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“Black Mirror 6” è la prova che la serie che conosciamo non esiste più

Alessandra Trifari di Alessandra Trifari
5 Luglio 2023
in Rubriche
Tempo di lettura: 5 minuti
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È arrivata su Netflix la sesta stagione di Black Mirror, una serie britannica tra le più acclamate degli ultimi tempi, prodotta da Charlie Brooker per Endemol Shine Group. Il giudizio, purtroppo, sembra essere unanime: ciò che vediamo, ormai, non è più Black Mirror.

Per quelli atterrati da poco sul pianeta Terra, si tratta di una serie antologica ambientata in svariate epoche, a volte vere e proprie distopie, che hanno tutte come punto focale l’introduzione o il progredire delle nuove tecnologie e i loro effetti collaterali sulla gente. Il titolo, difatti, può essere facilmente interpretato come il riflesso distorto negli schermi neri di televisori, pc, smartphone o altri dispositivi che nel tempo hanno modificato la società.

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Era il 2011 quando la prima stagione della serie fu rilasciata al pubblico, anche abbastanza in sordina. Aveva un range di spettatori ridotto, anche perché chi si approcciava restava completamente scioccato. Era qualcosa di mai visto prima. Poi si iniziò a parlarne, nelle nicchie dell’internet si discuteva sempre più di quel traumatico episodio pilota con il presidente e il maiale e la curiosità saliva. Ben presto, la gente si interessò al fenomeno e Black Mirror divenne in pochi anni una tra le serie tv più disturbanti, ben fatte, incredibili della storia delle serie tv. Il motivo è semplice: era plausibile.

In un periodo storico di forti cambiamenti sul piano tecnologico e grandi interrogativi etici che ne conseguono, Charlie Brooker era riuscito a creare qualcosa che smuovesse le coscienze umane dal profondo, che angosciasse, che facesse riflettere e dubitare dopo ogni singola dannatissima storia. Ancora oggi, episodi come Orso Bianco o Bianco Natale sono protagonisti dei nostri peggiori incubi. Inoltre, senza contare una regia e sceneggiatura ai limiti della perfezione, ha sempre vantato un cast spettacolare: tra gli interpreti troviamo Domnhall Gleeson, Daniel Kaluuya (lanciato proprio dalla serie stessa), Jon Hamm, Jodie Whittaker, Jerome Flynn, Miley Cyrus, Jesse Plemons, Rupert Everett, Michael Cera, Himesh Patel, Julia Davis, Tobias Menzies, Aaron Paul, Rory Kinnear e molti, davvero molti altri.

Poi, nel settembre 2015, Netflix ha acquistato i diritti della serie, sdoganandola al grande pubblico ma contribuendo anche alla sua violenta caduta libera (per citare il titolo di un episodio). Da questo momento in poi, infatti, comincia la lenta morte di Black Mirror. Già la terza stagione aveva un sapore amaro – non l’amaro che ci si aspetta – ma restava di livello altissimo. Come dimenticare, del resto, Zitto e balla, Odio universale o San Junipero, piccola perla che, rispetto agli altri episodi, non era caratterizzato da una totale angoscia ma lasciava ugualmente senza fiato, aggiudicandosi anche un Emmy Award come miglior film per la televisione e contribuendo a rendere nota la serie a livello mondiale.

Con la quarta e la quinta stagione le cose sono notevolmente degenerate. Se la quarta conservava ancora tutto sommato quell’aura senza speranza tipica della serie, la quinta ha davvero deluso, con episodi come Rachel, Jack e Ashley Too, associabile benissimo a un teen drama in stile Disney Channel. Terribile. Va menzionato anche l’episodio speciale Bandersnatch, realizzato come film interattivo per coinvolgere in prima persona lo spettatore, come in un videogioco. Un’idea anche particolare ma il risultato decisamente no.

Quindi giungiamo a questa fatidica sesta stagione. Non avevamo grandi aspettative, eppure fluttuava in noi una certa speranza che almeno qualcosa si potesse salvare. E invece no. Cinque episodi, o meglio tre, visto che per gli ultimi due ci stiamo ancora domandando perché. La serie, oramai, manca totalmente dell’angoscia e del cinismo tipici di Brooker, che a questo punto o potrebbe davvero aver cambiato la sua prospettiva oppure aver ceduto alle imposizioni della major.

La prima storia, Joan è terribile, ha un’idea tutto sommato non male: una comune donna si ritrova a essere protagonista di una serie tv creata in CGI, tramite un’intelligenza artificiale che registra le giornate di Joan e le riproduce usando i volti di attori famosi (abbiamo infatti la partecipazione di Salma Hayek e Cate Blanchett). Questo perché la donna ha accettato i termini di servizio di Streamberry, parodia di Netflix, senza purtroppo accorgersi di tale clausola. La pericolosità dell’IA e del deepfake, il fatto che accettiamo passivamente tutto ciò che ci viene proposto senza informarci, il voyerismo verso il negativo (Joan è terribile ha più visualizzazioni di Brian è fantastico) sono temi interessanti e anche molto attuali. Il problema è un’eccessiva retorica, è la banalizzazione. Le reazioni umane sono poco plausibili e, dulcis in fundo, il finale più dolce che amaro. Peculiarità di Black Mirror sono proprio le conseguenze terribili, spietate, mentre qui non ne vediamo l’ombra.

Il secondo episodio, Loch Henry, risulta davvero ben fatto e con una trama accattivante. Peccato che la tecnologia c’entri ben poco. Protagonista è una giovane coppia intenzionata a girare un documentario nella città natale del ragazzo. Tutto cambia, però, quando si scopre un’inquietante vicenda legata al passato di alcuni abitanti. Una storia perfetta per un episodio di una serie true crime. Sfortunatamente, non per Black Mirror.

Senza dubbio, l’episodio meglio riuscito è Beyond The Sea, il terzo. Aaron Paul e Josh Hartnett interpretano due astronauti in missione, i quali hanno la possibilità di collegare la propria coscienza a una replica meccanica perfettamente somigliante, per trascorrere del tempo assieme alle proprie famiglie. Bravissimo Aaron Paul a calarsi in un ruolo, per evitare spoiler, diciamo “complicato” e gli espedienti narrativi sono esattamente quelli che ci aspetteremmo da Black Mirror. E ora le dote dolenti.

Mazey Day, il quarto episodio, narra le vicende di una fotografa sulle tracce di una star fuggita a seguito di un brutto incidente d’auto. Da qui in poi, Black Mirror ha come un infarto. Non solo non c’è la tecnologia ma il plot twist finale non ha nulla a che vedere con la serie. Per non parlare dell’ultimo episodio, Demone 79, che letteralmente non ha senso di esistere. Niente tecnologia, niente realismo, addirittura l’introduzione del soprannaturale. Qui le teorie sono miste. Si crede che possa esserci la volontà di sondare il terreno per un eventuale spin-off a tema più horror chiamato Red Mirror.

Qualsiasi cosa abbiano in mente, il risultato è che ci sentiamo davvero presi in giro in qualità di spettatori ed estimatori di Black Mirror. Episodi magari piacevoli in altri contesti ma che non è quello che cerchiamo, che si sono totalmente distaccati dal filo conduttore: una tecnologia destinata a ritorcersi contro l’essere umano a causa del suo abuso. Dove sono finite quelle storie che ti svuotavano dentro?

Volete un consiglio onesto? Andate su YouTube e guardate Czarne Lusterko (piccolo specchio nero), la versione polacca di Black Mirror. Struttura e tematiche sono le stesse, per quattro episodi di durata brevissima ma in grado di trasmettere in maniera immediata l’inquietudine e l’intensità tipici dell’originale. Il ricordo di quel potente intento di denuncia nei confronti di una società non più capace di gestire la tecnologia come ausilio per una vita migliore. Un piccolo omaggio che vi riporterà ai tempi d’oro dell’acclamato – almeno un tempo – capolavoro.

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Alessandra Trifari

Classe 1991. Dottoressa in storia dell'arte e disegnatrice. Scrive da sempre e la sua mente viaggia tra arte, cinema, musica e parità di genere. Dei due sentieri, sceglierà sempre il meno battuto.

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