalla Corte Costituzionale, con l’art. 13 della Costituzione in base al quale non è ammessa alcuna forma di restrizione personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria. Anche la Corte di Giustizia Europea nel 2011 precisa che è proibita la detenzione per mera irregolarità. Oltretutto, si realizzano delle prigioni che riguardano una sola categoria di individui, gli stranieri irregolari appunto, ponendosi anche in questo modo in contrasto con il nostro ordinamento e punendo le persone per ciò che sono e non per ciò che hanno commesso.
Lo scopo ufficiale è quello di trattenere lo straniero in attesa di rimpatriarlo nel suo Paese d’origine, ma in realtà tali centri altro non sono che strumenti di propaganda, così come sottolineato da Annalisa Camilli su Internazionale. In questo modo, si nascondono alla società i migranti irregolari e si alimenta la narrativa dei rimpatri che in realtà nella maggior parte dei casi non avvengono.
Un rapporto del Senato del 2016 evidenzia come solo la metà delle persone transitate nei centri sia stata effettivamente rimpatriata poiché spesso mancano accordi con il Paese d’origine o il rimpatrio appare troppo dispendioso. Nel 2018, invece, solo il 43% delle 4092 persone recluse nei CPR è stata espulsa, chiaramente numeri che non hanno incidenza reale sul fenomeno dell’irregolarità in Italia. I CPR altro non sono che lager etnici, luoghi in cui raccogliere minoranze e trattarle da soggetti inferiori rispetto al resto della comunità, in condizioni di ricattabilità, sfruttabilità e terrore: chi sopravvive sarà abbastanza provato da accontentarsi di vivere ai margini.
Intanto, per la morte di Enukidze è stata aperta un’indagine per omicidio a carico d’ignoti e sul corpo il 27 gennaio scorso è stata effettuata l’autopsia, alla presenza di un medico legale di parte scelto dal Garante dei Detenuti. I primi risultati parlano di morte per un edema polmonare, di cui però è ignota la causa. Pur avendo escluso in prima battuta cause ascrivibili a terzi, i medici legali e il magistrato inquirente raccomandano prudenza e non escludono al cento per cento cause di tipo violento. Bisognerà attendere i risultati degli esami istologici e tossicologici.
Anche se le percosse non fossero la causa principale del decesso, si dovrà comunque puntare i riflettori su eventuali violazioni dell’integrità fisica di Enukidze nel periodo in cui si trovava sotto la custodia dello Stato. Non deve esserci alcuno spazio per l’omertà o l’impunità, come precisato dal Garante Mauro Palma, che ha dichiarato che si costituirà parte civile nell’eventuale processo per far luce su quanto accaduto. Ritiene la morte del georgiano una tragedia che squarcia il silenzio sui centri che ospitano migranti.
Purtroppo quella di Enukidze è solo l’ultima di una lunga serie di morti registrate in questi luoghi infernali. Nei soli ultimi mesi ce ne sono state innumerevoli: nel giugno 2019 nel CPR di Brindisi muore Harry, un ventenne di origine nigeriana che si è tolto la vita dopo che varie associazioni per i diritti umani hanno lungamente segnalato l’incompatibilità tra il suo stato di salute mentale e le modalità di detenzione cui è stato sottoposto. L’8 luglio 2019, invece, muore nel CPR di Torino un uomo di origine bengalese: si parla di violenze da parte di altri detenuti, morte naturale e mancanza di cure adeguate, senza mai giungere alla verità. Pochi giorni prima di Enukidze muore nel CPR di Caltanissetta Aymen, tunisino di 34 anni.
Morti di CPR, così li definisce LasciateciEntrare, realtà che riunisce attivisti per i diritti umani, operatori umanitari e cittadini che si battono per la fine della detenzione amministrativa dei migranti. Si tratta di una campagna lanciata nel 2011, quando una circolare del Ministro dell’Interno vieta l’accesso della stampa nei centri, ponendosi in palese contrasto con la libertà d’informazione sancita dall’art. 21 della Costituzione. Pur essendo tale divieto ormai eliminato, sono ancora molti i misteri che riguardano questi luoghi di torture mai raccontate, dato che il sistema degli accessi è gestito in maniera arbitraria.
Si assiste, intanto, a una proliferazione dei centri di detenzione e il governo giallorosso anche stavolta non coglie l’occasione per porsi nel solco della discontinuità. Il Ministro dell’Interno Lamorgese mette in dubbio a parole i Decreti Sicurezza, ma intanto autorizza l’apertura di nuovi luoghi di morte e suicidi, molto spesso gestiti da privati che incarnano pienamente l’equazione del sistema statunitense per cui più detenuti rappresentano più guadagni.
È stato picchiato ripetutamente da dieci agenti, anche con un colpo d’avambraccio dietro la nuca e una ginocchiata nella schiena. È stato trascinato per i piedi come un cane: queste parole non devono solo convincerci che il CPR di Gradisca va immediatamente chiuso, come sostenuto da numerose autorevoli voci – tra cui il Garante Nazionale dei Detenuti Mauro Palma e il professor Luigi Manconi, Presidente dell’Associazione A buon Diritto –, ma anche che l’intero sistema di accoglienza va rivisto e ricostruito nell’ottica della reale integrazione e soprattutto dell’umanità.