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Utopie ed eterotopie nel pensiero di Michel Foucault

Vincenzo Villarosa di Vincenzo Villarosa
9 Novembre 2021
in Lapis
Tempo di lettura: 4 minuti
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L’archeologo del sapere Michel Foucault (1926-1984) diceva che le utopie consolano perché si aprono, pur non avendo un luogo reale, al discorso su spazi altri e meravigliosi. Le eterotopie, invece, inquietano, senz’altro perché minano segretamente il linguaggio. Le prime si inseriscono nella dimensione linguistica della favola; le seconde vanno al di là dei luoghi comuni e dei discorsi geograficamente e storicamente determinati, anzi, li bloccano e li contestano, nel senso che li problematizzano nel dibattito pubblico.

Il filosofo, sociologo e storico della filosofia francese, che insegnò al Collège de France di Parigi dal 1971 al 1984, nella sua opera Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane del 1963, contrapponeva il concetto di utopia al suo simmetrico inverso, l’eterotopia, affermando che essa, al contrario degli utopici luoghi aperti in altre coordinate spazio-temporali, rimanda a luoghi reali dove è possibile connettere gli spazi tra loro sospendendo, neutralizzando o perfino invertendo l’insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano. Perché sono spazi definiti ma, al tempo stesso, differenti dagli altri spazi sociali che rappresentano, ma contestandoli.

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Studioso appartenente alla corrente filosofico-antropologica strutturalista e post-strutturalista tra gli anni Sessanta e la metà degli Ottanta del secolo scorso, Michel Foucault ha scritto opere fondamentali per la cultura contemporanea, come Storia della follia nell’età classica, Sorvegliare e punire e, in tre volumi, La storia della sessualità. Le analisi prodotte in questi scritti fanno parte di quella che egli stesso definì come archeologia del sapere e dei processi culturali in atto durante l’elaborazione dei discorsi e dei sistemi concettuali che si costruiscono in un dato tempo storico, in uno spazio geografico e nella vita sociale.

La microfisica del potere elaborata negli anni dal filosofo francese analizza il rapporto fra le forme di sapere e quelle del potere. Quest’ultimo non esiste soltanto nella forma oppositiva tra governanti e governati, ma è presente nell’arena societaria in forma diffusa e si esprime in maniera reticolare. Lo studio sullo sviluppo delle prigioni, dei luoghi di cura, dell’organizzazione scolastica, per esempio, evidenzia l’esercizio del potere mediante la gestione della verità. Quest’ultima non è neutrale ed è sempre politica, e influenza la costruzione sociale e culturale intorno alla normalità e alla devianza, alla salute e alla patologia, e quella relativa ai comportamenti e alle scelte ritenute sane o innaturali nella sfera della sessualità.

La mancata adesione degli individui al discorso di verità che viene concettualizzato e praticato in una data epoca storica viene stigmatizzata con la creazione di divieti, tabù o limitazioni delle libertà, come nel caso dei folli, dei criminali e, in genere, di quei soggetti definiti anormali. Questo accade in tutte le epoche storiche, tanto è vero che Foucault vide nel Panopticon, il modello carcerario ideale teorizzato dal filosofo inglese Jeremy Bentham, che prevedeva il possibile controllo dei corpi e i movimenti dei reclusi, come un paradigma valido anche per la moderna società capitalistica. Questa cerca di ottenere lo stesso risultato, nel campo della sicurezza e della sorveglianza degli attori sociali, nei modi e con gli strumenti, anche tecnologici, presenti nel mondo contemporaneo.

Con l’aiuto dei saperi prodotti dalla giurisprudenza o dalla criminologia e nella più ampia cultura, insomma, il potere si muove nella forma della biopolitica – un neologismo che unisce i termini bìos, vita, e polis, città – e ha come oggetto la vita umana in generale e, in particolare, le soggettività individuali. La biopolitica opera come una tecnologia politica che si occupa della popolazione e dei singoli soggetti che vivono in un territorio, organizzando la costruzione dei valori e delle pratiche sociali in maniera tale che l’interesse della società e quello dell’individuo non contestino o pregiudichino i fini del potere sovrano. In fondo, secondo il filosofo francese, se il potere medievale lasciava vivere e faceva morire, il biopotere moderno fa vivere e lascia morire.

Nella vasta produzione teorica foucaultiana, è particolarmente interessante il concetto di eterotopia, come dicevamo, intesa come luogo reale dove possono convergere spazi diversi. Gli esempi classici di eterotopie sono diversi e li possiamo incontrare nella storia umana: il giardino o il cimitero; il museo, il teatro e il cinema, ma anche la prigione e il manicomio. La nave, infine, veniva additata dal filosofo come l’eterotopia per eccellenza, grande contenitore dell’immaginazione: nelle civiltà senza battelli i sogni inaridiscono, lo spionaggio rimpiazza l’avventura, e la polizia i corsari.

La pluridimensionalità dello spazio di vita soggettiva e relazionale a cui rimanda il concetto di eterotopia, tuttavia, ha continuato a generare una riflessione teorica contemporanea interessante perché l’idea ha avuto un diffuso successo in quella più articolata dimensione socioculturale della progettualità definita utopia situata. Un esempio è costituito dai parchi culturali, dove filosofi, artisti, educatori, ingegneri e cittadini possono trovare un luogo d’incontro e di confronto per ripensare e progettare, per “via sociale”, la rigenenerazione urbana, le relazioni umane all’insegna dell’ecosostenibilità e, ancora, la formazione, lo spettacolo e la cultura.

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