Avrebbe dovuto essere il simbolo della rinascita di Scampia la Vela Celeste, l’unica a sfuggire alla demolizione prevista dal piano di riqualificazione del Comune di Napoli per il quartiere, la prossima casa degli uffici – chissà – della Città Metropolitana. E, invece, ironia della sorte o soltanto tragedia annunciata, l’edificio è venuto giù da solo, come per protesta, mentre al pian terreno si erano da poco avviati i lavori di ristrutturazione, come a ribellarsi di tanto scempio, di un’umiliazione che va avanti da oltre trent’anni.
Non è la mano armata della camorra a uccidere, questa volta – quella tirata in ballo a ogni occasione da politici e giornali per comparare qualsiasi cosa accade di storto in questo Paese che storto ci è per davvero – ma la mafia di Stato, quella che ha voluto Scampia esattamente com’è, una terra dimenticata, una landa di desolazione dove l’erba non sa più crescere.
Non vi è altra maniera di spiegare le sorti del quartiere simbolo dell’area nord napoletana e le Vele ne sono la sintesi. Sin dalla loro progettazione, gli edifici che tutti hanno imparato ad associare soltanto a Gomorra, patiscono il peccato originale dell’abbandono. Avrebbero dovuto ricreare le atmosfere dei Decumani e, invece, sono stati lasciati incompiuti, a soffocarsi l’un l’altro, ballatoi che si intrecciano nel buio di una luce che non trova mai spazio per entrare.
Un vero e proprio polo economico, ma nelle mani sbagliate, le uniche che in Scampia avevano visto la possibilità di far crescere i loro interessi, quelle della malavita organizzata. Un impero da miliardi di euro ogni anno, la droga, denaro che ha dato vita ai palazzi di mezza Italia e non solo, con gli affari dei clan che sono arrivati fin sulla Costa Brava o in Slovenia.
Un morto ogni tre giorni, la faida, Gomorra. Scampia ha sempre fatto notizia solo per questo, perché soltanto questo interessava ai riflettori delle telecamere. Tappeto rosso per le passerelle di ogni fazione politica, col fango sotto le scarpe di quelli vestiti bene come l’unica cosa a restare dopo il loro passaggio.
La domanda che tutti dovrebbero porsi, dopo la tragedia che ha visto crollare un ballatoio della Vela Celeste, uccidere due ragazzi e ferire gravemente diverse persone, tra cui due bambine, non è come mai sia accaduto ma perché sia successo soltanto adesso. Scampia, per la Napoli considerata bene, è sempre stata solo e soltanto un peso, una fermata della metro di troppo che rischiava di rovinare pure l’ambiente di chi viveva comodo nei propri palazzi del Vomero o a Chiaia. Perché quella gente non ha diritto, di un negozio, di un cinema, di una libreria, non deve uscire dal ghetto.
E, invece, per tutti, Scampia è un problema di Scampia stessa, come il Parco Verde poco distante, laddove tutto quello che manca, che lo Stato ha sottratto per anni alla povera gente e consegnato alla mafia, è stato associato sempre e soltanto a un’indole criminale diffusa. Solo una persona poco sana di mente occuperebbe una casa nelle Vele, non fosse in preda alla fame, al disagio sociale perpetuato in questi quartieri sin dalla loro creazione.
La politica, da quella locale fino all’ultimo decreto emanato dal Governo Meloni, ha risposto con l’indifferenza, anzi, persino peggio, con delle prove di forza di facciata, come se piazzare un blindato della polizia fosse abbastanza a risolvere mali atavici o a dare risposte a chi si domanda cosa accadrà quando quei lampeggianti non saranno più utili alla propaganda, dove giocheranno i propri figli, che alternative avranno e perché la soluzione coincide con chissà quale repressione anziché nella ricerca di una nuova opportunità.
Tre morti, dodici feriti, due bambine in fin di vita, 800 persone da sfollare. Il bilancio di una nuova notte di guerra, di sangue a Scampia, va descritto per ciò che è: omicidio di Stato con l’aggravante della premeditazione, della violenza perpetrata, persino del vilipendio di chi è già stato vittima collaterale di tanta incuria e menefreghismo, del voltafaccia rispetto alla Carta Costituzionale che tra i diritti inviolabili della persona inserisce il diritto all’abitazione come riflesso di dignità umana.
Scampia raccontata dalla letteratura al cinema, dalle pagine social con l’unica narrazione che, in fondo, interessa a tutti, anche a chi millanta di volerne il riscatto. Una terra che sembra abitata da nessuno e, invece, vive di anime che ne sono linfa quotidiana: iniziative private, associazioni, volontari, sono loro che, con pazienza e vero spirito di resistenza, hanno dato modo di credere alle nuove generazioni che un sogno può essere realizzabile anche partendo dai ballatoi delle Vele.
Quel ballatoi, però, crollano sotto i colpi di chi avrebbe dovuto farsi garante del loro sostegno, e quel sogno che fine fa? Da chi viene raccolto? Il circolo vizioso riparte, il buio soffoca ogni spiraglio di luce, vuole così. La macchina è pronta a rimettersi in moto, a fare dichiarazioni di solidarietà e poi a lasciare tutto com’è, nell’incuria pulita dai colorati murales.