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Vedi Napoli e poi… scappi: meno residenti, più disuguaglianze

Mariaconsiglia Flavia Fedele di Mariaconsiglia Flavia Fedele
24 Marzo 2022
in Il Fatto
Tempo di lettura: 5 minuti
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Vedi Napoli e poi… scappi. Devono averla parafrasata così la famosa citazione di Johann Wolfgang von Goethe i tanti che hanno lasciato il capoluogo campano in appena un anno. Un esercito di ex residenti che supera le 26mila unità e che, in circa dodici mesi, ha spopolato Partenope, riportandola a numeri mai toccati nel nuovo millennio.

È questo il desolante quadro fotografato dall’ultimo censimento ISTAT che certifica, in modo inequivocabile, la fuga dal grande centro. Un fenomeno comune a tutta la regione ma che, per ovvi motivi, registra il dato peggiore nella città del sole. Se, infatti, l’intera Campania conta 5624260 residenti (87883 in meno rispetto al 2019), al 31 dicembre 2020, a Napoli sono 922094: il dato più basso dalla fine della Seconda guerra mondiale.

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Per trovare una motivazione sufficiente a spiegare questa crisi abitativa non basta tuttavia – come verrebbe comodo fare – appellarsi alla pandemia. Se, infatti, gran parte delle città europee ha denunciato il proprio svuotamento nei mesi successivi al lockdown a causa della crescente riscoperta del bisogno di nuovi spazi, così in contrasto con la frenesia delle metropoli che alienano e soffocano, in una claustrofobia che si è svelata quando eravamo costretti in casa a condividere pochi innaturali metri quadri, le ragioni dell’emorragia che vede sempre più cittadini rifugiarsi in provincia o – in particolare al Sud – cercare fortuna in un altrove dall’accento nordico, vanno ricercate in un contesto che di pandemico – in termini medici – non ha granché. Di salutare, però, sì.

Tra i primissimi fattori che spingono le persone a lasciare la città c’è, ça va sans dire, il perseguimento di una maggiore qualità della vita. Il ricorso smodato alle automobili, l’inquinamento acustico e dell’aria, la velocità con cui la giostra gira rendono il quotidiano infernale, così chi può sceglie di allontanarsi dal centro, predilige ritmi più blandi e polmoni puliti, resiste – laddove possibile – al richiamo odisseo delle sirene contemporanee. Nemmeno la favola bucolica, però, riesce a spiegare a pieno il fenomeno migratorio. Perché, a ben vedere, chi può permettersi il lusso di scegliere dove stare costituisce una percentuale bassissima rispetto a chi deve andarsene suo malgrado.

Nella Napoli pre-Covid, ad esempio, si è favorito sempre di più un business effimero, ad appannaggio di pochi e svantaggio di molti, che ha visto gli appartamenti farsi case vacanza, affittacamere e b&b. Parliamo del fenomeno della turistificazione che ha portato a una rapida mutazione della città, in particolare del centro storico, riversandosi sulla popolazione abitante ma, anche, sui turisti e sul loro modo di viaggiare. Complice la crisi, infatti, sempre più viaggiatori hanno scelto Napoli e altre mete mediamente economiche – in termini di hotellerie e stile di vita –, perché facilmente raggiungibili e dalle tariffe vantaggiose. Fattori che hanno riempito le casse cittadine svuotando, però, le case.

Il rimando al viaggio che dà il nome al fenomeno si è rivelato, infatti, sfratto per molti. Per non perdere l’occasione, i proprietari di un immobile, di un appartamento e di qualsiasi buco atto a ricevere i viaggiatori hanno pensato bene di farsi imprenditori a danno di chi quell’immobile, quell’appartamento e quel qualsiasi buco lo ha abitato a lungo. Basti pensare che, in appena sette anni, dal 2010 al 2017, il capoluogo campano ha visto incrementare le presenze sul territorio addirittura del 91%, classificandosi seconda città d’arte più visitata di Italia e fiore all’occhiello per il turismo nazionale e internazionale, arrivando, in alcune date, persino a superare Roma. Così, se nel marzo del 2017 si contavano almeno 5470 bed and breakfast, in quello del 2019 se ne contavano quasi 2700 in più, vale a dire un aumento del 50% delle camere ufficialmente registrate.

In città, inoltre, il 63% delle offerte ha sempre riguardato la possibilità di usufruire di interi appartamenti, la maggior parte situati in appena dieci chilometri quadrati, quelli del centro storico, che l’UNESCO ha riconosciuto come patrimonio dell’umanità. L’inevitabile conseguenza sono stati, quindi, i 1600 sfratti esecutivi annui, una vera e propria messa al bando dei cittadini che in molte di quelle zone appartengono a fasce economicamente più deboli.

E se, paradossalmente, la pandemia ha rappresentato un argine in assenza di un numero cospicuo di viaggiatori, in particolare dall’estero, l’indebolimento del settore lavorativo, la chiusura di molte attività e il non sempre inevitabile aumento dei prezzi non hanno frenato gli sfratti coatti e i processi di espulsione degli abitanti storici, con conseguente emergenza abitativa e inefficiente risposta delle istituzioni, incapaci di monitorare e gestire una situazione che adesso, con il benestare delle nuove ondate e delle OTA (Online Travel Agencies) potrebbe tornare a fiorire dal punto di vista turistico, ma anche no.

Come abbiamo già raccontato, a farla da padrone, in questi casi, è il mercato, mutatosi con l’avvento dei portali turistici quali Booking, Expedia, Airbnb che consentono di verificare disponibilità, tariffe e offerte vantaggiose, confrontandole, e di prenotare in pochi minuti. Siti accessibili a tutti, intuitivi e di facile utilizzo che hanno totalmente cancellato gli obsoleti sistemi di domanda-offerta, arrivando persino a stabilire i margini di guadagno di ciascun albergatore o tipologia di struttura preventivamente catalogata. Nel più lampante caso italiano, in particolare, essendo sempre stata città economica, le OTA non hanno potuto evitare di puntare su Napoli. Ma cosa succederà non appena si riprenderà a viaggiare con la stessa frequenza di due anni fa? Quando l’algoritmo favorirà altri lidi e quei b&b non avranno ospiti o cittadini da far rientrare a casa? Cosa è già successo ora che abbiamo scoperto che non si vive di turismo? Che non è questo il modo di progettare il futuro delle nostre città?

Nel 1971, a Napoli, i residenti superavano il milione. Dal 2004 questo non succede più. I cittadini, nativi e non, vanno via, il tessuto sociale si disgrega, i servizi – dai trasporti alla sanità – non rispondono alle loro esigenze, in molti quartieri non si affacciano neppure. Spuntano i murales, però, come a truccare maldestramente un volto sfigurato. Un volto solitario. Un volto violato. Succede a Napoli, succede a Salerno, Benevento, Avellino, Caserta. Succede in tutta la regione: -1.5% della popolazione, 85mila persone in meno in un solo anno.

Eppure, l’età media di questi territori è la più bassa di Italia. Un dato che, per natura, guarda già al domani. Ma quale? Se non c’è lavoro, non c’è progettualità. Se non ci sono cittadini, non c’è identità. Se non c’è politica, c’è svendita. Il bisogno di partire è bisogno di sopravvivere.

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