Un romanzo avvincente e ipnotico sui sogni che si scoprono incubi. È così che la casa editrice nottetempo presenta Volevamo magia, il primo libro di Matteo Quaglia. Ma cosa significa cercare la magia? È una fuga dalla realtà o un modo per sopravvivere alle sue contraddizioni?
Volevamo magia racconta il precariato esistenziale di una generazione sospesa tra aspettative tradite, ambizioni culturali e la difficoltà di trovare il proprio posto nel mondo. Attraverso le vicende del protagonista, uno studente di Giurisprudenza che si rifugia nella letteratura e nelle riviste universitarie, l’autore esplora il contrasto tra ciò che si vuole essere e ciò che si è costretti a diventare. Al centro della narrazione, il rapporto enigmatico con Ludovica, personaggio che incarna il fascino dell’irraggiungibile e della trasformazione, spingendo il protagonista in un vortice di ossessione e domande irrisolte. Il confine tra realtà e percezione si fa labile, proprio come quello tra sogni e disillusioni.
In questa intervista, Quaglia ci accompagna dietro le quinte della sua opera, raccontandoci il significato del titolo, la sua visione del precariato e il ruolo della letteratura come luogo di resistenza e rifugio.
Non credo mi sia mai capitato, in un’intervista, di voler partire dal titolo del romanzo, Volevamo magia. È un titolo evocativo, che anticipa tanti temi: doppia identità, misteri, precariato… Lo hai scelto tu? Ce lo racconti?
«Sì, ho scelto Volevamo magia nelle fasi embrionali della scrittura. Si lega al tema del precariato ma, ancor più, delle aspettative tradite. D’altronde, io rientro in quell’infornata di studenti che si iscrivono a una determinata facoltà con la speranza di raccogliere i frutti un domani e poi subiscono gli effetti della crisi globale, nel mio caso del 2008. Il titolo, per certi versi, si riferisce a questo ma anche alla ricerca dello straordinario che agita il narratore».
Partiamo allora da questo tema. A mio parere, nel tuo libro, il precariato e le conseguenti aspettative tradite si muovono su vari livelli, non solo universitario, non solo lavorativo, ma anche delle relazioni sociali, tra cui quella con Ludovica – personaggio che racconteremo più avanti. Come hai deciso di interpretarlo?
«Cambiando la società, cambia il modo di sentire e di vedere delle persone che la vivono e questo può portare a sentire la terra venir meno sotto i piedi. Le generazioni che ci precedono, più mature in termini di età, hanno vissuto un modello di vita, anche sociale, che è crollato; quelle che seguono, i giovanissimi, sembrano già abituate alle mutazioni avvenute nel frattempo; i trentenni di oggi sono tra questi due fuochi, spesso in ritardo per qualcosa e in anticipo rispetto a ciò che avrebbe dovuto essere».
Altro tema centrale, a mio avviso, è quello della doppia identità. Il protagonista vive questa tensione – a cui hai appena accennato – tra il mondo della giurisprudenza, imposto dai suoi genitori, e quello della letteratura, che rappresenta la sua vera passione. Qual è il significato simbolico di questa doppia vita e come riflette il conflitto interiore degli intellettuali moderni?
«Dici bene, è un tema fondamentale. Ciò che si è chiamati a essere – perché in qualche modo bisogna pur campare – e quello che per natura, inclinazione o passione si vorrebbe perseguire non sempre combaciano. L’influenza del mondo di prima ha creato delle aspettative rispetto a quella che è l’ambizione segreta di ciascuno di noi. Questa crepa, nel caso del narratore, diventa una vera e propria ossessione, e l’ossessione può portare a situazioni problematiche come quelle che molti di noi hanno vissuto o stanno vivendo».
L’ambiente in cui fiorisce l’ambizione segreta del tuo protagonista è quello dell’editoria, nello specifico delle riviste letterarie e universitarie, quello che tu chiami Il mondo dei nerd. “Fucilazione” è un microcosmo di passioni, contraddizioni e scontri. In che modo ha influenzato la formazione e la trasformazione tua e del protagonista?
«Il termine nerd va inteso in un’accezione più ampia, non solo – come nell’immaginario di molti – per ciò che riguarda la tecnologia ma, in generale, per quanti inseguono una passione in maniera quasi totalizzante. Senza dubbio, per il narratore, essere cresciuto in questo ambiente ha fomentato la sua ossessione. Inizialmente è tra i più razionali all’interno della rivista finché non comincia una relazione con una sua collega, Ludovica, e allora qualcosa cambia, si abbandona e diventa persino più tormentato di quelli che prima derideva o riteneva esagerati».
Introduciamola, Ludovica. Vuoi farlo tu?
«Ludovica viene presentata al narratore da un amico comune e, fin da subito, il protagonista ne resta affascinato. In un primo momento, sviluppa per lei un interesse di tipo sentimentale, poi, quando la ragazza parte, va via, e lui la perde di vista, fino a riscoprirla in contesti altri che non sveleremo, scopre un’attrazione motivata dal fatto che Ludovica riesce, in qualche modo, a dar seguito a quelli che erano i propri sogni, mentre lui si è accontentato».
Io trovo Ludovica tanto misteriosa quanto ambigua, è enigmatica. Questo alone di mistero, anche a tinte un po’ oscure, che si porta dietro diventa per il narratore una sorta di calamita, diventa quasi irresistibile.
«Esatto. Il suo essere sfuggente diventa fonte di ulteriore interesse. Da un lato, il protagonista si domanda come sarebbe stata una relazione compiuta con lei, dall’altro, per tutte le cose che succedono legate alla sua figura, quasi la teme».
C’è un dualismo tra percezione e realtà. La narrazione gioca molto con la linea sottile tra ciò che è reale e ciò che è percepito, specialmente nella figura di Ludovica. Quanto queste percezioni distraggono dalla verità?
«Dal momento che il loro rapporto scema, lui comincia a interrogarsi su queste proiezioni che non può fare a meno di costruire. Non può farne a meno per questo concetto che hai appena espresso».
E tutto questo in che maniera incide sul narratore?
«Incide sicuramente parecchio, proprio perché, al contrario di lei che prosegue per la sua strada, lui è una sorta di inetto, vorrebbe ma non riesce, anzi non fa nulla di concreto per riuscirci. Quando termina il periodo universitario abbandona anche queste sue passioni, salvo voi rituffarcisi proprio quando scopre Ludovica ancora ben ancorata a quel mondo».
Il titolo e il percorso narrativo suggeriscono una costante ricerca di “magia” nel quotidiano. In che modo essa si manifesta nel contrasto tra realtà e idealizzazione?
«È un concetto che presto sfugge di mano. Questa costante ricerca del “magico” diventa, anch’essa, ulteriore elemento di sfasamento dal reale. La stessa città in cui si muove il narratore, Trieste, viene descritta da lui con queste percezioni un po’ stranianti, fumose, anziché in maniera realistica, si svela la sua natura sotterranea, più claustrofobica, anziché per la sua anima aperta, affacciata sul mare».
Ho aperto con una domanda atipica e voglio concludere facendo altrettanto e chiederti del finale che lascia molte domande senza risposta.
«Non immagino altro finale. Come abbiamo detto, c’è questo dualismo tra precariato e aspettative tradite, ciò che è successo e ciò che avrebbe potuto essere, che è la storia del narratore, che non si esaurisce».